giovedì 15 giugno 2006

Il Festivalbar ritorna a Trieste dopo una lunga assenza. E la storia di un antico e a tratti problematico rapporto si arricchisce di un nuovo capitolo.
Sì, perchè il legame della città con la manifestazione inventata da Vittorio Salvetti, e ora condotta dal figlio Andrea, è antico e strettissimo.
Un rapporto che comincia subito, già alla prima edizione, quando nel 1964 ad Asiago un giovanissimo Pilade (all’anagrafe Lorenzo Pilat, all’epoca in forze al Clan di Celentano) si impone con la canzone «Ciao». I giornali dell’epoca rimarcano che il giovanotto triestino alla fine batte anche il favorito Bobby Solo (Roberto Satti, di origine istriana), vincitore del girone dei big. Anche se poi, nella storia della rassegna, l’emulo italiano di Elvis Presley venne a lungo ricordato come il primo vincitore.
Passano cinque anni. E nel ’69 Lucio Battisti realizza sulla costiera triestina, a Grignano, il filmato di «Acqua azzurra acqua chiara», brano con cui vinse l’edizione di quell’anno del Festivalbar e si piazzò per varie settimane ai primi posti delle classifiche di vendita. Una sorta di video ante litteram, che è stato riproposto molti anni dopo nella manifestazione, nell’ambito di una retrospettiva filmata sulle canzoni che hanno iscritto il proprio nome nell’albo d’oro della rassegna.
Anche per quel motivo, Salvetti senior era molto legato a Trieste, dove negli anni Sessanta aveva lavorato come organizzatore di spettacoli musicali (alla Caravella di Sistiana, per esempio) e di concorsi per esordienti. Negli anni Ottanta il suo Festivalbar è ormai adulto. Dopo essere riuscito a sopravvivere alla scomparsa dei jukebox, si lega al mondo delle radio, annusa i nuovi fenomeni musicali, lancia nuovi personaggi, italiani e stranieri. E lui prova e riprova a portare la rassegna sotto l’ombra di San Giusto.
Dopo vari tentativi andati a male, ci riesce nell’86, quando il Festivalbar fa tappa per la prima volta in piazza Unità. L’ingresso è libero, la piazza è piena, non tutti i presenti sono arrivati per ascoltare i cantanti... Ne fa le spese Loredana Bertè, oggetto di un lancio di uova. Poi entra Sabrina Salerno e fa un mezzo scivolone sulle uova spiaccicate sul palcoscenico...
Peccato. Quell’86 è l’anno di «Easy Lady» di Spagna e della vittoria di Tracy Spencer con «Run to me». Tanta dance, insomma, anche e soprattutto made in Italy. In una rassegna rilanciata dal successo, l’anno precedente, dei Righeira con «L’estate sta finendo».
All’inizio degli anni Novanta, la finale del Festivalbar viene sfrattata dall’ormai tradizionale cornice dell’Arena di Verona. Problemi di permessi, di monumenti da preservare, di soprintendenze alle belle arti... Salvetti trova la soluzione. Si chiama Villa Manin, a Passariano, in Friuli.
Nel ’95 tenta di tornare a Trieste. Non ci riesce. Problemi di rapporti col Comune, di soldi, di finanziamenti che non arrivano. In compenso il carrozzone fa spesso tappa all’Arena Alpe Adria di Lignano Sabbiadoro. Nel ’96 anche all’Arena di Pola. Fino al gran ritorno di quest’anno.

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