giovedì 14 dicembre 2006

GORIZIA Il nuovo album di Caparezza - che domani alle 21 canta al Teatro Verdi di Gorizia - si apre con la stessa frase con cui si chiudeva il disco precedente: «Mamma quanti dischi venderanno se mi spengo...».

«Sono ripartito da quella frase - spiega il rapper-cantautore pugliese, che all’anagrafe di Molfetta si chiama Michele Salvemini - per imbastire tutto il discorso. ”Habemus Capa” parte dalla finzione della mia morte, per prendermi la libertà di raccontare le mie cose senza dover mettermi in prima persona. Non è sicuramente una novità, visto che tanto artisti hanno finto di essere morti. Ma è un artificio teatrale con cui ho provato a giocare...».

Cosa voleva dire, nascondendosi dietro questo artificio?

«Tutte le mie canzoni sono ispirate alle cose che vivo. E io ho la fortuna - o la sfortuna, a seconda dei punti di vista - di vivere in un tempo che ha tante cose da raccontare...».

Il disco è uscito ad aprile. In questi mesi cosa avrebbe voluto raccontare?

«Tante cose. Tanti spunti da sfruttare. Dalla storia dei brogli alle elezioni a quella dei servizi segreti, fino al fatto che tutti i tg hanno dato per prima notizia lo svenimento di un ex premier mentre tacciono sul genocidio del Darfur...».

Le canzoni non parlano spesso di questi temi. Anzi, non ne parlano proprio...

«Il problema è che non ne parlano nemmeno i giornali. Tutto quello che riguarda l’Africa, il terzo mondo, nei nostri giornali e nei nostri notiziari o viene liquidato in poche righe o non esce proprio. Si preferiscono gli affari delle famiglie reali o altre facezie di questo tipo...».

Cosa la indigna?

«La superficialità con cui si accetta tutto quel che avviene. Manca la voglia di essere contemporanei, di essere parte di questo mondo. Si preferisce essere consumati da questi tempi, da questo mondo dominato appunto dal consumismo, dal denaro, dall’apparenza».

Nella sua Puglia questi tempi che spunti le danno?

«La mia regione, come altre del Sud, è purtroppo dominata dalla malavita. C’è un’immagine della Puglia come regione ricca, soprattutto se messa a confronto con le altre regioni del Sud. Ma si pensi soltanto allo sfruttamento degli immigrati che raccolgono i pomodori: un dramma denunciato da un’inchiesta dell’Espresso...».

Caparezza, ma è vero che ha fatto baruffa anche con la sua casa discografica?

«No, il fatto è che per loro il mio album, uscito ad aprile, è ormai morto e sepolto. Per questo, dopo averne tratto tre singoli, erano contrari a finanziare l’uscita del quarto e soprattutto la realizzazione del quarto videoclip...».

E lei che ha fatto?

«Il quarto singolo esce lo stesso. È ”The Auditel Family”. E il video me lo autoproduco...».

Arrabbiato?

«No, anzi. Del resto dovevo aspettarmelo: essendo io morto nella finzione delle canzoni, anche il mio album è morto. Almeno per la mia casa discografica. Invece io penso che un disco, proprio come un libro, è una testimonianza che può durare anche un anno, o molto di più, nel caso delle opere di valore...».

Ma il disco nuovo quando esce?

«C’è tempo. Ora sono in tour fino a marzo. Poi si vedrà. Penso verso la fine dell’anno prossimo...».

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