martedì 9 maggio 2006

ROMA Pietro Garinei è morto ieri notte in un ospedale romano, dove era ricoverato da qualche giorno. Il padre - con Sandro Giovannini - della commedia musicale italiana era nato a Trieste nel 1919.


Ottobre del 2004. Pietro Garinei è a Trieste - nella «sua» Trieste... - per seguire l’ennesimo debutto del suo «Vacanze romane» al Politeama Rossetti. E l’amministrazione comunale, assieme allo Stabile del Friuli Venezia Giulia, coglie l’occasione per organizzare nel salotto azzurro del municipio una piccola cerimonia per la consegna del sigillo trecentesco della città a quell’illustre «triestino per caso».
Garinei era uno degli ultimi gentiluomini dello spettacolo italiano. Un vero signore, di quelli di cui si è perso lo stampo. Lo dimostrò anche in quell’occasione. Lusingato ma anche un po’ sorpreso, almeno apparentemente, per quell’interesse, quella dimostrazione d’affetto. Pronto a schermirsi alla fine dell’intervista: «Ma tutte queste cose, non vorrà mica scriverle sul giornale... A chi vuole che interessino... Bastano dieci righe su questo sigillo del Comune».
Pietro Garinei era nato a Trieste il 25 febbraio 1919. Nella città di San Giusto rimase solo trentanove giorni. «Non so se sia vero - raccontò in quell’occasione il re, con Giovannini, della commedia musicale italiana - ma mio papà mi raccontava sempre che ero stato il primo italiano nato a Trieste e battezzato a San Giusto dopo la Grande guerra. Fra l’altro il mio padrino fu Rino Alessi, che poi sarebbe diventato proprietario e direttore del ”Piccolo”, molto amico di papà...».
«Mio padre era romano, faceva il giornalista per il ”Secolo” ed era stato inviato qui, sul fronte nordorientale. Fra l’altro fu lui che trovò la salma di Francesco Baracca sulle pendici del Montello: una sorta di scoop, per l’epoca. Mia mamma era nata a Udine, lo raggiunse a Trieste e io nacqui qui. La mia permanenza in città durò in tutto trentanove giorni, quella dei miei genitori qualche settimana in più...».
Ma il legame di Garinei con la città non si limitava ai natali. Sua moglie, di cui parlava ancora al presente, anche se da tempo «ci guarda da lassù», era infatti triestina: si chiamava Gabriella Turco «ed è stata lei a farmi amare veramente quella che chiamo comunque ”la mia città”...».
«La mia famiglia era proprietaria di una delle più antiche farmacie di Roma: fondata nel 1595, sta ancora scritto in una targa. Ogni trent’anni bisognava rinnovare la licenza comunale e c’era bisogno di un Garinei laureato in farmacia. Toccò a me, e quello fu il mio primo lavoro. Conobbi Gabriella perchè faceva l’impiegata in una ditta in Galleria Colonna, a due passi dalla nostra farmacia, che stava a piazza San Silvestro, al numero 15...».
«Ma io in farmacia stavo stretto. E ben presto scaricai quell’onere familiare sulle spalle di mio fratello e mi lasciai sedurre dall'ambiente giornalistico che frequentava mio padre: dopo il Secolo aveva lavorato in un giornale che era stato chiuso dai fascisti, e dopo ancora alla Gazzetta dello Sport. Vicino alla farmacia c’era la grande sala stampa, dove arrivavano tanti giornalisti. E io cominciai proprio per la Gazzetta».
«A Trieste ci tornavo raramente. Una volta nel ’46, al seguito del Giro d’Italia, per un programma radiofonico della Rai che si chiamava ”Giro in Giro”: la sera dopo ogni tappa facevamo una piccola rivista di mezz’ora, con Mario Riva e il Quartetto Cetra. Fu l’anno in cui il Giro doveva arrivare a Trieste ma fu bloccato prima di Duino, con filo spinato e bidoni di catrame sull’asfalto. Ci furono degli incidenti, alla fine vinse Giordano Cottur, che arrivò a Trieste con altri diciassette, scortati dalle jeep americane...».
«L’amore per lo spettacolo? Vicino alla farmacia, oltre al luogo di lavoro di mia moglie e la sala stampa, c’era anche il Cinema Galleria, regno dell’avanspettacolo, della rivista. E io, appena finivo il mio turno, non mi perdevo uno spettacolo. Fu lì, in quelle lunghe serate, che mi innamorai di questo genere teatrale...».
Insomma, possiamo dire che <WC1>la commedia musicale italiana è nata tra i banchi di una farmacia. <WC>Quella<WC1> farmacia <WC>che<WC1> rimaneva aperta tutta la notte<WC>, e che di notte<WC1> diventava il luogo d'incontro di gente come Flaiano, Age, Scarpelli, <WC>«<WC1>che passavano in farmacia a bere un bicchierino»<WC>.
<WC1>Si trattava di liquorini speciali, elisir a base di rabarbaro e china preparati prevalentemente dal fratello di Garinei<WC>.<WC1> Di giorno l'elisir funzionava regolarmente da tonico e lassativo<WC>,<WC1> di notte diventava bevanda da proibizionismo.
<WC>N<WC1>el retro di quella farmacia cominciarono a riunirsi artisti, letterati, giornalisti<WC>,<WC1> scrittori<WC>... C<WC1>ontatti e amicizie decisivi per la carriera del futuro commediografo<WC>, <WC1>che intanto aveva conosciuto quello che sarebbe diventato l'inseparabile compagno di tante avventure artistiche<WC>.
Ma ricordiamo ancora le parole di Garinei: «Nella tribuna stampa dello Stadio Flaminio conobbi Sandro Giovannini. Lui lavorava per il Corriere dello Sport, io per la Gazzetta. Fra i giornali c’era una grande rivalità, noi diventammo amici. Avevamo due amori in comune: la Roma e il teatro».
«All’inizio ci facevamo degli scherzi feroci. Una volta lui mi fece credere che era morto Muscletone, un cavallo molto famoso negli anni Trenta: io pubblicai la notizia e ovviamente non era vero nulla. Bella figura... Per la vendetta lasciai passare un po’ di tempo e un giorno riuscii a fargli arrivare un comunicato del Coni, contraffatto, in cui c’era scritto che un tal ciclista olandese aveva battuto il record mondiale dell’ora che apparteneva a Coppi. Lui passò la notizia e quella volta risi io...».
«Ma lo spettacolo era la nostra vera passione. Scrivemmo un testo, ”Sono le sette e tutto va bene”, che non fu mai rappresentato. C’era la guerra, e le sette era l’ora del coprifuoco. Finita la guerra rifondammo ”Cantachiaro”, un giornale satirico che era stato soppresso dai fascisti. E poi ne facemmo una rivista teatrale, con lo stesso titolo: debuttò il primo settembre del ’44, al Teatro Quattro Fontane. C’erano Anna Magnani, Marisa Merlini, Olga Villi...».
«Fummo accolti bene. E andò meglio l’anno dopo, con ”Cantachiaro n.2”, al Teatro Valle, sempre con la Magnani, ma anche con Gino Cervi, Aroldo Tieri, Ave Ninchi, un debuttante Raimondo Vianello che si faceva chiamare Raimondo Viani...».
«Insomma, era nata la ditta ”Garinei & Giovannini”. La prima volta che i nostri nomi campeggiavano solitari sulle locandine fu per lo spettacolo ”Soffia, so’”. C’era ancora la Magnani con noi, e il fatto che lei, donna straordinaria, non ci avesse lasciato era la prova del nostro successo».
Wanda Osiris. «Lavorare con lei rappresentò il passaggio dalla rivista satirica, con compagnie di otto, massimo dieci attori, alla grande rivista, che significava anche grandi compagnie. Con la Wandissima debuttammo con ”Si stava meglio domani”, doveva essere il ’46, e l’anno dopo facemmo anche ”Domani è sempre domenica”...».
La commedia musicale italiana. «Nacque dopo. Eravamo stanchi della rivista, sapevamo che in America era nata la musical comedy, cioè la commedia musicale, ed eravamo impazienti di andarla a vedere. Con Sandro facemmo una scommessa, su chi per primo sarebbe riuscito ad avere il visto e a volare oltreoceano. Vinsi io, sbarcai a New York e la sera stessa andai a vedere ”Guys and dolls” a Broadway. Il giorno dopo gli telefonai e gli dissi: Sandro, dobbiamo cambiare tutto... Avevo capito che c’era un altro modo di fare uno spettacolo musicale. E che era molto più accattivante, agile, divertente, adatto al grande pubblico».
La rivista. «Era un susseguirsi di immagini, senza una storia vera. Sì, c’era una trama, ma era leggera, quasi un pretesto per le immagini. Nella commedia musicale invece la storia c’era, ed era molto importante».
«Tornato in Italia cominciammo a lavorare alla prima commedia musicale del dopoguerra: ”Attanasio, cavallo vanesio”, con Renato Rascel e Lauretta Masiero. Musiche di Gorni Kramer. Debuttammo a Roma, nel ’52...».
Poi, Garinei spiegava perchè non amava il termine ”musical”: «Non mi piacciono i termini italiani, e ”musical” non è altro che la contrazione di ”musical comedy”, ovvero commedia musicale. Poi l’Italia oggi è abbastanza frequentata da spettacoli americani che si chiamano musical, quindi è bene che quelli italiani si chiamino commedia musicale: l’erede dell’operetta, la modernizzazione del melodramma...».
Un lampo di orgoglio negli occhi al ricordo delle tournèe all’estero: «In tutti questi anni i nostri spettacoli sono stati rappresentati in mezzo mondo. Ma vedere il nostro ”Rugantino” a Broadway, nel ’64, nella patria della ”musical comedy”, è stata davvero una soddisfazione impagabile: era come andare all’università del musical...».
Il forte legame di Garinei con Trieste - che nel ’96 gli conferì anche il Premio Operetta - è stato ricordato ieri anche dal sindaco Dipiazza: «Anche se a Trieste aveva vissuto solo pochi giorni, Garinei chiamava Trieste ”la mia città”. Legami rinsaldati dalla moglie triestina e da un amore verso questi luoghi in realtà mai nascosto».
È vero, i natali triestini li ricordava sempre, in ogni occasione. Anche cinque anni fa, quando gli amici più stretti lo festeggiarono al Sistina. E lui disse, con quel sorriso garbato: «Pensate, questo omaggio di Roma... va a uno che è nato a Trieste...».

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