domenica 13 febbraio 2005

 «La California è la mia isola felice: trovo che abbia delle similitudini con il Friuli Venezia Giulia. E poi San Francisco, tutta salite e discese, somiglia un po’ a Trieste. Mentre Berkeley ha il porto ed è grande più o meno come Monfalcone...».
Parli con Elisa - il cui «Pearl Days Tour» fa tappa domani sera al palasport di Pordenone, mentre a Trieste il concerto saltato per influenza il primo febbraio sarà recuperato il 24 marzo - e il discorso va a cadere su quella che può essere considerata a tutti gli effetti la seconda patria della ventisettenne popstar monfalconese. Nella leggendaria (per chi ama il rock...) West Coast la ragazza fu spedita da Caterina Caselli dieci anni fa, a studiare e preparare l’album di esordio, il sorprendente «Pipes & Flowers». E sempre lì, a Los Angeles, la ragazza è tornata l’anno scorso, per realizzare con l’ausilio del produttore Glen Ballard (vedi alle voci Alanis Morissette, Anastacia, No Doubt, Aretha Franklin, Van Halen...) l’ottimo «Pearl days» uscito a ottobre.
«La prima volta che sono andata in California - ricorda Elisa - avevo diciotto anni, vi sono rimasta tre mesi, era la prima volta che vivevo da sola fuori di casa. Aggiungiamo che ero lì per registrare il mio primo disco e possiamo comprendere facilmente il mio entusiasmo di allora. Potei contare sul grande aiuto di Corrado Rustici. Tutto mi sembrava speciale, magico, un sogno che si realizzava...».
Che cosa le diede maggior soddisfazione?
«Poter dimostrare che era possibile fare un disco pop cantato in inglese. Fino a quel momento gli unici italiani che cantavano in inglese realizzavano prodotto dance...».
Glen Ballard?
«L’ho conosciuto due anni fa, mentre ero in vacanza a San Francisco. Gli avevo mandato i miei dischi per farglieli ascoltare, sperando accettasse di lavorare con me. Quando fece sapere che era disponibile, ho guidato da sola da San Francisco a Los Angeles per andarlo a conoscere. In due giorni abbiamo scritto assieme ”Written in your eyes”, che poi l’anno scorso, quando ci siamo ritrovati in sala d’incisione, abbiamo deciso di inserire nel disco...».
Lei era a San Francisco anche l’11 settembre 2001...
«Sì, e ricordo la grande emozione della gente davanti alla tragedia ma anche nel sapere che uno degli aerei dirottati, e poi abbattuto sulla Virginia, era diretto proprio a San Francisco».
Che cosa pensa di questi nostri «anni di guerra»...?
«Non credo nella violenza, sono contraria alla guerra e alle dittature. Come tanti mi sento impotente davanti a quello che è successo: le armi di distruzione di massa non si sono trovate, la guerra nonostante tutto continua e la gente continua a morire...».
I giovani americani?
«Molti sono contro la guerra. Ma lì c’è un sistema di informazione che punta molto sul vittimismo, sulla paura: fanno vedere i soldati, le famiglie dei soldati, l’amore per la patria... Ricordo anche una ”tacchetta” nei programmi televisivi che indicava il ”livello di terrorismo” della giornata: verde, giallo, rosso... Roba da non credere».
E quando torna nel suo Friuli Venezia Giulia?
«Sono contenta di essere a casa, con la mia famiglia, i miei amici. Trovo che la nostra sia una terra speciale, abitata da gente aperta, abituata a vivere vicino a una frontiera. Abbiamo un po’ tutti uno spirito da pionieri, lo stesso che ritrovo nei tanti friulani, isontini e giuliani che incontro in giro per il mondo...».
Oggi si sente rock come «Pearl days» o intimista come «Lotus»?
«Sono due facce della mia personalità, della mia musica. Ho voluto tenerle separate, ognuna in un disco, ma le ritengo complementari. Le canzoni sono più o meno dello stesso periodo, ma tenerle separate mi ha permesso di approfondire i due aspetti. Penso sia stata una scelta giusta, che rifarei».
Perchè «Pearl days», perchè «giorni di perla»?
«Perchè forse sto vivendo i giorni migliori. Alla mia età si è un po’ più consapevoli, si tende a costruire qualcosa per la propria vita. Vedo i miei coetanei: chi si laurea, chi trova un lavoro, chi forma una famiglia, chi rincorre i propri sogni...».
Quasi un messaggio di felicità?
«Sì, il disco è proprio un piccolo messaggio di felicità. In cui dico che dopo aver passato il disincanto della fine dell’adolescenza, ed entrando nell’età adulta, dopo un primo momento di paura e disorientamento ci si può ritrovare e riuscire persino a essere un po’ felici...»

Nessun commento:

Posta un commento