venerdì 3 marzo 2006

Stretto fra le polemiche per i costi e massacrato dagli ascolti in caduta libera, il 56.o Festival di Sanremo continua nella strada verso la finale di domani. Ieri sera la pattuglia dei cantanti in gara si è ulteriormente ridotta. Sono stati infatti eliminati Luca Dirisio («Sparirò», categoria Uomini), Spagna («Noi non possiamo cambiare», Donne), Noa con Carlo Fava & Solis String Quartet («Un discorso generale», Gruppi). Fra i Giovani, passano L’Aura, Riccardo Maffoni e Tiziano Orecchio.


Ma ieri sera si è avuta anche la riprova che buona parte delle responsabilità di questo brutto Sanremo ricadono sulle spalle di Giorgio Panariello. E di chi ha deciso di affidare a lui conduzione e direzione artistica della 56.a edizione della massima rassegna canora di casa nostra. Come dire: il direttore di Raiuno Fabrizio Del Noce.
Si può discutere a lungo sull’opportunità di chiamare un comico alla conduzione di un Festival della canzone. Ma un comico deve comunque e innanzitutto far ridere. Anche a Sanremo. E Panariello, con i suoi doppi sensi di bassa lega, con le sue battute piccole piccole, con la sua comicità casereccia e innocua, non fa ridere. Annoia. Al massimo può fare la spalla di qualcuno.
E ieri sera, si diceva, se ne è avuta la riprova. Prima con Leonardo Pieraccioni, poi con Carlo Verdone. Entrambi attori e comici popolari, che di certo non possono essere tacciati di intellettualismi o di atteggiamenti snobistici, ma che vivaddio quando partono non li ferma più nessuno... Proprio com’è successo ieri sera al Festival.
L’arrivo di Pieraccioni ha avuto un antefatto. Panariello intervistato dal Tg1 di mezza sera, che con fare serio annuncia: «Stasera non sarò sul palco. So di dare qualche dispiacere a qualcuno, ma per un comico che deve far ridere, le polemiche di questi giorni sono un grave ostacolo psicologico e non ho nessuna intenzione di salire sul palco di Sanremo...».
L’intervistatore ha la faccia perplessa. Qualcuno abbocca. Ma è solo una gag per lanciare Pieraccioni, che infatti apre la serata. Ed è in serata di grazia. Fresco, veloce, scoppiettante. Una a caso: «È uno scandalo che sia stata eliminata la canzone di Anna Oxa, era la preferita mia e di mia mamma: a casa quando la sentivamo facevamo il trenino...». Niente de che, però ha un’altra marcia. Dopo aver introdotto Ilary Blasi, chiama «mio fratello Cateno», cioè il personaggio balbuziente che lo affiancava nel suo ultimo film «Ti amo in tutte le lingue del mondo». Cioè lo stesso Panariello, che come spalla funziona perfettamente.
Stessa scena un’ora e mezzo dopo. Quando il conduttore introduce tale Assunta de Senis, presunta vecchia gloria del Festival che parla di Nunzio Filogamo come di una «mia carissima amica», di Nunzio Gallo «grande amante», di Natalino Otto «dalla fantasia sfrenata che lo faceva nei garage», di Claudio Villa «un flirt di sei-sette settimane ma era troppo romano, sempre in canottiera dentro casa...». Ovviamente si tratta di Carlo Verdone, truccato da vecchia signora, anche lui in serata di grazia, che alla fine della gag viene raggiunto da Silvio Muccino, suo partner nel film in uscita «Il mio miglior nemico».
Strano Festival. Stretto fra gli ascolti in caduta libera e le polemiche per i suoi costi (finora si era parlato di tre milioni di euro, «Panorama» oggi in edicola parla di una cifra vicina ai nove...), per i compensi imbarazzanti del conduttore, delle vallette, degli ospiti: dal milione per Panariello ai 400 mila per la breve comparsata di Travolta... Un Festival costretto dunque a chiedere aiuto, pur di non naufragare definitivamente, oltre che ai due citati campioni della risata, anche agli olimpionici freschi di medaglia a Torino 2006 e al campione di wrestling John Cena. «Affrontato» da un Panariello travestito da Pippo Baudo.
Tutte cose che con un festival di canzoni non dovrebbero aver nulla a che fare. Ma a Sanremo, si sa, le canzoni sono da tempo diventate la cosa meno importante. Poco più di un pretesto. Ciononostante, quasi per dovere di cronaca, ne riferiamo. Ieri sera il ghiaccio è stato rotto da Simona Bencini con la sua «Tempesta» cui la melodia scritta da Elisa non basta per uscire dalla mediocrità che non lascia traccia. Altro discorso per i vecchi Nomadi, rinati attorno all’unico componente originario, Beppe Carletti. Hanno una personalità forte, la loro «Dove si va», messaggio di pace e di speranza, convince ascolto dopo ascolto. Che è poi quel che avviene anche con Alex Britti, col suo blues all’amatriciana in odore di podio.
Spagna, lontana mille miglia dalle origini dance, sembra essere ormai diventata uno di quegli strani personaggi che sbucano fuori solo per Sanremo: «Noi non possiamo cambiare» non aggiunge nulla al suo campionario melodico moderno. Situazione simile per Michele Zarrillo, che con «L’alfabeto degli amanti» è lontano dalle cose migliori. Meglio gli Zero Assoluto (uno dei quali è figlio di quel Mario Maffucci che fu per tanti anni il potentissimo capostruttura Rai delegato al Festival), che non sfigurano con il loro pop fresco, sussurrato, per adolescenti inquieti.
Luca Dirisio è nullo. Noa, Carlo Fava & Solis String Quartet hanno classe e originalità: praticamente degli alieni, in questo Festival. Dolcenera si comporta ormai da vincitrice annunciata, anche se dice che a lei la vittoria non interessa. La canzone è costruita per vincere, lei la interpreta con piglio ruffiano. Quasi quasi meritererebbe che le giurie le preferissero qualcun altro...
Restano i Giovani. Ieri sera i migliori erano L’Aura, Riccardo Maffoni e Ivan Segreto (quest’ultimo eliminato dalle giurie). Costretti alle ore piccole, come anche Maria Grazia Cucinotta e l’ospite straniera Shakira. Chissà, forse si tira l’una di notte solo per inseguire qualche punto di «share» in più...

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