venerdì 25 maggio 2007

Lo spettatore? Un pollo da spennare fino all’ultimo euro. Il giornalista? Nella migliore delle ipotesi un fan compiacente da usare a scopi promozionali, ma solo quando c’è un disco da vendere o un tour da lanciare. Il fotografo o il cineoperatore? Purtroppo l’ultima ruota del carro, cui concedere un paio di minuti all’inizio dello show quando va bene, o da lasciare fuori della porta quando va male (leggi: quando c’è una dorata esclusiva da far rispettare...).

Questo sta diventando il mondo della musica leggera, pop e rock. Ne siamo convinti da tempo, ma dopo quel che è successo l’altra sera a Grado, alla «data zero» del tour di Laura Pausini, stavolta lo scriviamo. Non si può far pagare il pubblico, formato soprattutto da giovani e giovanissimi appassionati, per una prova generale, con tanto di errori e imprecazioni da parte dell’artista (per la cronaca: 35 euro nel prato, 50 in tribuna). Non si può vietare a giornalisti e fotografi di fare il proprio lavoro, che sarebbe tutelato da un «diritto di cronaca» messo sotto i piedi da nerboruti addetti alla security. Non si può, ma è quel che avviene.

«Incredibile. Il momento clou di inizio estate in Friuli Venezia Giulia - dice il fotografo Luca d’Agostino - si è tramutato in un evento assolutamente vietato a telecamere e obbiettivi dei telecinefotoreporter regionali. E nulla hanno potuto l’Azienda Autonoma di Soggiorno di Grado e Azalea Promotion (gli organizzatori locali) con l’inaccessibile ufficio stampa della Pausini. La cui motivazione ufficiale è che si trattava di una ”data zero”. Ma come mai una ”data zero” proibita alle riprese è aperta a un numerosissimo pubblico pagante?»

Bella domanda. Forse la risposta è che ormai nello show business da tempo non si butta via nulla. Nella discografia come nelle tournèe, tutto viene riciclato, rimasticato e soprattutto venduto. In questi giorni si riparla dei costi della politica, dei privilegi della «casta» dei politici. Sacrosanto. Ma parliamo anche dei costi e dei privilegi delle star, di queste macchine costosissime che vivono sulla passione del pubblico ma anche grazie al supporto di radio, televisioni e giornali.

Non è colpa degli organizzatori locali. Probabilmente non è colpa nemmeno della cantante. Ma quel che è successo a Grado l’altra sera - e anche l’estate scorsa alla tappa triestina del Festivalbar (registrazione di uno show televisivo, ricchi contributi pubblici e ciononostante ingresso a pagamento...) - dimostra l’assoluta e crescente mancanza di rispetto per il pubblico e per i lavoratori dell’informazione.

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