martedì 27 novembre 2012

CONCATO ven 30-11 a cervignano

Ci sono le star da classifica e gli eterni emergenti, quelli “da una botta e via” che spariscono dopo una stagione e quelli che rimangono dignitosamente in sella attraverso i decenni, da non confondersi con i patetici abbonati al revival. E poi ci sono quelli come Fabio Concato, fine artigiano dell’arte nobile e popolare chiamata canzone, il cui tour farà tappa venerdì alle 21 al Teatro Pasolini di Cervignano. Milanese, classe ’53, debutto nel ’77 con l’album “Storie di sempre” (nel quale c’era l’indimenticata “A Dean Martin”), sempre in bilico fra canzone d’autore, amore per il jazz e un filo d’ironia, l’uomo è sopravvissuto anche al successo di classifica, giusto trent’anni fa, con la popolarissima “Domenica bestiale”. «È vero - dice Concato -, molti mi identificano ancora con quel brano, altri con “Guido piano”, “Ti ricordo ancora”, “Rosalina”... La cosa non mi dà particolare fastidio. Evidentemente sono le canzoni rimaste più impresse nel pubblico, all’interno di una produzione e una discografia ormai quasi quarantennale». Il nuovo album è arrivato dopo una lunga pausa. «Sì, “Tutto qua” è uscito undici anni dopo il precedente disco di inediti, “Ballando con Chet Baker”. Ci sono brani che fanno sorridere, commuovere, pensare. Tutto gira attorno alla volontà di mettere l’uomo al centro dell’attenzione. Lo spread sarà pure importante, ma noi forse meritiamo una vita diversa. Dobbiamo cercare di guardare gli altri mettendoci nei panni di tutti, soprattutto delle nuove fasce deboli». Un tema che lei aveva portato al Sanremo 2007. «Lì avevo forse anticipato i tempi. In “Oltre il giardino” cantavo le difficoltà e le angosce di un disoccupato di 40/50 anni, che non riesce a rientrare nel mondo del lavoro. Quanto accaduto in questi ultimi anni conferma tristemente quella mia ispirazione compositiva». Che anni sono? «Viviamo in una dittatura finanziaria. L’essere umano sembra non contare più nulla. Sono tempi che bruciano tutto in pochi giorni, nella musica, nell’editoria, ovunque. E invece dovremmo recuparare il teatro, la cultura, l’attenzione per l’uomo». Ama ancora il jazz? «Certo. Negli anni in cui non ho inciso ho lavorato molto dal vivo, proprio con un gruppo jazz. Sono amori che non finiscono. Io sono cresciuto in un ambiente musicale, mio padre suonava jazz. Attraverso lui ho conosciuto molta della musica che amo, compresa quella sudamericana». Dicono che l’hip hop ha sostituito la canzone d’autore. «Proprio sostituito non lo so. Diciamo che è verosimile che i ragazzi di oggi si sentano rappresentati dall’hip hop alla stessa maniera in cui noi, quarant’anni fa, seguivamo la canzone d’autore. Fabri Fibra dice delle cose acute, intelligenti. Lo stesso Jovanotti è partito da lì. Dunque il paragone regge. Anche se a me il genere non entusiasma...». Quest’anno riprova con Sanremo? «Non so. Nell’ultima edizione ero dato fra i sicuri partecipanti, poi sono stato escluso in extremis, non ho capito perchè. Un peccato, anche perchè avevo pianificato il lavoro per la pubblicazione dell’album e coinvolto Toquinho come possibile ospite internazionale. Un vero peccato». I giovani la ascoltano? «Il mio pubblico è formato soprattutto da miei coetanei, o giù di lì. Ma mi sorprende che ai concerti ci siano anche tanti giovani e giovanissimi, che magari mi hanno conosciuto attraverso i dischi dei propri genitori. La cosa mi dà particolare piacere».

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