martedì 31 gennaio 2006

S’intitola «Novo Mesto», proprio come la città slovena dov’è stato registrato a ottobre, il nuovo album di Niccolò Fabi. Il trentasettenne cantautore romano di «Dica» e «Capelli» (giusto per citare le sue due canzoni di maggior successo, uscite rispettivamente nel ’96 e nel ’97) ha scelto infatti la Slovenia per realizzare il suo nuovo disco, che esce venerdì.


«Le cose inusuali, un po’ strane, sono sempre quelle più stimolanti - spiega l’artista, che fra l’altro è figlio di quel Claudio Fabi che fra gli anni Settanta e Ottanta è stato produttore di artisti come Lucio Battisti, Gianna Nannini, Paolo Conte, la Pfm... -, quindi all’inizio c’era solo l’idea di non registrare a Roma. La comodità è la tomba della creatività...».
Perchè in Slovenia?
«All’inizio si pensava di andare in uno studio in Provenza, fra l’altro lo stesso in cui i Pink Floyd hanno fatto ”The wall”, ma in ballo c’erano anche l’Inghilterra, gli Stati Uniti... Poi, tramite la flautista slovena Tinkara Kovac, conosciuta da un musicista del mio gruppo, ci è arrivata la segnalazione di questo studio sloveno. Che oltre a proporre prezzi concorrenziali rispetto alle altre opzioni, mi permetteva di uscire dai soliti circuiti...».
Come si è trovato?
«Molto bene. Innanzitutto abbiamo trovato uno studio all’altezza della situazione, per ricreare la grande sala prove di cui avevamo bisogno. E poi la città e i suoi dintorni montagnosi ci hanno subito affascinato. Personalmente ho scoperto la Slovenia in quelle tre settimane di lavoro. Anche Lubiana è magnifica...».
Le canzoni sono nate a Novo Mesto?
«Alcune sì, come ”Rapporti”, e penso si senta l’influenza dei luoghi. Altre le avevo già scritte, ma si sono comunque trasformate...».
Un brano s’intitola «Oriente»...
«Sì, il tema del viaggio, di cui è permeato tutto il disco, qui ha un'accezione politica evidente nel contrasto fra civiltà e diversità. Girando il mondo ci si rende conto che cambiano le priorità e i valori, infatti lo stesso avvenimento viene vissuto con animo contrapposto a seconda del luogo in cui ci si trova o da dove si proviene..."».
Un inno alla cultura orientale?
«Non necessariamente: io sono convinto che le nostre categorie mentali siano legate alla nostra condizione di vita. Questa canzone, nel suo piccolo, vuole contribuire alla ricerca di una planetaria coesistenza di punti di vista differenti. Anche i suoni, fra fisarmonica, fanfara, clarino, banjo..., sono una babele sonora».
Fabi, ma come si sta da «eterno emergente»?
«Non è un mio problema. Io faccio e propongo le mie canzoni. Anche se un linguaggio non aggressivo come il mio incontra difficoltà, in un mondo in cui fai notizia solo se hai una fidanzata illustre o insulti qualcuno...».

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