giovedì 8 giugno 2006

di Carlo Muscatello
TRIESTE Da ieri pomeriggio Trieste è per tutta la settimana sugli schermi giovani di Mtv, che torna dunque in città dopo il megaevento dell’estate scorsa. Giovedì e venerdì arriva la carovana del Festivalbar, che porterà le immagini triestine per tutto il mese di luglio su Italia 1. E poi i concerti, i set televisivi e cinematografici, i festival e le rassegne...


Ma in questa società dove conta (solo?) apparire, magari col botto, è dunque necessario il grande evento, per trasformare l’identità culturale di Trieste in un segno visibile anche all’esterno? Ci vuole qualcosa come un grande festival (letteratura, cinema, teatro, musica...), per tradurre l’anima culturale della città in volano capace di contribuire alla sua crescita economica e turistica? O è la città stessa, come ha scritto qualcuno, che deve cambiar marcia e farsi essa stessa evento?
Il dibattito avviato nei giorni scorsi sulle colonne del «Piccolo» si arricchisce ogni giorno di nuovi contributi e interventi. «Tutta la vita culturale della città - afferma lo scrittore <CF32>Giorgio Pressburger</CF>, nato a Budapest, triestino d’adozione -, che non è comunque da disprezzare, andrebbe aggiornata e resa costante, non legata soltanto ai grandi eventi. Eventi che ci possono essere, ma non bastano a fare il valore della città. La cultura va affidata a chi la fa. E Trieste meriterebbe che tutte le istituzioni culturali avessero più peso, venissero considerate come il perno della vita cittadina, e non solo come un contorno».
«La scelta della città - aggiunge Pressburger - è andata in questa direzione per tutto il Novecento, ma da tempo la cultura è relegata in secondo piano. Come se Trieste non fosse già stata un centro importante, una capitale. Il suo ruolo deve tornare a essere quello di tramite fra varie culture. Come nel ’46, nel dopoguerra, quando c’era un grande fervore culturale. O si riacquista la consapevolezza di questa sua importanza, oppure non c’è grand’evento che tenga...».
La pensa così anche <CF32>Chiara Omero</CF>, direttore artistico del festival Maremetraggio, che parte il 30 giugno. «Non credo serva un singolo grande evento, essendo già Trieste un brulicare di eventi che vivono di vita propria in una città fino a poco tempo fa addormentata. Ci sarebbe bisogno di maggior coesione, collaborazione, "centrifugazione" di buona parte di questi eventi per far cambiare marcia alla città».
«Trieste - aggiunge Chiara Omero - ha cinque festival cinematografici: se le istituzioni ci aiutassero, sarebbe già un buon passo avanti. Un unico grande evento farebbe morire tutti, e non so sinceramente con quale riscontro...».
Un parere analogo quello di <CF32>Gino D’Eliso</CF>. «Credo che la città - spiega il musicista - abbia a disposizione addirittura troppi stimoli, troppe possibilità, troppe memorie e potenzialità ancora inespresse. L'incombere onnipresente della storia, che si dovrebbe vivere come arricchimento morale e culturale, le tradizioni marinare, commerciali, cosmopolite e di tolleranza; la Trieste plurilingue, multiculturale, multietnica, pluriconfessionale, porta dei Balcani; e ancora la letteratura, la musica, il neoclassico, la psicanalisi, sino ad arrivare a Basaglia. Non si possono dimenticare la scienza, la ricerca...».
«Dovremmo evitare - conclude D’Eliso - sia di autoincensarci (quante belle cose abbiamo...), che di autocommiserarci (quante belle cose abbiamo ma nessuno le conosce, le promuove...). Non serve presentare Trieste come città dell’operetta, della scienza, della riforma psichiatrica, del neoclassico... Trieste non deve avere un target di riferimento preciso: abbiamo la fortuna di avere un vento che scuote, che agita, che mescola, che ingarbuglia un po' tutto. Questa dovrebbe essere la nostra forza, il nostro punto di riferimento. Non occorre copiare le iniziative di nessuno: siamo già noi "un evento" e basterebbe saper organizzare il tutto in maniera agile e interdisciplinare, senza umiltà ma senza supponenza...».
Sentiamo <CF32>Valerio Fiandra</CF>, operatore culturale. «Ogni idea, ogni evento, sia da inventare che da copiare, o da ripescare fra i tanti bruciati per insipienza o poca lungimiranza, ha senso solo se anticipato da piccoli ma concreti segnali di apertura e coraggio. Un’effettiva programmazione coordinata, a fini turistici e di attrattiva economica, per esempio. Una scelta di fondo fra settori e mercati maturi e l'innovazione ben temperata...».
«È necessaria - aggiunge Fiandra - un’opera di valorizzazione delle risorse selezionate per competenza, di accoglimento delle idee giovani e aggiornate tecnologicamente, di sprovincializzazione, di orgoglio, ma senza alcuna nostalgia, tranne quella del futuro... Bisogna avviare un dibattito provvisto di potenziale efficacia per produrre un'idea condivisa e concretizzabile di Trieste. Soltanto dopo, si potrà anche pensare a un ”evento”, o a un progetto su cui concentrare risorse...».
Il parere di <CF32>Guido Galetto</CF>, assessore alla cultura della Provincia nei cinque anni passati: «Piaccia o non piaccia, l’evento, la manifestazione di richiamo è il primo tassello da incastrare nel puzzle chiamato Trieste. In tal senso sono convinto che la Pescheria giocherà un ruolo fondamentale, diventando un polo artistico unico per collocazione ambientale. Perché un conto è muoversi dal Nord Italia per andare in un sito decentrato come Villa Manin, un'altra cosa è recarsi per un evento culturale nella nostra città. Ed è qui che devono partire le sinergie, creando eventi collaterali (magari concordati con le gallerie private locali), dando la possibilità al visitatore di usufruire gratuitamente dei nostri spazi museali e anche dei teatri».
«Sarebbe importante - dice ancora Galetto - che ognuno degli enti pubblici rinunciasse a un frammento di propria legittima visibilità, per condividere (soprattutto economicamente, con l’aiuto di sponsor da ricercare in maniera professionale) la partecipazione».
«Quello che qui non si riesce a cogliere e promuovere - sostiene <CF32>Rosella Pisciotta</CF>, del Teatro Miela - è il fatto di vivere in una città centrale tra nord e sud, est e ovest d'Europa: su questo bisognerebbe lavorare, creando un progetto che occupi lo spazio di una stagione e coinvolgendo tutte le realtà culturali, ciascuna nel suo campo e con il coordinamento delle istituzioni. Potrebbero essere degli appuntamenti scaglionati nella stagione (letteratura, musica, teatro, cinema, nuove tecnologie, comunicazione...) ma con un tema comune (centralità di Trieste, apertura dei confini). Allora sì che si potrebbe arrivare a un anno di manifestazioni, che creerebbero l'anima culturale della città. Oggi in realtà c'è una miriade di eventi tutti staccati tra loro e nessuno capace di crescere. Certamente è più facile pensare a un evento unico, metterci molti soldi, ma...».
«Alcuni eventi già ci sono - sostiene <CF32>Gabriele Centis</CF>, coordinatore della Casa della Musica - come del resto moltissime offerte di spettacolo e culturali di varia natura, livello e interesse. E ciò testimonia comunque un certo tenore culturale della città. Ma per dare unità all'anima culturale della città, penso alla creazione di un ufficio, realizzato con il contributo degli enti istituzionali, con una visione d'insieme, che crei una rete di connessione tra i vari soggetti e le iniziative».
«Forse per la musica manca ancora un vero festival - dice ancora Centis - con una forte riconoscibilità e identità. E certo servirebbe, con una programmazione pluriennale, un suo pubblico e quella credibilità che solo la continuità nel tempo può dare...».
L’ultima parola ad <CF32>Antonio Calenda</CF>, direttore dello Stabile del Friuli Venezia Giulia. «Mi sembrerebbe un alibi inutile inventare l’ennesimo festival, l’ennesima nuova iniziativa, pensando che basti ad assicurare alla città maggiore visibilità e crescita economica e turistica. Il lavoro che Trieste deve svolgere è molto più profondo, ma anche più semplice e naturale. Città e regione possiedono già fin troppi eventi e festival, che spesso vengono lasciati sopravvivere, privi di linfa, entusiasmo e vera convinzione».
«Trieste deve ”essere evento” nella sua ricchezza, nella sua complessità, dando espressione alle sue infinite potenzialità che sono già tutte esistenti e attendono solo di essere valorizzare. Servono lavoro, fantasia, collaborazione e sinergie. ”Fantasia al potere”, dunque: dev’essere questo il comandamento. E bando alle soluzioni parziali e transitorie che disperdono energie, concentrazione e risorse».
«Perchè la scarsezza delle risorse - conclude Calenda - non dev’essere un nuovo alibi. Le idee hanno grande valore economico: va dunque premiato chi sa inventare, chi ha il coraggio di rischiare. La città ha gli strumenti per esprimersi, per inventare il proprio futuro».

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