giovedì 23 febbraio 2023

CORDATA INDUSTRIALI PER I GIORNALI GEDI DEL NORD-EST

 Ieri i Comitati di redazione del Piccolo e del Messaggero Veneto hanno incontrato il presidente della Regione Massimiliano Fedriga, accompagnati dal presidente dell’Assostampa Fvg Carlo Muscatello e dal presidente dell’Ordine dei giornalisti Cristiano Degano.

«Ho sentito Enrico Marchi – ha detto Fedriga – e chiederò di incontrare chiunque si dimostrasse interessato ai giornali del Friuli Venezia Giulia. Per l’amministrazione regionale, l’informazione rappresenta un diritto fondamentale ed è nostro primario interesse difendere le testate di libera informazione». Fedriga ha avuto un primo confronto con il presidente di Save (società di gestione dei quattro aeroporti veneti) e di banca Finint, impegnato nella costruzione di una cordata pronta a rilevare dal gruppo Gedi i sei quotidiani del Nordest: Piccolo di Trieste, Messaggero Veneto di Udine, Nuova Venezia, Mattino di Padova, Tribuna di Treviso, Corriere delle Alpi di Belluno.
Il governatore ha convocato i giornalisti a 48 ore dalla richiesta partita da Assostampa. Una dimostrazione di attenzione che merita apprezzamento perché, come ha ricordato Fedriga, «puntiamo a un rafforzamento di organi di informazione che rappresentano la storia di questo territorio». Il presidente ha confermato l’esistenza del progetto di Marchi, riferendo che la cordata è interessata ad acquisire «in tempi ristretti» l’intero pacchetto dei sei giornali. Fedriga incontrerà prossimamente i possibili acquirenti «per chiedere garanzie per l’informazione del territorio», anche attraverso il coinvolgimento di player regionali. Per il governatore, «è fondamentale dare continuità ai quotidiani e garantire i lavoratori attraverso un solido piano industriale». 
«Un privato può vendere – ha detto Muscatello – ma i giornali non sono una merce qualsiasi. Siamo delusi e perplessi per l’atteggiamento del gruppo Gedi, che sta vendendo i suoi giornali un pezzo alla volta, a tre anni dalla loro acquisizione». Per Degano, «la situazione riguarda tutta la comunità regionale, perché Piccolo e Messaggero rappresentano la principale informazione su carta e web in questo territorio. Serve una moral suasion nei confronti degli acquirenti».
Martedì prossimo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’editoria, Alberto Barachini, incontrerà a Roma una rappresentanza dei giornalisti delle testate del gruppo, tutte a rischio cessione e unite nella mobilitazione che ha finora avuto il suo apice nello sciopero di venerdì scorso. Anche il governo mostra un segnale d’attenzione, dopo che l’ad Maurizio Scanavino ha confermato l’intenzione di cedere i quotidiani del Nordest e la Gazzetta di Mantova, senza smentire l’intenzione di trattare la vendita anche dei quotidiani maggiori come Repubblica, Stampa e Secolo XIX. 
Il confronto con Barachini è stato propiziato dalla nuova segretaria della Fnsi Alessandra Costante che ha voluto incontrare i Cdr subito dopo il suo insediamento, prospettando da una parte la necessità di mettere in campo azioni di lotta mirate a tutelare posti e dignità del lavoro, dall’altra di sensibilizzare governo, parlamento, governatori e sindaci, «affinché prendano posizione per la tutela di insostituibili presidi territoriali di pluralismo e democrazia, nella convinzione che l'informazione – e nella fattispecie quella locale – sia un patrimonio che non appartiene solo all'editore di turno, ma anche alle comunità di cui narra e con cui è cresciuta». 
Ringraziamo le istituzioni che ci sono a fianco in questo momento e invitiamo chi non si è ancora espresso a schierarsi accanto a noi in difesa di quello che è un patrimonio immateriale di una comunità intera di cittadini. 

I Cdr del Piccolo e del Messaggero Veneto

martedì 7 febbraio 2023

SANREMO 2023, DISILLUSI E CURIOSI

 Festival di Sanremo: non sono solo canzonette, di Vincenzo Vita

Una delle pochissime certezze di un’Italia impoverita e a disagio nelle sue corde sociali profonde è la scintillante cerimonia mediatica che inizia a Sanremo: un lampo di alienazione consensuale.

Via via, nel corso degli ultimi anni e, soprattutto con l’abile conduzione di Amadeus, la kermesse della riviera ligure è diventata un po’ il trionfo della musica diffusa su molteplici piattaforme: che le vecchie generazioni delle Hit Parade condotte da Lelio Luttazzi forse poco conoscono; ma rappresentacomunque, un evento celebrativo della forza televisiva. Si tratta di un caso di scuola, in cui vecchi e nuovi media non confliggono, bensì moltiplicano vicendevolmente i propri effetti.

Un merito delle ultime edizioni è senz’altro di avere valorizzato i giovani, artiste e artisti meno piegati alla medietà e al senso comune o non corrivi nei riguardi delle tradizionali censure e autocensure sul gender. L’epifania di tali ibridazioni dei contenuti e delle età sta nella trovata dei duettivintage, in cui sentimenti e immaginari si mescolano con una gradevolezza velata dalla malinconia.

Torniamo, però, alla crudezza dell’industria culturale, che incombe ammantandosi dell’annuale straniamento: panem et circenses, dalla Roma degli imperatori in poi.

Sanremo è la stampella economica e della Rai. La raccolta pubblicitaria è di circa 50 milioni di euro, malgrado la non innocente (leggi i conflitti di interesse della storica concorrenza privata) riduzione dell’affollamento pubblicitario proprio nelle ore calde del prime time. Dalle ore 18 alle 24 il limite scende quest’anno al 6%, dal 7% del 2022. Forse, questo spiega la presenza della nota influencer Chiara Ferragni, capace da sola di animare migliaia di contatti sui socialÈ la post-modernità, bellezza, per parafrasare frasi celebri. Dobbiamo farci i conti, perché il consumo di massa è ormai assai articolato e la fruizione si è espansa in aree dove tempo fa non si sarebbe osato. E siamo solo agli inizi della rivoluzione dell’intelligenza artificiale, nonché degli algoritmi predatori.

Per la Rai è un tesoro da non svendere, a prescindere. E pensare che negli anni della massima contesa con Fininvest-Mediaset suon di ingaggi e di sgambetti, pure Sanremo fu oggetto dei desideri del biscione, con vaghe simpatie persino nelle democristiane giunte della città dei fiori.

Fin qui, però, siamo nelle aporie del regime della società dello spettacolo e dell infosfera.

Tutt’altro è l’invito furbesco e cinico al leader ucraino Zelensky, anche se al video dopo le polemiche si sostituisce un testo letto da Amadeus. Non  si venga a contrabbandare simile inusuale invito (c’è la guerra e gli esempi omologhi di altre edizioni non reggono) con un atto di solidarietà verso il paese invaso. Siamo al cospetto di una mera ricerca dell’audience, dove tutte le vacche sono nere. Ecco, sarebbe almeno ragionevole rimediare al pasticcio, offrendo il palco anche ad una voce per quella pace predicata invano dal papa di Roma Francesco. I comitati per Julian Assange, a loro volta, entrano nel gioco di Fantasanremo, chiedenda coloro che partecipano di indossare la maschera del fondatore diWikiLeaks.

L’ascolto è il dio pagano della vicenda. La scorsa edizione arrivò a oltre 11 milioni di utenti, con il cosiddetto share al 58,40%. Siamo lontani dalle cifre degli ultimi anni ottanta del secolo passato, mantenendosi a livelli alti.

Inserzionisti e sponsor brindano all’imminente abbuffata, ma l’eccezionalità del festival serve anche a mettere in luce i difetti aziendali di un servizio pubblico capace, ormai, di brillare soprattutto nei suoi eventi. La normalità non è granché e non basta neppure il successo sanremese a raddrizzare un bilancio tirato e difficile, a stento approvato nei giorni passati dal consiglio di amministrazione.

Inoltre, questa edizione sarà, forse, il canto del cigno dell’attuale gestione, sotto la sorveglianza speciale di una destra al governo piuttosto asimmetrica a fronte di una manifestazione che cerca di rompere certiarchetipi conservatoriVoci beghine si sono già levate. Fortunatamente, isolate.

Vedremo alla fine delle giornate di Sanremo quale riflessione sarà lecito fare di una avventura giunta al numero 73.

Amadeus e Gianni Morandi ricordano qualcosa della fenomenologia di Mike Bongiorno. Tuttavia, hanno avuto la capacità di tenere in ballo l’uditorio generalista e non per almeno un mese, usando a mani basse pure il traino compiacente del Tg1.

Un grande mestiere basterà a coprire le crepe di un evento che comincia ad essere logorato dal suo stesso successo? Tra laltro, questanno Mediaset ha il coltello tra i denti, avendo costruito un contro-palinsesto di lotta.

Chissà, le culture musicali meno assuefatte e tutelate potrebbero inventare alternative, non minoritarie o rivolte a pur nobilissime nicchie, bensì esploratrici di strati della cultura di massa che navigano ancora sotto la superficie, attendendo di potersi svelare.

Ci saranno manifestazioni di protesta, si annuncia. Sanremo, tuttavia,frammento di rivoluzione passiva, è in grado di macinare tutto e tutti. 

È il momento di ragionare su progetti consoni all’età che viviamo, bruttache sia. Ma diversa e senza voce.

Per l’intanto, partecipiamo con distacco brechtiano al rito perenne di febbraio. Disillusi e curiosi.

 

Vincenzo Vita, il Manifesto