domenica 26 febbraio 2006

«Sempre il solito via vai, notte che non passa mai. Labbra rosso fuoco: è lei? Hai mai visto Dio com’è...?». Non è il delirio di un nottambulo, sono più banalmente i versi della canzone che apriranno stasera il 56.o Festival di Sanremo: «Lei ha la notte», proposta da Nicky Nicolai, quest’anno orfana del bel quartetto jazz capitanato dal marito Stefano Di Battista, che l’anno scorso l’aveva trionfalmente scortata su su fino alla vittoria nella categoria Gruppi.
La donna cantata da Nicky Nicolai è una prostituta, ma state tranquilli: non farà scandalo, ben mimetizzata fra versi abbastanza sanremesi, come quasi tutti quelli delle altre canzoni in gara a partire da stasera nella città dei fiori. Scorrendo i testi l’attenzione non viene attratta da nessun picco, né in negativo né tantomeno in positivo. Si naviga a vista, evitando per fortuna l’orripilante (stile «I-ta-lia, I-ta-liaaa...» di un Mino Reitano di qualche anno fa, roba che comunque entra nella storia del Festival...), ma non riuscendo purtroppo a toccare nemmeno livelli di qualità accettabile che pure a Sanremo, in tutti questi anni, si sono visti e soprattutto sentiti (non dimentichiamo che all’Ariston son passate canzoni come «Almeno tu nell’universo» o «Vita spericolata», giusto per fare solo due esempi...).
Messo dinanzi ai testi di Sanremo 2006 il linguista Giuseppe Antonelli è impietoso e conia l’espressione di «testi domopak». «La prima impressione è che quest'anno -dice il professore - manchi proprio l'acuto (tanto per usare una metafora squisitamente musicale), quel pezzo forte che anche le edizioni più deboli dell'ultimo decennio avevano sempre garantito. Dalla formidabile ”Italia sì, Italia no” di Elio e le Stori tese a ”Salirò” di Daniele Silvestri, dal ”Timido ubriaco” di Max Gazzè a ”Dimmi che non vuoi morire” scritta da Vasco Rossi per Patty Pravo, tanto per limitarsi a qualche esempio».
La sensazione netta è che stavolta più che mai - conclude Antonelli - si tratti in gran parte di testi «scritti all'unico scopo di accompagnare la musica col suono delle parole. Testi domopak prodotti al metro per confezionare melodie che devono scivolare via facili».
A Sanremo si parlerà anche quest’anno, come ogni anno dal 1950 a oggi, d’amore. E questa non è certo una novità. Ma da artisti che pure nella loro produzione possono sfoggiare canzoni di buon e a volte ottimo livello, pur restando nei parametri italiani, forse ci si aspetta sempre qualcosa di più. Pensiamo a Ron, ad Alex Britti, ai grandi Nomadi, allo stesso Gianluca Grignani, alla citata Nicky Nicolai... Sarà la sindrome sanremese, che evidentemente attanaglia gli autori quando sono alle prese con un brano da presentare al Festivalone. O forse per la nostra immarcescibile saga canora vengono riservate proprio quelle composizioni con quel determinato tipo e qualità di ingredienti (non a caso si parla di «brani sanremesi»...).
Poche le eccezioni. La «Tempesta» che Elisa ha scritto per Simona Bencini, ex cantante dei Dirotta su Cuba, di cui scriviamo qui sotto. La filastrocca di Povia, «Vorrei avere il becco», che almeno ha il pregio della freschezza e dell’originalità. L’inquietudine e la voglia di esperienze sempre nuove cantate da Mario Venuti (quello di «Legami», Sanremo 2004) con gli Arancia Sonora. Pochissimo altro. E il resto è notte.

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