lunedì 22 novembre 2021

ADDIO A PAOLO PIETRANGELI / da Art21

 di Carlo Muscatello


“Contessa”, ma non solo. “Valle Giulia”, ma non solo. Altri inni del Sessantotto, ma non solo. Paolo Pietrangeli, morto ieri a settantasei anni, è stato molto altro. Per semplificare: uno dei maggiori protagonisti della cultura italiana della seconda metà del Novecento. 

Da molti anni, per vivere, faceva il regista televisivo. Anche di un certo successo. Dal “Costanzo Show” a “C’è posta per te”, da “Amici” ad altri programmi soprattutto della galassia Mediaset (il che gli aveva anche procurato qualche critica “dura e pura”…).

Da parte nostra, lo ricordiamo con le parole del Club Tenco, che lo ha premiato - purtroppo in assenza: era già malato - due mesi fa: “L’esuberanza e il fervore giovanile che all’età di vent’anni gli hanno ispirato ‘Contessa’ hanno creato di lui l’immagine di un autore esclusivamente orientato a inni roboanti. Nulla di più lontano dalla sua vera vena poetica, costruita casomai sulla bonaria ironia e sul dubbio continuo in grado di rimettere in discussione ogni verità che si ritiene assoluta. Maestro del linguaggio dai virtuosismi verbali, inventore di immagini esotiche, eretiche ed erotiche, dispensa aneddoti e riflessioni danzando su sintassi musicali sapienti e, al contempo, di immediata presa, come si addice ai veri creatori di canzoni popolari".

Sì, perché Paolo Pietrangeli è stato tante cose: cantautore, regista, scrittore, sceneggiatore, persino candidato in parlamento nel ‘96 e nel 2001 per Rifondazione Comunista, da ultimo nel 2018 per Potere al popolo. Non venne mai eletto, ma le candidature facevano parte di un suo coerente impegno politico e di testimonianza cominciato da ragazzo.

Assieme a tanto altro. Aiuto regista per Mauro Bolognini, per Luchino Visconti (“Morte a Venezia”), per Federico Fellini. Regista nel ‘74 del documentario “Bianco e nero”, nel ‘77 del film “Porci con le ali”, nell’80 de “I giorni cantati”, fra gli altri con Francesco Guccini. Del 2001 è “Genova. Per noi”, documentario dedicato alle drammatiche giornate del G8 di Genova segnate dagli scontri tra forze di polizia e manifestanti e dalla morte di Carlo Giuliani.

E poi i dischi, i concerti, le manifestazioni… lui c’è sempre stato. Il suo album più recente è del 2015, registrato assieme alla pianista jazz Rita Marcotulli, s’intitola “Paolo e Rita”.

E poi, e poi… Ma poi si torna sempre lì, a quei versi che non moriranno mai. “Che roba contessa, all'industria di Aldo, han fatto uno sciopero quei quattro ignoranti, volevano avere i salari aumentati, gridavano pensi di esser sfruttati. E quando è arrivata la polizia, quei pazzi straccioni han gridato più forte. Di sangue han sporcato il cortile e le porte. Chissa quanto tempo ci vorrà per pulire…”.

Gran finale: “Compagni, dai campi e dalle officine, prendete la falce, portate il martello. Scendete giù in piazza, picchiate con quello. Scendete giù in piazza, affossate il sistema”.

Ma erano altri tempi. Anzi, era un altro mondo.

venerdì 19 novembre 2021

A CHI GRIDA “GIORNALISTI TERRORISTI”… / da newsletter Ordine Fvg


di Carlo Muscatello*

 

Non era mai successo, in tanti anni e decenni, che il lavoro del giornalista e più in generale dell’operatore dell’informazione diventasse oggetto di aggressioni, minacce e insulti generalizzati. Eppure la professione ha passato e superato momenti difficili e drammatici, pensiamo soltanto alla stagione del terrorismo, durante la quale sono stati colpiti anche molti colleghi, alcuni dei quali hanno pagato il loro impegno professionale anche con il sacrificio della vita.
Ma dovevamo aspettare questa triste stagione della follia antiscientifica dei no vax e dei no green pass, per assistere alle aggressioni nei confronti di chi sta solo facendo il proprio lavoro e ascoltare nei cortei - prima a Trieste, poi purtroppo ovunque - l’irricevibile slogan “giornalisti terroristi “.
Ebbene, noi siamo convinti che chi grida queste parole dovrebbe innanzitutto vergognarsi. Primo: perché non conosce la storia del nostro Paese, che il terrorismo - come si diceva - lo ha conosciuto, affrontato e sconfitto anche con il lavoro e il sacrificio dei giornalisti che in quella tragica stagione sono stati colpiti. Secondo: perché non conosce nemmeno la nostra Costituzione, che nell’articolo 21 riconosce l’importanza dell’informazione in una democrazia che voglia effettivamente essere tale.
Andate a studiare, verrebbe dunque da dire a questa minoranza molto aggressiva e rumorosa che - oltre a ostacolare l’uscita dall’incubo pandemia - ha messo anche i giornalisti e gli operatori dell’informazione nel mirino, in un clima generale di odio e intolleranza.
Come Assostampa Fvg, assieme al nostro Ordine regionale, saremo sempre al fianco dei colleghi aggrediti, minacciati e insultati. Per questo abbiamo deciso di fare richiesta di costituzione di parte civile a fianco dei giornalisti che hanno presentato o presenteranno denuncia dopo le violenze e le minacce subite durante le manifestazioni no green pass. Abbiamo fatto inoltre segnalazione alla Polizia postale delle continue minacce ricevute sui social network da giornalisti e media che seguono le manifestazioni di protesta. E abbiamo anche fatto segnalazione a Facebook delle minacce e violenze verbali che attraverso la piattaforma vengono veicolate, non rispettando quanto indicato nella policy di utilizzo della piattaforma per non alimentare l’odio e la violenza.
Speriamo possa servire per uscire da una situazione che non avremmo mai pensato di dover affrontare. Una situazione nella quale fare il proprio lavoro, per giornalisti e operatori dell’informazione, è diventato pericoloso.
*presidente Assostampa Fvg

lunedì 8 novembre 2021

MANESKIN CON GLI STONES, NULLA È IMPOSSIBILE / da Art21

 di Carlo Muscatello

Nulla è impossibile, verrebbe da dire dinanzi a quanto sta accadendo ai Maneskin. Pochi anni fa suonavano per strada, in via del Corso, a Roma. Poi il debutto, con tanto di secondo posto a X Factor 2017. E lo scorso anno l’incredibile doppietta: vittoria prima al Festival di Sanremo e poi all’Eurofestival (dove l’Italia aveva vinto solo nel 1964 con Gigliola Cinquetti e nel 1990 con Toto Cutugno).

Ma quello che sta succedendo ai quattro ragazzi romani, nati fra il ‘99 e il 2001, in questi giorni negli Stati Uniti è al di là dei sogni più folli e lisergici. Prima la pubblicità a Times Square, poi l'apparizione in tv nel popolarissimo Tonight Show di Jimmy Fallon, ora l’apertura del concerto dei Rolling Stones a Las Vegas, all’Allegiant Stadium. Con Mick Jagger che, salito sul palco, li congeda con un affettuoso e quasi cameratesco “Grazie mille ragazzi” (rigorosamente in italiano).

I Maneskin insomma sembrano proprio aver conquistato l'America. E lo stanno facendo con suoni, approccio e atteggiamenti rock. Sì, perché una vita fa (1958) già Domenico Modugno era arrivato ai vertici delle classifiche a stelle e strisce, ma con “Volare”, dunque con la melodia italiana. Idem, in anni più recenti, con Luciano Pavarotti prima e Andrea Bocelli dopo. E anche gli italiani che qualche successo oltreoceano lo hanno colto (Eros Ramazzotti, Laura Pausini, Zucchero, pochissimi altri…), pur senza mai arrivare ai vertici, proponevano e propongono un genere che, con coloriture diverse, affonda comunque le radici nella musica di casa nostra.

I Maneskin no. Loro picchiano duro, duro e vibrante come il rock dalle influenze anni Settanta che ti buttano addosso, persino con una sorta di sfacciata spavalderia. A Las Vegas hanno proposto, narrano le cronache, uno spettacolo “convincente e potente, una performance spavalda, senza alcun timore reverenziale e acclamata dalle migliaia di spettatori in attesa degli Stones”.

 "Hello Las Vegas! È un onore essere qui e avere la possibilità di suonare sul palco della band più grande di sempre", le prime parole del frontman Damiano. Poi quaranta minuti di sano e solido rock. Siamo fuori di testa, ma diversi da loro… Signori, giù il cappello dinanzi ai Maneskin. Con loro davvero nulla è impossibile.


sabato 6 novembre 2021

PENNACCHI A PROPAGANDA LIVE CON LA STORIA DI SUO PADRE DEPORTATO / da ART21

 di Carlo Muscatello


“Quelli che ne avrebbero dovuto parlare hanno taciuto, chi non avrebbe dovuto, invece, l'ha fatto…”.
Andrea Pennacchi ha raccontato a “Propaganda Live”, su La7, la storia di suo padre che a diciassette anni, nel 1944, fu deportato in un campo di concentramento in Austria perché faceva parte di un gruppo di partigiani. Parole pronunciate con il sorriso sulle labbra, con lo sguardo furbo e malandrino del “Pojana”. Parole tenere e dure, un monologo mirabile, esemplare, che andrebbe fatto vedere e sentire a scuola. Magari a cominciare dalle scuole di Novara, la città dove alcuni non vax e no green pass hanno sfilato, la scorsa settimana, tristemente camuffati come prigionieri dei lager nazisti. Quei lager dove hanno trovato tragica fine ebrei, ma anche zingari, omosessuali, comunisti, socialisti e oppositori politici.
Pennacchi racconta con amara leggerezza quei luoghi dove il secolo breve ha dato la peggior rappresentazione di un’epoca nella quale si moriva così, mentre chi non moriva sopravviveva tra stenti e privazioni. Paradossalmente con il senso di colpa per non essere morto, a differenza di tanti altri compagni di sventura. E senza nessuna voglia di raccontare l’orrore a cui aveva assistito, a cui era scampato. “Quelli che ne avrebbero dovuto parlare hanno taciuto…”. Appunto.
Andrea Pennacchi, oltre ad aver portato il monologo a “Propaganda Live”, sta portando a teatro lo spettacolo “Mio padre, appunti sulla guerra civile”. Uno spettacolo di cui c’è sempre più bisogno, ha spiegato l’attore padovano: “C’è un lieto fine anche se la storia evidentemente è dura. Però è una storia che in questo momento è meglio ricordare. Certe storie servono a ribadire alcuni concetti fondamentali, come ad esempio il non discriminare. Perché quando si innesca questo meccanismo poi c’è il rischio che arrivi qualcuno che propone qualcosa di ancora più aberrante, come il passato dovrebbe insegnarci. È un attimo passare dal rinchiudere le persone a renderle schiave, per non dire di peggio…”.
Dopo i fatti di Novara, dopo le periodiche rievocazioni di Predappio o dei vari anniversari legati all’obbrobrio del nazifascismo, dopo le minacce sul web e non solo sul web, forse è davvero arrivato il momento di alzare la testa e la voce. E fare i conti con un passato che evidentemente a molti non ha insegnato nulla. Ma intanto… grazie “Pojana”. Grazie di cuore.

giovedì 4 novembre 2021

SAN GIUSTO D’ORO 2021 A BARBARA FRANCHIN, TARGA A SARA GAMA

 Il San Giusto d'oro 2021 va a Barbara Franchin, la targa speciale a Sara Gama. Lo ha deciso l’Assostampa Fvg, articolazione territoriale della Fnsi, sindacato unitario dei giornalisti italiani, che organizza il premio - nato nel 1967 su iniziativa del Gruppo Giuliano Cronisti e giunto alla 55.a edizione - con la collaborazione del Comune di Trieste e il sostegno della Fondazione CrTrieste.

"Quello a Barbara Franchin - spiega Carlo Muscatello, presidente dell'Assostampa Fvg -, fondatrice e presidente di Its Arcademy, è un premio alla passione, al talento e all’imprenditorialità femminile. Da oltre vent’anni Trieste è conosciuta nel mondo della moda internazionale grazie all’intuizione di creare una piattaforma e un premio per giovani creativi. Da apprezzare poi la sua determinazione nel non lasciare la città dove l’idea è nata. Una realtà di successo, in continua crescita”.

“La targa a Sara Gama - aggiunge il presidente Assostampa - premia invece una giovane donna (madre triestina, padre congolese) che ha saputo unire il talento sportivo all’impegno contro le disuguaglianze e per l’affermazione dei diritti, non solo delle donne. Non abbiamo dimenticato la sua lettura dell’articolo 3 della Costituzione e le sue parole sui diritti, quando è stata premiata dal presidente Mattarella con le sue compagne della nazionale dopo i mondiali di Francia. Un esempio per i giovani e per tutti”.

In un momento storico segnato dalla pandemia, che ha colpito tutti ma forse soprattutto le donne, ulteriormente gravate di lavoro domestico, questo doppio riconoscimento al femminile - conclude Muscatello - ha ancor più valore: è infatti un omaggio alla creatività e alla lungimirante determinazione, nonché alla capacità di abitare con dignità e successo territori tradizionalmente maschili come il calcio. Ma è anche un contributo per restituire visibilità alle donne, maggioranza della popolazione ma sottorappresentate in ogni settore. Non ci può essere ripresa, è stato detto al recente G20 di Roma, se ci dimentichiamo della metà del mondo”.

La cerimonia di consegna del premio e della targa si terrà nelle prossime settimane, come da tradizione, nell’aula del Municipio triestino.

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Barbara Franchin è nata e cresciuta a Trieste, punto di osservazione privilegiato perché eccentrico e periferico: prospettiva ideale per uno sguardo non filtrato, puro, lontano dalle grandi capitali del design e libero da visioni conservatrici sul mondo. Nel 2001 fonda Eve, agenzia atipica che ha come punto di forza un team eclettico, dedicato e passionale. L’anno successivo lancia la prima edizione di Its, piattaforma creativa che basandosi su una approfondita ed estesa ricerca del talento dà supporto, visibilità e opportunità a giovani designer provenienti da tutto il mondo. Vengono selezionati attraverso un processo lungo e rigoroso e ospitati a Trieste per un grande evento finale, a cui partecipano oltre quattrocento ospiti internazionali fra giornalisti, opinion leader e esponenti dei brand del fashion system. L’amore e la volontà di scoprire, raccogliere, preservare e catalogare - dando senso compiuto a questo viaggio di ricerca - hanno portato alla creazione dell’ Its Creative Archive, che traccia la storia dell’evoluzione della moda contemporanea, in fluido e continuo divenire.  La Collezione, unica nel suo genere, custodisce 18.000 portfolio, 327 abiti, 152 accessori, 103 gioielli ed oltre 700 progetti fotografici. È partendo da questo patrimonio che Its ora si evolve per diventare Its Arcademy: Arca, Archivio, Academy. Uno spazio espositivo e al tempo stesso di formazione, con percorsi educativi aperti a tutti, coinvolgendo i finalisti di Its in veste di insegnanti. Per liberare la creatività di tutti gli sperimentatori curiosi, di ogni età e di ogni nazionalità, oltre ai professionisti di settore. Gettando radici ancor più profonde e solide sul territorio. 

Premi e Riconoscimenti

Forbes Italia 100 donne di successo (2020)

Business of Fashion BoF 500 (2016) - Lista dei 500 soggetti più influenti nel mondo della moda

Premio Barcola 2015

Premio di Vetro 2013

100 donne più importanti - Elle Magazine Italia (2010)

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Sara Gama, nata a Trieste, è una calciatrice e dirigente sportiva italiana, difensore e capitana della Juventus e della nazionale. Ha cominciato a giocare a pallone nello Zaule, ha poi giocato nel Tavagnacco, nel Brescia, nel Paris Saint Germain, nella Juventus, vincendo vari scudetti e trofei. È consigliere federale della FIGC dal 2018, vicepresidente AIC dal 2020 e membro della Commissione Nazionale Atleti del Coni dal 2021. È laureata in lingue e letterature straniere. L’atleta triestina sostiene da tempo il professionismo calcistico femminile, chiedendo tutele sociali e previdenziali per le calciatrici. La sua è una battaglia contro la diseguaglianza di genere, riconosciuta dalla Nike che l’ha fatta diventare sua testimonial e dalla Mattel, che nell’ambito del progetto Role Models (l’obiettivo è quello di convincere ogni bambina a credere nei propri sogni), le ha dedicato una Barbie. Un impegno, quello di Sara Gama, che è diventato fonte di ispirazione per le future generazioni.

 

 

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Albo d’oro

1967 Pietro Valdoni, chirurgo

1968 Doro Levi, archeologo

1969 Leonor Fini, pittrice

1970 Trio di Trieste

1971 Giorgio Strehler, regista

1972 Brenno Babudieri, medico ricercatore

1973 Raffaello de Banfield, compositore

1974 Paolo Budinich, fisico

1975 Giorgio Pilleri, scienziato

1976 Pier Paolo Luzzatto Fegiz, economista

1977 Luigi Spacal, pittore

1978 Giorgio Bugliarello, bioingegnere

1979 Piero Cappuccilli, cantante lirico

1980 Marcello Mascherini, scultore

1981 Diego de Castro, storico

1982 Franco Gulli, violinista

1983 Ottavio Missoni, stilista

1984 Claudio Magris, germanista

1985 Livio Paladin, giurista

1986 Fulvio Camerini, cardiologo

1987 Leo Castelli, gallerista

1988 Assicurazioni Generali

1989 Gillo Dorfles, critico d’arte

1990 Mila Schön, stilista

1991 Lelio Luttazzi, musicista

1992 Giorgio Voghera, scrittore

1993 Luciano Fonda, fisico

1994 Cesare Rubini, campione sportivo

1995 Claudio Erbsen, vicepresidente Associated Press

1996 Collegio del Mondo Unito dell’Adriatico

1997 Boris Podrecca, architetto

1998 Tommaso Padoa Schioppa, eurobanchiere

1999 Gianfranco Gutty, Assicurazioni Generali

2000 Fedora Barbieri, cantante lirica

2001 Barcolana, regata

2002 Amos Luzzatto, presidente Comunità Ebraiche

2003 Boris Pahor, scrittore

2004 Manlio Cecovini, scrittore

2005 Raffaella Curiel, stilista

2006 Marzio Babille, medico Unicef

2007 Daniela Barcellona, cantante lirica

2008 Eugenio Ravignani, vescovo

2009 Bruno Chersicla, pittore

2010 Illycaffè

2011 Mauro Giacca, scienziato

2012 Coro “Antonio Illersberg”

2013 Susanna Tamaro, scrittrice

2014 Ariella Reggio, attrice

2015 Don Mario Vatta, sacerdote

2016 Psichiatria Triestina, nel ricordo di Basaglia

2017 Fondazione Luchetta Ota D’Angelo Hrovatin

2018 Comunità ebraica triestina a 80 anni dalle leggi razziali

2019 Zeno D’Agostino, presidente Autorità portuale

2020 Andrea Segrè, fondatore Last Minute Market 

 

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San Giusto d’oro straordinario

Giuliani d’Australia

Associazioni Triestini e Goriziani in Roma

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Riconoscimenti e targhe speciali

Mario Nordio

Massimo Della Pergola

Demetrio Volcic

Carpinteri e Faraguna

Mario Magajna

Tullio Kezich

Danilo Soli

Ugo Borsatti

Biancamaria Piccinino

Mario Suban

Mario Luzzatto Fegiz

Luciano Ceschia

Studenti del Petrarca per la mostra “Razzismo in cattedra”

Associazione Giuliani nel mondo

Giovanna Botteri

 

lunedì 1 novembre 2021

APPELLO A TRIESTE / da Art21

 di Carlo Muscatello

Per motivi tutto sommato misteriosi, ma che probabilmente affondano le radici nelle vicende storiche e politiche della città, Trieste è diventata nelle ultime settimane la capitale dei no vax e dei no green pass. Un fenomeno che ha generato cortei, manifestazioni, minacce e aggressioni a giornalisti, estendendosi poi velocemente e con analoghe, inquietanti caratteristiche al resto del Paese.
Ora dal capoluogo giuliano parte anche la risposta della maggioranza, di chi accetta il vaccino e il green pass come unico modo indicato dalla scienza (e dal governo) per combattere la pandemia e tornare a una quanto mai agognata normalità. Un “Appello a Trieste”, partito fra sms e whatsapp, e poi decollato su Change.org, ha raccolto in poche ore migliaia di firme. Attualmente (pomeriggio del primo novembre) è a quota 28.500 ma il numero continua a crescere. Ma ecco il testo dell’appello:
“Nelle settimane scorse la nostra città è stata teatro di manifestazioni contro il green pass: da qui è nata l’idea che Trieste sia la capitale italiana dei no vax, dei no green pass e della cultura antiscientifica.
Trieste non è questo. E vuole dirlo a gran voce.
Trieste è la capitale italiana della scienza e della scienza si fida. È una città che ha sofferto a causa di una pandemia che ha stroncato troppe vite, ha fatto soffrire tante persone e ha depresso l’economia.
Trieste è una comunità di persone razionali, responsabili e consapevoli che possono uscire dalla tempesta soltanto tutte assieme. Ciascuna con un’assunzione di responsabilità verso le altre.
Il vaccino ci restituisce la libertà. La libertà di essere curati. La libertà di lavorare e di fare impresa. La libertà di studiare in classe e nelle università. La libertà di coltivare i propri interessi e di riprendere una vita sociale. La libertà di fare sport e di viaggiare.
Chi combatte contro i vaccini e contro il green pass non deve mettere in pericolo queste libertà e la salute dei cittadini; non può danneggiare l’economia.
Nello spazio pubblico facciamo sentire anche la voce della grande maggioranza dei cittadini che si sono vaccinati, mettendo in sicurezza sé stessi e adempiendo un dovere di solidarietà sociale, scolpito nell’art. 2 della Costituzione e richiamato dalle massime autorità civili e religiose.
È venuta l’ora della responsabilità. Di tutti”.
L’appello è stato lanciato dal docente universitario nonché presidente della “Barcolana” Mitja Gialuz e dall’avvocato Tiziana Benussi. Si può ancora aderire su https://chng.it/vSJnhdzP4J , oppure scrivendo alla email appelloatrieste@gmail.com