martedì 30 agosto 2005

Il Corriere della Sera di ieri. Titolone in cultura: «I capolavori veneti vanno restituiti all’Istria». Sommario: «Oggi sono in mostra a Trieste, ma devono tornare da dove vengono». Lo firma Carlo Bertelli, docente di storia dell’arte, già funzionario delle Belle arti e direttore per tanti anni della Pinacoteca di Brera, a Milano. Si parla ovviamente delle opere esposte al Museo Revoltella nella mostra «Histria»: quadri che stavano nell’Istria italiana e che alla vigilia della Seconda guerra mondiale furono messi al sicuro in virtù della legge «Protezione delle cose d’interesse artistico, storico, bibliografico e culturale dalla distruzione in caso di guerra».

Bertelli sostiene che quelle opere italiane (Paolo Veneziano, Vittore e Benedetto Carpaccio, Alvise Vivarini, Giambattista Tiepolo...) andrebbero restituite a Capodistria, «bellissima città veneziana, che ha una piazza intitolata a Vittore Carpaccio», anche per un problema di convenienza politica. «Da Capodistria emigrarono (sic... - ndr) per l’Italia quasi 8000 cittadini. Eppure vi sussiste ancora una comunità italofona; vi ha avuto successo per anni la Radio Capodistria in lingua, anche, italiana; vi si stampano poesie dialettali e in italiano».

«È opportuno - si chiede il critico - privare questa città di una parte rilevante della sua storia? Sono opportune queste recriminazioni, ora che la Slovenia è entrata nella Comunità europea? C’è un interesse italiano a slavizzare ulteriormente l’Istria o si agisce, anche in questo caso, non già nell’interesse nazionale ma unicamente per avere più voti in patria?»

Bel quesito. «Che parte - osserva Paris Lippi, assessore alla cultura del Comune di Trieste - da un punto di vista e da una volontà teoricamente condivisibili. Bertelli pensa che ci sia la voglia, oltreconfine, di tutelare il patrimonio culturale italiano. A me risulta il contrario. Se idealmente il discorso ha una sua logica, nel concreto no. Una questione difficile, visto come si stanno muovendo, in Croazia ma anche in Slovenia, nei confronti della minoranza italiana».

Molto meno diplomatico, come peraltro è suo costume, Vittorio Sgarbi. Che è poi quello che, quand’era sottosegretario ai Beni culturali, ha tirato fuori i dipinti in questione dalle cantine di Palazzo Venezia, dove erano rimasti chiusi per oltre mezzo secolo. «Quelle di Bertelli - spara il critico - sono considerazioni peregrine. È come dire che i Bronzi di Riace vanno restituiti alla Grecia. E poi proprio lui, che è stato direttore della centralistica Pinacoteca di Brera, ricca di capolavori portati via a Napoleone. Perchè non li ha restituiti? Perchè non ha restituito a Urbino la Pala di Piero della Francesca? La verità è che lui fa un ragionamento futuribile, esprime un auspicio. Mentre io opero in nome della legge».

"Le opere d’arte stanno bene nel luogo dove sono nate - osserva Maria Masau Dan, direttrice del Revoltella - ma c’è anche una questione di legittima proprietà. È difficile prendere posizione, ma se la restituzione servisse a rafforzare la presenza italiana in Istria...».

«Il discorso - rilancia Sgarbi - potrebbe avere una sua logica, comunque futuribile, nell’ambito di relazioni e accordi che prevedessero, per esempio, la restituzione delle case abbandonate ai profughi istriani. Ma così...».

Si è mosso anche Massimiliano Lacota, presidente dell’Unione degli Istriani, che ha inviato al «Corriere» una lettera per rilevare alcune imprecisioni dell’articolo. E per dire: «Innumerevoli altri capolavori scomparvero durante la repressione jugoslava in Istria: quadri, manufatti, argenteria, intere biblioteche sottratte a conventi e chiese...».<IP9> Quadri e libri, secondo Lacota, finiti anche in abitazioni private.

«Comunque - conclude Lippi - queste opere sono italiane, a Trieste servono, dunque... La verità è che stiamo cercando il sito più adatto per valorizzarle. C’è il progetto delle Scuderie di Miramare, ma non escludo nemmeno la possibilità dell’ex Pescheria, se non sarà dedicata solo all’arte contemporanea. O, perchè no, anche San Giusto...».

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