mercoledì 17 maggio 2006

di Carlo Muscatello    TRIESTE Poca gente, ieri sera al Politeama Rossetti, per il bel concerto di Michele Zarrillo. Che poi si sa: non c’è (quasi) niente di più triste di un teatro mezzo pieno. O mezzo vuoto, a seconda dei punti di vista. Colpa della crisi economica, colpa della tanta musica gratuita che c’è in giro, chissà... Fatto sta che le grandi platee, gli stadi e i palasport e i teatri pieni sono ormai prerogativa soltanto delle grandi star. Gli altri, gli onesti e dignitosi lavoratori della canzone, gli operai - si fa per dire - della musica, devono accontentarsi di platee ridotte.
È il caso di Michele Zarrillo, quarantanovenne cantautore romano con un lontano passato di rocchettaro, frequentatore abituale dei Festival di Sanremo, che da un mese sta portando in giro per i teatri questo spettacolo intitolato «L’alfabeto degli amanti». Come il disco appena uscito, come la canzone portata con successo all’ultimo festivalone.
Si presenta in scena quasi puntuale, camicia e giacca scure, jeans, capello brizzolato, occhiali alla moda. Aspetto normale, quasi da (ex) ragazzo della porta accanto, praticamente l’antitesi della popstar. Attacca con «Soltanto un attimo», dall’ultimo album. Da cui subito dopo arrivano anche la title-track e «Se l’amore ha scelto noi». E poi ancora «Tutta la vita che c’è», con il nostro che imbraccia per l’occasione una chitarra acustica nera.
La scenografia divide la band su due piani: quattro musicisti in alto, gli altri due, assieme a Zarrillo, sulla scena. È un attimo. La pedana si apre e arriva al centro del palco un pianoforte nero a mezzacoda: l’artista prende posto, le sue mani corrono sulla tastiera ed è il momento de «L’acrobata», portata al Sanremo del 2001.
Grande cesellatore di melodie, l’uomo ha adottato da molti anni il linguaggio dei sentimenti. Offre all’ascoltatore un calibrato mix di emozioni che ciascuno prova, chi prima chi dopo, nella sua vita. Apre pian piano il suo scrigno di parole e suoni e ricordi, e vi fa accomodare il pubblico. Che si sente sempre a suo agio. Una sorta di «mediano della melodia», se vogliamo adattare l’immagine di Ligabue con la sua «vita da mediano» del rock.
Il concerto prosegue. Successi di ieri e di oggi. «Gli angeli» e «L’amore vuole amore», «Un nuovo giorno» e «Maddalena», «Il vincitore non c’è», ovviamente «La notte dei pensieri», «Una rosa blu», «L’elefante e la farfalla»... A un certo punto il nostro fa volare la giacca e imbraccia una rossa chitarra elettrica, che dimostra di padroneggiare alla perfezione. E quando va a duettare col «chitarrista titolare», chissà, torna indietro di trenta e passa anni, alle periferie della sua Roma, quand’era il giovanissimo cantante e chitarrista prima dei Semiramis e poi del Rovescio della Medaglia, gruppo di un certo nome nel rock d’avanguardia italiano dei primi anni Settanta.
Poi Zarrillo si scatena, con le movenze del vecchio rocker. All’ennesima piroetta perde l’equilibrio e rischia di franare per terra. ma si salva in tempo. E il pubblico triestino - pochi ma buoni, come si dice in queste occasioni - è tutto per lui...

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