martedì 7 novembre 2006

Che elezioni, le politiche del 2006... Sono passati soltanto sette mesi, ma a volte la sensazione è che siano trascorsi anni. E la materia sembra pronta per essere trasferita ai libri di storia della politica della nostra scalcagnata ma amata repubblica.

Ricordate? Il forte vantaggio iniziale del centrosinistra, la campagna sulle tasse e in particolare sulla tassa di successione, la rimonta di Berlusconi, e poi quel testa a testa finale, nella lunga notte fra il 10 e l’11 aprile, con quello scarto ridottissimo, sul filo di poche migliaia di voti. E quell’immagine, alle tre del mattino, da piazza Santi Apostoli, con Prodi e gli altri leader e leaderini del centrosinistra a esultare, con gli inni e le bandiere e le dita a indicare vittoria, nemmeno avessero stravinto i mondiali per dieci a zero. Chissà, forse l’inizio della fine va cercato proprio in quell’immagine, va identificato con quei volti entusiasti e ridenti, ignari di quel che sarebbe avvenuto soltanto di lì a pochi mesi...

Materia per gli studiosi e per i libri, insomma. E infatti stanno uscendo vari volumi sull’argomento. Uno s’intitola «Dov’è la vittoria - Il voto del 2006 raccontato dagli italiani» (Il Mulino/Contemporanea, pagg. 248, euro 13) e raccoglie vari interventi scritti nell’ambito di Itanes, acronimo che sta per Italian National Elections Studies, programma pluriennale di ricerca sui comportamenti elettorali e le opinioni politiche degli italiani, che vede impegnate alcune università e l’Istituto Cattaneo di Bologna.

«Io sono convinto che la campagna elettorale l’abbia vinta Berlusconi - premette Paolo Segatti, ordinario di sociologia politica alla Statale di Milano, che ha coordinato la ricerca con Paolo Bellucci - anzi, se fosse durata una settimana di più, avrebbe vinto anche le elezioni».

Eppure il distacco da cui partiva il centrosinistra era notevole...

«Ma ha fatto una campagna disastrosa. Partiva da un presupposto sbagliato. Avendo stravinto le regionali del 2005, Prodi e compagnia pensavano fosse sufficiente confermare il dato, consolidarlo, senza bisogno di andare all’attacco, senza ricordarsi che gli sfidanti erano loro».

E invece?

«Invece non si teneva conto che nelle amministrative, dove fra l’altro il centrosinistra è sempre stato più forte, chi sta al governo viene sempre penalizzato. Diverso il discorso alle politiche. Dove c’era sì una delusione nei confronti di Berlusconi, ma l’abilità di quest’ultimo e gli errori del centrosinistra hanno praticamente ribaltato la situazione esistente...».

Quali errori?

«Beh, su tasse e successioni sono stati fatti degli errori clamorosi, e il centrodestra è stato abilissmo a sfruttarli. Poi il centrosinistra ha vinto ugualmente, seppur di pochissimo, in virtù della sua ampia coalizione, dell’arretramento del centrodestra al Nord e di un passaggio di elettori dal centrodestra al centrosinistra al Sud...».

Da un decennio chi è al governo perde le elezioni. Siamo un Paese impossibile da governare?

«Non credo sia questo il punto. Diciamo che è sempre cambiata, di volta in volta, l’offerta politica. Nei vari appuntamenti sono mutati i giochi delle alleanze: il centrodestra ha perso senza la Lega, il centrosinistra senza Rifondazione e Di Pietro, poi c’è il ruolo dei radicali...».

Insomma, l’elettorato è stabile, sono le alleanza che cambiano...

«Appunto. La stabilità dell’elettorato italiano è un dato impressionante. E in questo il voto del 2006 è simile, a parti invertite, a quello del 2001: stabilità al Nord, passaggi di voto al Sud, dove il Novecento ideologico non è mai arrivato e dove le dinamiche del voto rispondono maggiormente a criteri di convenienza».

Lei nel libro firma un intervento su ”I cattolici al voto, tra valori e politiche dei valori”. Che cosa segnala, al proposito?

«Innanzitutto che il centrodestra nel 2006 ha ottenuto più voti dei cattolici praticanti rispetto al recente passato. Non è un ritorno alla Dc, ma è un segnale, perchè interrompe un trend: dal ’94 in poi, infatti, i cattolici erano più attratti dal centrosinistra».

Cos’è cambiato?

«Ci sono stati due fatti, che hanno causato l’inversione di tendenza. Innanzitutto il referendum sulla procreazione assistita, poi l’ingresso dei radicali nel centrosinistra. Si sa che quello di Pannella è il partito meno gradito dai cattolici praticanti».

Dunque una questione di valori...

«Sì, attraverso quei due fatti si è riproposta la vecchia divisione fra laici e cattolici che in parte era stata superata in passato. I cattolici del centrodestra sono uguali a quelli del centrosinistra in quanto a condotta morale personale. Divergono nelle opinioni su alcuni temi politici eticamente sensibili: l’eutanasia, i pacs, il matrimonio fra gay... Ecco, il centrodestra ha saputo intercettare maggiormente questa richiesta di valori».

Professore, se si votasse oggi?

«Fare calcoli sul futuro è sempre molto difficile. Di certo c’è un dato: il crollo della fiducia nei confronti del governo Prodi. Bisognerebbe vedere quanto questa situazione potrà poi incidere effettivamente sul voto. Magari con l’astensione di chi ha votato centrosinistra e ora è deluso. Al proposito sarà interessante vedere il voto regionale del 2008 nel Friuli Venezia Giulia. Ma l’elettorato rimane comunque stabile, con l’Italia divisa in due».

E dietro l’angolo c’è anche il possibile referendum sul sistema elettorale...

«Quella è una vera e propria mina, che potrebbe avere un effetto devastante su tutto il sistema ma soprattutto su Prodi e sui suoi alleati. Spostando infatti il premio di maggioranza dalla coalizione al partito vincente, è chiaro che si rafforzerebbe la spinta ad aggregarsi all’interno del futuro Partito Democratico. Con un effetto penalizzante innanzitutto per i partiti minori del centrosinistra, che infatti sono contrari...».

Qualcuno auspica il ritorno del proporzionale...

«Non farebbe altro che assecondare la tendenza molto italiana a ritagliarsi un proprio piccolo feudo, dal quale condizionare nascita e morte dei governi...».

Ma anche questo maggioritario permette ai partitini con l’uno o il due per cento di essere decisivi...

«È vero. Ma quel poco di bipolarismo che abbiamo ci salva dal rischio di governi incerti, variabili, privi di un indirizzo politico preciso».

Lei ha un suo sistema elettorale ideale?

«Sicuramente il maggioritario a doppio turno, come avviene in Francia. Funziona molto meglio del doppio turno italiano, previsto nell’elezione dei sindaci. Ma dubito ci arriveremo...».

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