mercoledì 15 marzo 2006

Ancora Bruce Springsteen. Dopo il cofanetto celebrativo dei trent’anni dall’uscita di «Born to run» e dopo il doppio con il concerto londinese del novembre ’75 all’Hammersmith Odeon, usciti a cavallo fra l’anno vecchio e quello nuovo, il 24 aprile uscirà il suo nuovo album, il ventunesimo di una carriera cominciata nel lontano ’73 con «Greetings from Ashbury Park». Il nuovo disco s’intitola «We Shall Overcome - The Seeger Sessions» ed è per l’appunto dedicato a quello che è un po’ il padre della tradizione folk americana, il grande Pete Seeger. Del quale il rocker di Freehold rilegge tredici classici. Classe 1919, Seeger è considerato assieme a Woody Guthrie - con cui collaborò fin dagli anni Quaranta - il più importante folk singer statunitense prima dell’avvento di Bob Dylan.


«Molto di quello che scrivo - ha riconosciuto Springsteen - soprattutto quando compongo in modo acustico, attinge direttamente dalla tradizione folk. Realizzare quest’album ha rappresentato per me un cammino liberatorio a livello creativo, perché tutte le diverse sonorità delle origini mi appassionano... hanno il dono di riuscire a rievocare un intero universo con semplici note e poche parole». E Jon Landau, il suo storico manager (quello che più di trent’anni fa, quando faceva il critico musicale, scrisse la frase «Ho visto il futuro del rock’n’roll. Il suo nome è Bruce Springsteen...», prima di mollare il giornale e andare a lavorare col Boss...), aggiunge: «Il disco è attraversato da un senso di spensieratezza, di grande serenità e di incontaminata gioia che lo rendono speciale dall’inizio alla fine. Bruce ha raccolto l’anima del repertorio classico americano ed è riuscito a dare ad ognuno di questi brani un’interpretazione personale di grande energia, modernità e intensità...». Springsteen ha registrato il disco con Sam Bardfeld al violino, Art Baron alla tuba, Frank Bruno alla chitarra, Jeremy Chatzy al basso, Mark Clifford al banjo, Larry Eagle alla batteria e alle percussioni, Charles Giordano (organo, piano e fisarmonica). E ancora Ed Manion al sax, Mark Pender alla tromba, Richie «La Bamba» Rosenberg al trombone, Soozie Tyrell al violino, oltre alle voci di Lisa Powell e Patti Scialfa. Lui ha suonato chitarra, armonica, organo, percussioni e ha contribuito ai cori. I titoli: «Old Dan Tucker», «Jessie James», «Mrs. McGrath», «Oh, Mary, don't you weep», «John Henry», «Erie Canal», «Jacob's ladder», «My Oklahoma home», «Eyes on the prize», «Shenandoah», «Pay me my money down», «We shall overcome», «Froggie went a-courtin'».
<CF32>Cesaria Evora</CF> continua a stupirci a ogni nuovo lavoro. Il nuovo «Rogamar» (SonyBmg) è un piccolo scrigno con quindici perle capaci di regalare all’ascoltatore atmosfere ed emozioni senza tempo. Gran voce, la sua, cresciuta nell'arcipelago di Capo Verde, manciata di isole verdi nell'Atlantico, di lingua e cultura portoghese, a 500 miglia dalle coste africane. Fra i brani: «Avenida marginal», «Africa nossa», «Amor e mar» e quello che dà il titolo al disco. Fra gli ospiti, il brasiliano Jaques Morelenbaum.
L’abbiamo visto ospite nella serata finale di Sanremo. Del grand’ufficiale <CF32>Andrea Bocelli</CF> è appena uscito il <WC1>nuovo album «Amore»<WC> (Sugar<WC1>)<WC>,<WC1> <WC>già uscito negli Usa e in America Latina, <WC1>in cui l'artista reinterpreta alcune delle più famose canzoni del repertorio romantico e dei grandi classici della musica pop<WC>: da<WC1> «Besame mucho» e «Canzoni stonate»... Ospiti: Christina Aguilera e Stevie Wonder.
Con la loro «Dove si va», messaggio contro tutte le guerre, hanno rischiato di vincere Sanremo. Ma si sono dovuti fermare all’affermazione comunque importante nella categoria Gruppi. Sono ovviamente i Nomadi, q<WC1>uarantatrè anni di vita, <WC>centocinquanta<WC1> concerti l'anno, <WC>centosettanta<WC1> fanclub, una media di 150<WC> mila<WC1> copie vendute per ogni<WC> <WC1>disco.<WC>
E un nuovo disco è appena arrivato, per rinverdire la leggenda di un gruppo nato nell’Emilia Romagna folk-beat degli anni Sessanta, e che sembrava non dover sopravvivere alla scomparsa, nel ’92, del cantante e leader Augusto Daolio. L’album s’intitola «O con me o contro di me» (Atlantic) e propone una manciata di nuove canzoni, fra cui ovviamente quella portata al Festival. Sono canzoni che parlano di pace, di convivenza, di tolleranza. Su un tappeto sonoro che coniuga ispirata canzone d’autore e sanguigno pop-rock. Oltre al brano che dà il titolo al disco, spiccano «L’ultima salita» e «Status symbol».
Ma quei numeri importanti citati all’inizio forse non bastano a dare l'idea di cosa abbiano significato e tuttora significhino i Nomadi nella storia della musica e della società italiana. Per capirlo, Massimo Cotto ha fatto parlare loro: Beppe Carletti, ma anche Danilo, Cico, Daniele, Sergio e Massimo. Ne è venuto fuori il libro«Dove si va - Conversazione con i Nomadi» (Aliberti editore, pagg. 160, euro 14), i cui gli autori di «Io vagabondo» si raccontano, tutti assieme e uno alla volta.
Le voci dei Nomadi descrivono la nascita di una canzone, la vita privata oltre il gruppo musicale, il rapporto con il pubblico appreso nelle balere. «Nei primi anni Sessanta si suonava in quei posti lì, che ti aiutano a non dimenticare mai chi hai davanti», racconta Carletti, classe 1946, unico fondatore ancora in attività e mente organizzativa del gruppo che fu del compianto Augusto Daolio.



Nella serata finale dell’ultimo Sanremo il vecchio Mimmo è stato citato in apertura («Vecchio frac» cantata da Giancarlo Giannini) e in chiusura (duetto di Pausini e Ramazzotti sulle note di «Volare»). E nella collana «Via Asiago 10» è appena uscito un disco che alterna registrazioni storiche di suoi concerti (radiofonici) in Rai a interviste e interventi vari, tra cui un commento su Modugno da parte del poeta Salvatore Quasimodo. Fra le canzoni, oltre alle due già citate, ascoltiamo «Stasera pago io», «La donna riccia», «Musetto», «Amara terra mia», «La lontananza», «Tu si ’na cosa grande»... Disco importante per la memoria storica della musica italiana.


Lo stesso titolo di un disco di Randy Newman uscito nel ’70, per un album che riporta il grande Neil Diamond ai fasti creativi più o meno dello stesso periodo. Era infatti il ’72 quando il cantautore americano pubblicò «Moods», considerato da molti il suo ultimo capolavoro prima di perdersi nei meandri di un mainstream assai di maniera. A 64 anni il nostro imbraccia nuovamente la chitarra acustica e, supportato da una band nella quale brilla Billy Preston al piano, dimostra di esser ancora capace di sfornare quadretti acustici di gran gusto e indubbia classe. Come la splendida «Evermore». O anche «Delirious love», cantata in duetto con Brian Wilson, fra i bonus.

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