martedì 25 aprile 2006

Due mesi fa ha sfiorato la vittoria a Sanremo Giovani, superato sul filo di lana da Riccardo Maffoni. Anche se forse aveva più diritto lui - forte del successo di un tormentone come «Vorrei cantare come Biagio» - a gareggiare fra i big, che non tanti altri. <IP9>Simone Cristicchi, il cui tour fa tappa domani sera al Teatro Ciconi di San Daniele del Friuli, non ci fa caso. E sembra avere le idee molto chiare su come continuare la sua strada nell’effimero mondo della canzonetta.
«A Sanremo è andata bene così - dice il cantante romano, classe 1977 - non mi interessava né della gara né tantomeno del girone. Lo dico sul serio. Mi interessava presentare la canzone ”Che bella gente”, col suo attacco all’ipocrisia, alle critiche frettolose, per dimostrare anche che non ero solo quello di ”Vorrei cantare come Biagio”...».
Un tormentone che le è rimasto appiccicato...
«Sì, con quella canzone ho ormai un rapporto di amore/odio. Mi ha permesso di farmi notare, certo, ma sto ancora lavorando per dimostrare che so fare anche altro».
Perchè Biagio Antonacci?
«Perchè lui è per me una sorta di icona di un certo modo di fare musica. Incarna il ”romantico”, anzi, il ”romanticone” del Duemila, il Baglioni dei giorni nostri...».
Insomma, non era vera adulazione...
«No, e bastava sentire il testo della canzone per capirlo. Del resto, se avessi voluto fare un inno a un mio idolo musicale, l’avrei fatto, chessò, a Elvis Presley, non certo a lui...».
È vero che all’inizio lui l’ha presa male?
«Beh, sì, all’inizio l’ha presa con un po’ di sospetto. Aveva capito benissimo il senso della canzone. Poi la cosa è esplosa, e lui ha fatto buon viso: ha accettato la cosa con intelligenza e simpatia nei miei confronti. Mi ha anche invitato ad aprire alcuni suoi concerti...».
Prima delle canzoni lei faceva fumetti...
«Sì, sono un discepolo di Jacovitti. E penso che fumetto e canzone siano forme di espressione simili. Entrambe sono costretti alla sintesi. C’è poco spazio, sia in una striscia che nei tre-quattro minuti di un brano...».
Il suo spettacolo s’intitola «Centro di igiene mentale». Com’è nato?
«Prende spunto dall’esperienza che ho fatto, prima come obiettore di coscienza e poi come volontario, in un centro di igiene mentale a Roma. Racconto alcune mie impressioni, alcuni spunti di riflessione, nati da quell’esperienza. Personaggi a volte buffi, a volte strampalati, ma sempre ricchi di grande umanità, che riuscivano a trasmettere nonostante la sofferenza e la malattia...».
Un’esperienza che l’ha segnata...
«Sì, e da cui ho imparato molto. Tanti di loro erano come bambini. Mi raccontavano le loro storie, la loro vita, spesso caratterizzata dall’emarginazione, ma lo facevano con leggerezza. Mi piace pensare che in questo spettacolo me li porto ancora in giro con me, suo mio carrozzone...».
Ma lei a chi si ispira?
«A Giorgio Gaber. È al suo teatro canzone che mi ispiro, con tutta l’umiltà possibile. Nei monologhi che si alternano alle canzoni dello spettacolo parlo di tutto, sempre con ironia, mettendo in luce il lato scanzonato delle cose...».

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