domenica 23 ottobre 2005

Considera il Friuli Venezia Giulia «una grande città di un milione e duecento mila abitanti». E il suo obbiettivo è informarla tutta. Da Trieste a Udine, da Gorizia a Pordenone, dalla Carnia a Grado e a Lignano. Senza dimenticare che dietro l’angolo c’è un’Europa sempre più grande. Di cui tutti dobbiamo sentirci parte.
Lui è Giovanni Marzini, classe 1954, da cinque anni a capo della redazione giornalistica italiana della sede Rai del Friuli Venezia Giulia. Una redazione formata da ventisette giornalisti e dodici telecineoperatori (questi però in comproprietà con la redazione slovena e quella dei programmi), che nel corso di questi ultimi anni è stata ringiovanita. Ed è chiamata a fare informazione regionale ma anche a svolgere il ruolo di «grande ufficio di corrispondenza» per le testate nazionali. Nonchè di osservatorio prililegiato verso Est.
Marzini, la nostra è una regione difficile da tener assieme?
È la nostra prima missione, il primo punto del mio piano editoriale che ho presentato cinque anni fa: il Friuli Venezia Giulia è come una grande città di un milione e duecento mila abitanti, quindi dobbiamo intenderla come tale.
Le spinte centrifughe di Udine? Non volevano una sede Rai autonoma per il Friuli?
Penso che siano problematiche superabili e forse già superate. Mi fanno sorridere le polemiche che ogni tanto vengono fuori sullo spazio che viene dato a Trieste e a Udine. Sono polemiche sterili e pretestuose. Noi abbiamo l’obbligo di fare un grande giornale regionale, tentiamo di farlo. Le nostre telecamere e le nostre troupe vanno dove c’è la notizia, cercando di esser presenti anche in zone avare di notizie e spunti di cronaca: le zone montane, i paesi con problemi di ripopolazione, di sviluppo industriale....
Ma dicono che il tg è «Triestecentrico»...
I dati confermano che noi copriamo tutte e quattro le province. Poi è chiaro che tutti vorrebbero avere sempre e comunque la propria città, il proprio paese sulle pagine dei giornali e nei tg. Noi cerchiamo di accontentare tutti, fatto salvo che dobbiamo andare dove succedono le cose...
Che succedono più spesso nelle città...
Sì, ma il nostro obbligo è coprire nella maniera migliore l’intero territorio, cercando di fare quello che continua a essere l’unico giornale regionale di questa regione. Perchè la carta stampata giustamente privilegia coi due principali quotidiani da un lato Trieste, Gorizia e l’Isontino, dall’altro Udine, il Friuli e Pordenone. E lo stesso vale per le tv private: le due principali si dividono la regione nella stessa maniera dei quotidiani.
Che cosa chiede Roma a una sede regionale «di frontiera»?
Il Tg1 chiede almeno due o tre volte al mese la bora. È una battuta, ma in effetti le immagini della bora sono la cosa che Trieste esporta di più. Evidentemente colpiscono molto l’immaginario. Non c’è servizio sul maltempo che non passi attraverso un’immagine del Molo Audace flagellato dalla bora. Su questo non ce ne vogliano gli amici friulani... Ma è una particolarità che la Trieste del turismo potrebbe sfruttare molto meglio di quanto fa: un museo della bora (che racconti la storia di questo vento, attraverso il patrimonio di immagini, di racconti, di libri...) sarebbe molto interessante.
Bora a parte?
Ci chiedono tutto quanto di rilevanza nazionale può accadere in questa regione. Anni fa eravamo in prima linea sul conflitto balcanico, con una guerra che ci era scoppiata a un’ora di macchina da qui. Adesso forse non siamo più la ”porta verso Oriente” per droga stupefacenti e altro, com’è stato per anni, ma dobbiamo sempre dar conto di tutto quel che accade....
Siamo ancora «osservatorio privilegiato»?
Lavoriamo per questo. E rivendichiamo un ruolo che l’azienda ci sta riconoscendo: essere un osservatorio privilegiato verso i paesi della nuova Europa, dell’area balcanica, dell’Est Europa... Non più ai confini dell’Occidente, ma come centro della nuova Europa che si sta allargando. E tutti i discorsi sull’Euroregione portati avanti da Illy devono trovare una sponda adeguata nel servizio pubblico radiotelevisivo.
Come vi state preparando?
Per esempio con il settimanale ”Est Ovest”, da noi curato, che è il primo passo di questo progetto. Un progetto che abbiamo presentato tre anni fa, che è stato accolto. Da Trieste i nostri inviati partono alla volta di diversi paesi europei. Realizziamo un rotocalco di quindici minuti, i cui servizi vengono poi proposti anche ad altre testate, anche satellitari, della Rai. Dunque si vedono in tutta Europa.
E dunque...
Dunque è un primo passo verso quello che dovrebbe essere in futuro il ruolo di questa sede regionale: portare avanti un progetto, per ora sperimentale, legato alla televisione transfrontaliera. Possiamo anche chiamarla Eurotv, tv dell’Euroregione... L’importante è intendersi sul ruolo: informare un’area che parte dal Nord Est italiano, coinvolgendo quindi anche Veneto e Trentino Alto Adige, e arriva a Slovenia, Croazia, Austria, Slovacchia, Ungheria, Romania... Realizzando quindi un grande canale televisivo che possa unire, con notiziari plurilingui, queste regioni, trattando i temi che a queste regioni interessano.
I politici telefonano a un caporedattore della Rai?
Assolutamente sì, com’è logico sia. Ma in cinque anni, sui colleghi che sono stati assunti, e sono entrati a far parte di una redazione che si sta progressivamente svecchiando e ringiovanendo, non c’è mai stata un’ingerenza del mondo politico....
Una svolta epocale: dunque non vale più il vecchio sistema, secondo cui in Rai si assumeva uno del partito x, uno del partito y e uno bravo...
È un fenomeno che, almeno nella nostra regione, e per quel che mi riguarda, non è mai accaduto. Qui sono entrati giornalisti che hanno cominciato a far la gavetta, e dopo un periodo di precariato, sono stati assunti. Dunque le telefonate dei politici non arrivano per segnalare questo o quello, ma per segnalare eventi per i quali viene chiesta un’adeguata copertura.
Nessuno che si lamenta?
A volte, ma sono più numerose le lettere e le mail di ringraziamento (e tira fuori un faldone zeppo di roba... - ndr). Certo, c’è chi si lamenta, ma spesso è il frutto di equivoci, che poi vengono chiariti. Tutti si sentono in diritto di chiedere sempre qualcosa di più....
Siamo bombardati da informazioni. Troppe?
Forse sì. Forse c’è troppa offerta rispetto alla domanda. Ma in questo moltiplic</CP><CF><CP>arsi di canali informativi, farà sempre più la differenza l’autorevolezza del giornale che dà l’informazione. Un giornale o una tv che ti racconta per quattro o cinque volte una fregnaccia, perde autorevolezza. Per questo prima di sparare un titolo, prima di presentare un presunto scoop, verifichiamo più volte. A costo di non dare la notizia anche quando l’abbiamo. Perché il pubblico non ci perdonerebbe una notizia non vera sparata da noi. Non è abituato.
Marzini, cos’ha imparato da radio e tv private?
Trent’anni fa sono stato fra i fondatori di Radio Sound e poi ho lavorato a Telequattro dal primo giorno di trasmissione. È lì che ho imparato il mestiere. Quella radiofonica era un’esperienza pionieristica e lontanissima da come si sono poi evolute le radio private. La nostra era sperimentazione, con le prime radiocronache, soprattutto con la grande esperienza del maggio ’76 per il terremoto nel Friuli, con una ”nostop” di una settimana al microfono: informazione, servizi, coordinamento soccorsi... Ci sentivamo e forse eravamo pionieri dell’etere.
In tv è stato diverso...
Beh, dal punto di vista professionale è stata un’esperienza molto più importante. Anche se ovviamente è molto diverso fare il cronista a Telequattro e coordinare l’informazione regionale della Rai: prima dovevi coprire tutto quel che accadeva fino a Barcola, ora dobbiamo spaziare in tutta la regione. E sapere che ci si rivolge - attraverso i tanti contributi alle testate nazionale - a un pubblico nazionale: la prima funzione delle sedi regionali, come servizio pubblico, è infatti quella di essere dei grandi uffici di corrispondenza dalle regioni per i tg nazionali.
La radio però a Trieste ha una grande tradizione...
Certamente. Qui nacquero i primi giornali radio regionali. Basti pensare che in questi giorni festeggiamo i 75 anni di Radio Trieste. La tradizione e l’attaccamento rimangono, soprattutto fra gli ascoltatori più anziani. Visto che i giovani ascoltano la radio in maniera molto diversa. E comunque ancor oggi le prime due edizioni dei nostri giornali radio sono seguitissime, i più seguiti in Italia, come rapporto fra ascolto e popolazione coperta.
Su scala regionale l’informazione può essere mischiata all’intrattenimento, come avviene sulle reti nazionali?
No, io credo molto nel servizio pubblico della Rai. In un paese civile dev’esserci grande spazio per la tv come intrattenimento, come momento di evasione. La tv commerciale ha i suoi spazi sacrosanti, la tv pubblica deve a sua volta fare intrattenimento, ma io penso che i tg devono pensare a informare il pubblico - che paga il canone - in maniera corretta, il più possibile esaustiva e completa.
A rischio di un’informazione un po’ paludata...?
Ammetto che il tg regionale, per le sue stesse caratteristiche, certe volte rischia di essere un po’ noioso. Ma io non mi sento obbligato a trattare gossip o a proporre qualche bella figliola in abiti discinti per catturare ascolto. Grazie al cielo i nostri ascolti sono comunque notevoli, siamo comunque ai primissimi posti fra i venti tg regionali della Rai.
Secondo lei perché?
Perché a costo di fare a volte un tg noioso, ci siamo guadagnati sul campo una certa autorevolezza. Noi dobbiamo trattare temi spesso non facili, spesso problematici: crisi industraili, disoccupazione, problemi sociali, le famiglie che fanno fatica ad arrivare a fine mese, le riunioni dei consigli regionali e il governo regionale, gli aspetti istituzionali della regione devono trovare spazio in tg pubblico. Noi crediamo in questa missione.
Com’è cambiata Trieste da quando lei ha cominciato a lavorare?
Trieste sta facendo dei grossi passi avanti, anche se a fatica. E molti di questi passi avanti sono legati alle nuove generazioni. Siamo una città difficilissima, che ha ancora delle ferite che si stanno rimarginando, ma che deve assolutamente guardare avanti. Con la politica dell’odio, delle barriere, dei confini, dei ricordi che fanno ancora male, non si va da nessuna parte. In questo, le nuove generazioni hanno un compito importantissimo.
Continui...
Bisogna guardare al futuro, aprirsi, dobbiamo considerarci come una città europea, dobbiamo guardare all’Europa come a una grande nazione fatta di regioni che devono abbattere i confini, perchè chiudendosi in se stessi non si va da nessuna parte.
So che è un discorso difficile da fare a Trieste, in una città che aveva i confini con la Jugoslavia a dieci minuti dal centro. Ma lo sviluppo futuro per i nostri figli e nipoti - conclude Marzini - è guardare a una città senza confini, che si deve sentire al centro d’Europa. E non ai margini di un paese.

Nessun commento:

Posta un commento