giovedì 30 luglio 2009

TRIESTE ROCK FESTIVAL


Cala il sipario su Trieste Loves Jazz (ne scriviamo qui sotto), e l’attenzione si sposta su un altro appuntamento ormai fisso delle estati musicali triestine. Stiamo parlando del Trieste Rock Festival, giunto alla sua sesta edizione, che si terrà in piazza Unità domani, sabato e domenica.

Partenza tutta italiana, domani sera con inizio alle 21, con Claudio Simonetti e i suoi Daemonia. L’ex leader dei Goblin, noti soprattutto per le colonne sonore dei film di Dario Argento (in particolare ”Profondo rosso”, del ’75), terrà un concerto dedicato in gran parte alle colonne sonore cui ha legato il suo nome, con annessa proiezione di spezzoni dei ”suoi” film. Serata dunque all’insegna del binomio cinema e musica. Aprirà la serata il gruppo delle Ratzgirls.

Sabato sarà di scena uno dei gruppi storici del progressive inglese degli anni Settanta, i Gong. <IP0>Sono la band formata nel ’67 dall’australiano Daevid Allen, già con i Soft Machine. In oltre quarant’anni, attorno all’eclettico e anticonformista musicista sono nati tanti gruppi satellite, denominati Gong Global Family. Attualmente, la formazione comprende ben cinque membri originari: Daevid Allen, voce e chitarra; Gilli Smyth, voce; Steve Hillage, voce e chitarra; Miquette Giraudy, voce e tastiere; Mike Howlett, basso. Con loro Chris Taylor alla batteria e Theo Travis ai fiati. A distanza di tanti anni, i Gong restano il simbolo di una stagione in cui il rock era ancora il territorio ideale per la sperimentazione. Aprono la serata i triestini Underhouse, vincitori del concorso Opening Band Live Music.

E siamo al gran finale di domenica, con i Van der Graaf Generator di Peter Hammill. Qui stiamo parlando - come ben sanno gli appassionati del genere - della punta di diamante del genere progressive sviluppatosi in Inghilterra a cavallo fra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta. Il gruppo nasce nel ’67, all’università di Manchester, attorno al cantante Peter Hammill. ”The aerosol grey machine”, nel ’69, è il loro primo album. Ma dopo ”The Least We Can Do Is Wave To Each Other” e ”H to He, Who Am the Only One”, usciti nel ’70, è soprattutto con ”Pawn Hearts”, del ’71, che il gruppo decolla.

Curiosità: i Van der Graaf, come anche Genesis e King Crimson, all’inizio ebbero più successo in Italia che nella loro Inghilterra. Oggi, dopo alterne vicende e l’uscita di Jackson, il gruppo è un trio: Peter Hammill (voce, chitarra, pianoforte), Hugh Banton (tastiere, basso, chitarra) e Guy Evans (batteria). Gli stessi di tanti anni fa. Protagonisti della serata triestina.

«Siamo soddisfatti del cast proposto quest’anno - dice Davide Casali dell’Associazione Musica Libera, che organizza la rassegna col Comune di Trieste -, perchè prosegue sulla linea tracciata nelle scorse edizioni. Continuiamo insomma a puntare sui grandi nomi, italiani e stranieri, che hanno scritto la storia del pop/rock degli anni Settanta. E visto l’interesse che questo genere e il nostro festival continuano a suscitare, anche fra i giovani, siamo convinti di essere sulla strada giusta...».

L’ingresso alle tre serate è libero.

martedì 28 luglio 2009

CREMONINI A SPILIMBERGO


Nell’estate di dieci anni fa, i ragazzi italiani ascoltavano sulle spiagge e nelle serate sul mare ”50 Special” (”ma com’è bello andare in giro con le ali sotto ai piedi...”), una canzone-tormentone di un gruppo di ragazzi bolognesi, i Lunapop. Estate 2009, sono passati appunto dieci anni, i Lunapop non esistono più, ma il loro leader Cesare Cremonini è diventato anche da solista un idolo delle platee giovanili. Due mesi fa era a Trieste, in piazza Unità, per la serata dei Trl Mtv Music Awards. Domani sera è a Spilimbergo, in piazza Duomo, alle 21, per la seconda tappa del suo tour estivo.

«Quella sera in piazza Unità mi sono divertito molto - dice Cremonini al telefono -, tornare a Trieste per me è sempre un piacere, avevo già suonato al palasport e a teatro, ma in una piazza così bella è diverso. Trovo che la città sia davvero speciale, ho alcuni amici, trovo che il centro storico sia molto accogliente, molto pieno di giovani...».

Ma lo sa che Trieste è una delle città più anziane d’Italia?

«Davvero? Non lo sapevo, e comunque non ho avuto questa impressione. Mi è sembrata invece una città giovane e aperta ai giovani, con una buona qualità della vita e delle persone che incontri in giro, tutti molto educati e sani. Davvero, Trieste mi piace molto».

Come la sua Bologna?

«Beh, quasi. Bologna è la mia città, la amo molto, ma in questi ultimi anni mi sembra un po’ calata di tono, quasi avesse perso fiducia in se stessa. Altre città magari più piccole, penso proprio alla vostra Trieste, hanno ancora la voglia e la forza di creare eventi, da noi si ha invece l’impressione che una fase sia terminata».

Si è fatto un’idea delle cause?

«Le fasi a volte sono cicliche. Dopo una calante magari ne ricomincia una virtuosa. Di certo a Bologna, ma non solo a Bologna, dobbiamo capire che le porte si devono aprire, non chiudere. Solo così le nostre città ricominceranno a vivere».

Il suo contributo?

«La cura che io posso offrire consiste nella fantasia. Le persone fanno fatica a immaginare, a essere creative, hanno poche idee, per cui devono essere stimolate dall'esterno in qualsiasi modo. È fantasia che regalo a chi mi ascolta, un appiglio per ritornare a immaginare, creare».

Il nuovo album è ancora in classifica.

«Sì, sta andando bene. Il titolo del cd (”Il primo bacio sulla luna”, ndr) guarda al passato ma rimane ottimista, vede nell'amore uno spiraglio di speranza che possa salvare il pianeta. Anche quando un giorno dovremo abbandonare la Terra per trasferirci su un altro pianeta, saremo sicuri che anche lì potremo trovare i punti saldi dell'esistenza, proprio come l'amore delle persone amate, un bacio o una carezza. Tutto l'album ha un grande rispetto verso la storia della musica, ma è un lavoro che tende a parlare a chi lo ascolta, vuole essere ascoltato, ma non con superficialità».

Ha scritto anche un libro. La musica non le basta più?

«Volevo festeggiare a modo mio i dieci anni di tutta questa storia, cominciata appunto con ”50 Special” e i Lunapop. E per questo ho intitolato il libro con un verso di quel brano: ”Le ali sotto i piedi”. Racconto la mia storia, quella di un ragazzo che studia pianoforte e un giorno si trova proiettato nel mondo dei sogni. Ma non è un libro autocelebrativo. Ripeto: racconto solo la mia storia».

Ai più giovani cosa dice?

«L’anno prossimo farò trent’anni. Faccio parte di una generazione nata senza cellulare e computer. Ai ragazzi dico che internet e le nuove tecnologie a volte sembrano aver cancellato la profondità di interesse per la musica, l’informazione, la cultura. Ma deve succedere esattamente il contrario: internet deve trasformarsi in un universo culturale accessibile a tutti, da riempire di contenuti. Oggi a volte sembra una scatola vuota. E invece è una grande occasione da sfruttare».

lunedì 27 luglio 2009

TAGLI AL FUS


Parte anche dal Friuli Venezia Giulia, terra di frontiera e di cultura, il grido di dolore, l’allarme circostanziato, la richiesta di aiuto che il mondo dello spettacolo italiano lancia contro i tagli al Fus, acronimo che sta per Fondo unico per lo spettacolo.

L’altra sera a Gorizia, ricevendo il Premio Amidei assieme a Marco Risi per la sceneggiatura del film ”Fortapasc”, il giornalista e sceneggiatore Andrea Purgatori ha detto che il taglio del Fus «è uno scandalo così come lo è la figura meschina di un ministro della Cultura che si era impegnato davanti al Presidente della Repubblica e ora non ha neanche il coraggio di dimettersi».

Parole dure. Che proseguivano quasi con una minaccia: «D’ora in poi ci prenderemo tutte le libertà e manifesteremo ovunque. Cominceremo con la conferenza stampa del Festival di Venezia. Il Governo deve sapere che useremo qualsiasi mezzo per far sì che questo scandalo abbia visibilità internazionale. Devono avere paura, perchè faremo una grande battaglia a partire da quella data».

E anche nella serata di chiusura del Mittelfest, domenica a Cividale, la compagnia del regista Franco Però e dell’attore Omero Antonutti ha dato lettura di un comunicato per protestare «contro i tagli al Fus, che sono l’ennesimo picco negativo di una parabola in discesa costante delle possibilità economiche negli ultimi dieci anni».

Ma vediamo di capire innanzitutto di che cosa stiamo parlando e che cosa è successo negli ultimi mesi per scatenare le proteste di tutto il mondo dello spettacolo italiano. Il Fus è il meccanismo utilizzato dal Governo per regolare l'intervento pubblico nei settori del mondo dello spettacolo, e cioè soprattutto cinema, teatro e musica.

È stato creato con l'articolo 1 della legge 30 aprile 1985, n. 163 ("Nuova disciplina degli interventi dello Stato a favore dello spettacolo") per «fornire sostegno finanziario a enti, istituzioni, associazioni, organismi e imprese operanti in cinema, musica, danza, teatro, circo e spettacolo viaggiante, nonché per la promozione e il sostegno di manifestazioni e iniziative di carattere e rilevanza nazionale in Italia o all'estero».

Secondo la stessa legge, il fondo viene rifinanziato ogni anno con la legge finanziaria e viene ripartito tra i vari settori con un decreto del Ministro per i beni culturali. Per l'anno in corso il finanziamento stabilito dalla finanziaria doveva essere nelle previsioni di oltre 500 milioni di euro e invece è di 400 milioni scarsi (per l’esattezza: 398.036.000 euro). Un taglio secco, dunque, del venti per cento.

La cifra a disposizione, secondo il decreto attuativo, viene così distribuita, al netto dei venti milioni di euro destinati alle fondazioni lirico-sinfoniche: 47,5% agli enti lirici, 18,5% alle attività cinematografiche, 16,3% alle attività di prosa, 13,7% alle attività musicali. Poco più che spiccioli alle attività di danza (2,3%) e quelle circense (0,2%).

L’iniziale richiesta di un reintegro del fondo, proveniente da esponenti di maggioranza e opposizione, sembrava in un primo momento aver ottenuto un mezzo impegno del ministro Bondi, ma poi non ha avuto seguito. La commissione bilancio della Camera ha infatti bocciato gli emendamenti presentati da Pdl e Pd per chiedere il reintegro del Fus, salvo poi recuperarli in seconda battuta. Ma la partita è ancora aperta.

Col risultato che persino due parlamentari di maggioranza, G<WC1>abriella Carlucci e Luca Barbareschi<WC>, che vengono dal mondo dello spettacolo, hanno<WC1> sottolinea<WC>t<WC1>o che «250mila posti di lavoro sono in pericolo, migliaia di imprese rischiano di fallire, un intero settore produttivo nazionale rischia il collasso. L'industria dell'intrattenimento è stata completamente esclusa dalle misure anticrisi e questo è assolutamente inaccettabile. Nel nostro Paese non possono esistere aziende di serie A ed aziende di serie B. Siamo al fianco di tutti gli operatori del mondo dello spettacolo e delle manifestazioni di civile protesta che vorranno porre in essere per testimoniare tutto il loro disagio, tutta la loro delusione».<WC>

Questa la situazione. Che ha serie conseguenze anche a Trieste e nel Friuli Venezia Giulia. «Per noi duecentomila euro in meno - dice Antonio Calenda, direttore del virtuosissimo Stabile del Fvg, campione di incassi - sono comunque una botta notevole. Fra biglietti e abbonamenti possiamo contare su quattro milioni di entrate, cui si aggiungevano un milione e cento dallo Stato e un altro milione abbondante dalla Regione. Ora questa decurtazione ci mette in seria difficoltà, anche perchè va ad aggiungersi ad altri tagli subiti negli anni scorsi e che ci hanno costretto già a fare tutte le economie possibili. Diciamo allora che non sappiamo più dove risparmiare per non penalizzare la qualità della produzione...».

A margine Calenda lancia anche una critica, diciamo così, ”fratricida”: «Per quanto riguarda poi i fondi erogati dalla Regione, non è concepibile che noi riceviamo gli stessi finanziamenti destinati al Nuovo di Udine. Con tutto il rispetto, loro ospitano gli spettacoli, noi oltre a ospitarli ne produciamo. Quest’anno ben sedici, che poi hanno girato l’Italia...».

Ma andiamo avanti. «La verità - spiega Alberto Bevilacqua, presidente del Css di Udine - è che la nostra regione ha un sistema teatrale di prosa a livelli di eccellenza. Non ci sono doppioni, c’è un grande equilibrio che è stato coltivato dalla Regione ed è il nostro punto di forza. Bisogna allora rafforzare questo sistema e collaborare di più...».

Ancora Bevilacqua: «Per quanto riguarda il Css, che è <IP9><CF><CP>Teatro Stabile d’innovazione del Friuli Venezia Giulia</CP></CF></IP>, i nostri numeri sono più piccoli ma proprio per questo nostro ruolo legato alla ricerca i tagli fanno più male. Nel 2008 abbiamo ricevuto dallo Stato 435 mila euro. A oggi sappiamo che il taglio sarà nell’ordine del venti per cento, ma non sappiamo ancora nulla di sicuro. E la situazione di incertezza, dovendo programmare per tempo, produce danni quasi quanto il taglio stesso».

«Noi abbiamo un bilancio molto virtuoso - conclude il presidente del Css - nel quale metà delle risorse arriva dagli incassi e l’altra metà dai finanziamenti pubblici. Diciamo che la stagione 2009, con i soliti risparmi, è in salvo. Ma se le cose non cambiano, quella del 2010 è a rischio. Il guaio, nel nostro paese, è che la cultura non è considerata impresa che produce lavoro, che ha bisogno di dati certi per poter esprimere una propria progettualità».

Passiamo alla lirica. Che è quella che gode dei finanziamenti maggiori e per la quale dunque anche i tagli sono più dolorosi. «Il nostro finanziamento previsto - spiega Giorgio Zanfagnin, sovrintendente del Teatro Verdi - doveva essere di sedici milioni nel 2008 e diciotto nel 2009. A un primo taglio di sei milioni nel biennio se n’è ora aggiunto uno ulteriore di altri due milioni e 200 mila. E l’annunciato tentativo di attenuare la riduzione sembra fallito».

Con il risultato, conclude Zanfagnin, «che al posto dei trentaquattro milioni previsti nel biennio ne arriveranno meno di ventisei. Un taglio che corrisponde a due o tre anni dei nostri incassi al botteghino... Ma noi andiamo avanti comunque, grazie ai risparmi fatti e ai criteri imprenditoriali adottati. I prezzi dei biglietti non li abbiamo aumentati. Il bilancio 2008 è stato chiuso in pareggio, su quello dell’anno in corso avremo invece dei problemi. Tutto sommato piccoli, rispetto a quelli di altre fondazioni liriche, che rischiano la chiusura».

I "cahiers de doléances" potrebbero andare avanti a lungo. Anche perchè i tagli riguardano altre importanti realtà dello spettacolo triestino e regionale, dal Teatro Stabile La Contrada al Teatro Stabile Sloveno al mondo del cinema. Nel quale serie difficoltà incontreranno i cinque festival cinematografici regionali finanziati dallo Stato e che fanno parte dell’Afic, Associazione Festival Italiani di Cinema. Cioè Alpe Adria Cinema, Maremetraggio, Scienceplusfiction, Giornate del Cinema Muto, Far East Film.

Tutti lamentano tagli nell’ordine del venti per cento. Ma hanno un’ultima speranza. Una ciambella di salvataggio lanciata dalla Regione. «L’assessore alla cultura Molinaro - dice Chiara Omero, direttore artistico di Maremetraggio, nel direttivo nazionale dell’Afic - si è impegnato a ripristinare i fondi perduti con una variazione di bilancio. Che dire? Aspettiamo e speriamo...». Altrimenti, dicono un po’ tutti, si rischia di chiudere.

venerdì 24 luglio 2009

SPRINGSTEEN A UD - 2


dall’inviato

CARLO MUSCATELLO

UDINE «Mandi Udin!» urlato tre volte nel microfono. E poi il tradizionale, stentoreo: one, two, three, four... Sciabolate rock squarciano la calda, caldissima notte udinese. La folla sa che è solo l’inizio.

Sono appena passate le ventuno di ieri sera, le luci scendono lentamente sullo Stadio Friuli che è un catino bollente, oltre trentacinquemila giovani di anagrafe o di spirito arrivati da mezza Europa aspettano solo il cenno convenuto per esplodere, in quel rito catartico e liberatorio che è ogni concerto di Bruce Springsteen.

E quel cenno arriva puntuale, con il dito indice della mano destra che indica il cielo, con il saluto alla folla adorante, con il primo accordo di chitarra che avvia la danza rock e innesca l'esplosivo sotto quella meravigliosa macchina di musica che è ancora la vecchia E Street Band.

Lui, nerovestito, divisa da vecchio rocker, entra sulle note di una tarantella napoletana eseguita alla fisarmonica da Nils Lofgren, Roy Bittan e Charlie Giordano. Lo accoglie un boato affettuoso. Il saluto locale ripetuto tre volte, e poi sotto con il miglior rock che oggi passa il convento della musica contemporanea. Linguaggio semplice ma universale, vero e unico esperanto dei popoli.

Si parte alla grande con una ruggente ”Sherry darling”. Subito doppiata da ”Badlands”, con la folla che è già partita per la tangente. Il nostro canta di terre brutte, terre desolate, quelle della provincia che è uguale in ogni parte del mondo. Quelle della povera gente che non ce la fa a tirare avanti e ha diritto almeno alla speranza di un domani migliore, anche questa uguale in ogni parte del mondo. Il coro del Friuli è intonato come quello dell’Antoniano di Bologna (absit iniuria verbis). Il sax di Clarence Clemons fa il resto.

Non c’è soluzione di continuità, non c’è tempo per respirare né per ripensarci, parte un altro cavallo di battaglia che il popolo del Boss conosce a memoria: ”Hungry heart”, con le prime strofe affidate al coro dei trentacinquemila. Lui, Bruce, porge idealmente il microfono e ascolta compiaciuto. La notte promette bene assai. Ma del resto, quand’è che un concerto del nostro ha mai deluso qualcuno?

Il palco è maestoso ma tutto sommato semplice. Niente a che vedere con i gigantismi, con gli effetti speciali, con le trovate tecnologiche sempre più ardite che troppi usano solo per sviare l'attenzione da una sostanza che non c'è. Qui la sostanza c'è, eccome, e allora bastano un paio di passerelle e tre schermi giganti per avvicinare l'uomo di Freehold alla sua gente, al suo popolo. Ci sono quelli che anche prima dei sessant'anni che lui compie a settembre sono lì a raschiare tristemente il fondo del barile: un altro stanco tour, un'altra inutile raccolta giusto per fingere di esserci ancora, a costo di ridursi a patetiche caricature di se stessi.

Il Boss è di un'altra pasta, non per nulla è il numero uno. E questo "Working on a dream tour", la cui parte italiana si è conclusa ieri sera a Udine, dopo le tappe di Roma e Torino, lo conferma in uno stato assolutamente di grazia. Di più: ce lo propone quasi in uno stato di furore, di urgenza creativa e comunicativa che lo porta a fare cose che in altri tempi sarebbero state impensabili. Come eseguire alcuni brani a richiesta del pubblico, all'interno di una scaletta che cambia ogni sera e quasi trascura il nuovo album da cui il tour prende il titolo. Giusto due o tre brani, fra cui ”Outlaw Pete” e ovviamente la title track ”Working on a dream”, perchè non si dica che le esigenze dell'agonizzante discografia vengono trascurate. Poi, per tre ore buone, va a pescare episodi noti e meno noti di una carriera che attraversa quattro decenni. Infilando ogni tanto anche qualche cover che vale più di una dichiarazione di intenti, come una superba ”Summertime blues”.

Ma la notte, come si dice, è ancora giovane. La gente canta e balla sul prato come sulle gradinate. In tribuna vip c’è anche Zucchero. Il sudore scorre impietoso. Bruce canta, quasi invoca «Can you hear me... can you hear me...?». Mi puoi ascoltare, sei qui accanto a me questa sera, sei vicino a me, sei dalla mia stessa parte della barricata? La sua forza è la sincerità, unita a quel tocco di autobiografia che si cela quasi in ogni canzone. La sua è la poetica del rock come antidoto alla solitudine, persino alla disperazione che porta un ”Johnny 99” qualsiasi, d’America o d’Italia, a prendere un giorno un fucile e sparare.

«Abbiamo bisogno anche di rumore», dice Bruce in italiano, e il riferimento è ancora alle polemiche milanesi dell’anno scorso. Ma perchè ripensarci, se quella che va in scena è - finalmente - la vittoria del rock nella sua forma più vera, più nobile, più essenziale. E a guardarlo, a sentirlo, vien quasi da pensare che questo stato di grazia sia strettamente collegato alla nuova fase politica che sta vivendo la sua America, umiliata dagli otto anni di presidenza Bush, con le guerre, la crisi economica e tutto il resto, e oggi in attesa di quel rinascimento promesso da Barack Obama. Un rinascimento a stelle e strisce atteso da tutto il mondo, che sembra aver influenzato anche il nostro "working class hero", da sempre sensibile agli ideali di giustizia sociale, alle difficoltà della povera gente che è principale protagonista delle sue canzoni.

Sono le ventidue e trenta, siamo solo a metà del viaggio. Da ”Magic”, disco di due anni fa, arrivano le noti dolci, quasi leggere di ”Girls in their summer clothes”. Quell’album aveva i toni dell’amara riflessione sugli States, permeata quasi da un senso di tradimento. Ora sembra di respirare di nuovo la grinta dei tempi migliori, l’entusiasmo dei sogni, sotto l’egida di una rinnovata pulsione in perfetto stile «I have a dream». Che poi è l'origine del "Yes we can" obamiano: sì, noi possiamo farcela, innanzitutto a ripartire, per un mondo migliore, per la terra promessa che sognavano i nostri avi.

I trentacinquemila dello Stadio Friuli, sudati come Bruce e i suoi compari sul palco, sembrano crederci. E sanno che quella che hanno dinanzi agli occhi è la quintessenza del rock, della miglior musica popolare dell'ultimo mezzo secolo. Quarant’anni dopo Woodstock, dopo la fine dell’innocenza, oggi che tutto sembra e forse è plastica, soldi, interesse, immagine, raschiamenti del fondo del barile, quell’uomo sul palco ci insegna che è ancora possibile dire no, è possibile fare un’altra scelta, una scelta di dolore e di speranza. Perchè si può sempre ripartire, ricominciare.

Tocca a ”Promised land”, alla terra promessa, e forse non è un caso. ”Born to run” regala un momento di eccitazione collettiva di rara intensità. Baby, siamo nati per correre. E la cavalcata finale dei bis, aperti quasi a sorpresa da ”Born in the Usa”, classico di solito trascurato dal vivo, fa il resto.

Il popolo del Boss lo sa: non si può parlare di rock, forse non si può parlare nemmeno del nuovo sogno americano, se non si è mai visto un concerto di Bruce Springsteen. Una maratona di suoni ed emozioni che manda la gente a casa stanca ma felice. Almeno per una sera. Proprio com’è successo ieri a Udine.


 


 

mercoledì 22 luglio 2009

SPRINGSTEEN A UD - 1


di CARLO MUSCATELLO

UDINE Siete pronti? La leggenda del rock, quello vero, è di nuovo fra noi. Per celebrarla come si deve, alcuni sono arrivati già ieri mattina. Provenienti con ogni probabilità dalla tappa precedente del tour, in questo caso Torino, per accaparrarsi i primi posti in fila davanti agli ingressi. Quelli che valgono la possibilità di vivere il concerto giusto sotto il palco.

Il palco, anzi, il megapalco è ovviamente quello dello Stadio Friuli di Udine, dove stasera si terrà il terzo e ultimo concerto italiano del tour mondiale 2009 di Bruce Springsteen. Sono attesi fra i 35 e i 40 mila spettatori. Di cui oltre la metà arriva dall’estero: Austria, Slovenia, Croazia, ma anche Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Serbia, Germania, persino Finlandia e Svezia. Da mezza Europa, dunque, per rendere omaggio al vero re del rock, nella tappa più vicina a quell’Europa dell’Est che stranamente non è toccata dalla tournèe.

Tournèe che - seguita alla pubblicazione a gennaio dell’album ”Working on a dream” - è partita il 30 maggio in Olanda, poi ha girato gli Stati Uniti per un paio di settimane, tornando in Europa il 27 giugno al Glastonbury Festival, in Inghilterra.

Per Springsteen - sessant’anni il 23 settembre, da oltre trenta il rocker più amato dagli appassionati - si tratta di un ritorno nel Friuli Venezia Giulia, a distanza di quasi tre anni dal concerto a Villa Manin dell’ottobre 2006. Quella volta erano accorsi in undicimila, per la prima volta del Boss in regione, all’epoca in versione bluegrass con i diciassette della Seeger Sessions Band, armati di chitarre acustiche, banjo, violini, armoniche, fisarmoniche, contrabbasso...

Stasera sarà un’altra storia. Una storia tutta rock. Visto che con Bruce sul palco ci sarà la vecchia e gloriosa E Street Band: Roy Bittan, piano e tastiere; Clarence Clemons, sassofono e percussioni; Nils Lofgren, chitarre; Gary Tallent, basso; Steve Van Zandt, alias Little Steven, chitarra; Max Weinberg, batteria; Soozie Tyrrell, violino e cori; Charlie Giordano, tastiere. Patti Scialfa, moglie e corista, stavolta è rimasta a casa.

Se ne sono accorti quelli che hanno assistito ai concerti di domenica a Roma e dell’altra sera a Torino. «È bello essere nella città più bella del mondo. Siamo venuti da mille miglia per mantenere la nostra solenne promessa: curare le nostre anime e costruire una casa di musica e rumore. Roma ha bisogno del rumore...», ha detto aprendo il concerto romano, facendo riferimento alle polemiche dell’anno scorso a Milano (e non a caso quest’anno il tour non fa tappa nella metropoli lombarda, sede nel giugno ’85 del leggendario debutto italiano del Boss...).

Poi, dopo un omaggio al Morricone di ”C’era una volta il West”, a Roma ha infilato una scaletta molto rock, in bilico fra passato e presente. Completa di una dedica all’Abruzzo terremotato presentando ”My city of ruins” (scritta ai tempi dell’11 settembre). Ma anche dell’abbraccio all’anziana madre di origine italiana, Adele Zirilli, salita sul palco in occasione di ”American land”, eseguita fra i bis.

L’altra sera a Torino il Boss ha invece sorpreso tutti aprendo il concerto con alcune parole in un improbabile dialetto piemontese: «Mì i sun cuntent d'ese ambelesi con vojautri...», sono contento di essere qui con voi. Poi sotto con una scaletta che ogni sera è sempre diversa, e in questi concerti comprende spesso anche vecchi brani e cavalli di battaglia richiesti a gran voce, o con cartelloni, dal pubblico.

Chissà cosa s’inventerà stasera a Udine. Dopo che a Villa Manin, nel 2006, aveva celebrato le glorie dei vini locali sul palco. I dati delle prevendite ieri sera avevano superato quota 33 mila. Metà abbondante dall’estero, come si diceva, solo il 15% dal Friuli Venezia Giulia e il 30% dal resto d’Italia.

Altri biglietti saranno in vendita oggi alle biglietterie dello Stadio Friuli, situate all’ingresso della Curva Nord e aperte dalle 11 del mattino. L’inizio dello spettacolo - organizzato da Barley Arts in collaborazione con Azalea Promotion, Regione Friuli Venezia Giulia, Comune di Udine e No Borders Music Festival - è annunciato per le 20.30, ma una mezz’ora di ritardo accademico è quasi certa, dunque difficilmente il Boss apparirà prima delle 21. La durata del concerto è di circa tre ore. Non si chiude quindi prima di mezzanotte. Dopo la tappa di stasera a Udine, il tour prevede cinque concerti in Spagna, con conclusione europea il 2 agosto a Santiago. Prima di tornare per un’appendice americana di cinque concerti, dal 30 settembre in poi, nel ”suo” New Jersey.

TOUR (29-6-09)


Dopo Laura Pausini a Villa Manin e Ornette Coleman a Udine, l’estate del rock scalda i motori. Anche nel Nordest. A dimostrazione del fatto che la musica dal vivo non conosce crisi. Pare infatti che i tempi di ristrettezze economiche stiano penalizzando tutti i settori tranne quello dei concerti musicali. Nonostante prezzi spesso piuttosto elevati e comunque non adatti a un pubblico soprattutto giovanile.

Ma vediamo cosa propone il calendario, suscettibile ancora di aggiornamenti. A Trieste si attende soprattutto il grande concerto di Carlos Santana in piazza Unità il 14 luglio (unica data italiana del tour assieme a Brescia, il giorno dopo), ma anche gli appuntamenti di Trieste Loves Jazz e del Trieste Rock Festival. La prima rassegna, giunta alla terza edizione, propone da metà luglio a metà agosto star del jazz come il sassofonista Maceo formazione Brazilian All Stars Play Jobim (con Eddie Gomez al basso), assieme a tanti altri musicisti italiani e internazionali, protagonisti grandi e piccoli del genere afroamericano. Chiusura, il 15 agosto in piazza Unità, con il concerto di Lelio Luttazzi denominato ”Trieste Loves... Lelio Luttazzi”.

Per quanto riguarda il Trieste Rock Festival, la rassegna giunta alla sesta edizione propone quest’anno dal 31 luglio al 2 agosto, in piazza Unità, i Van der Graaf Generator di Peter Hammill, i Gong di Daevid Allen e Claudio Simonetti con i Daemonia.

Ma i riflettori quest’estate sono puntati soprattutto su Udine. Allo Stadio Friuli ci saranno infatti il 16 luglio Madonna (che il 20 agosto sarà anche all’ippodromo di Lubiana), il 23 luglio Bruce Springsteen e il 31 agosto i Coldplay nell’unica data italiana del loro tour. Un tris che da solo fa del capoluogo friulano la capitale dell’estate musicale nella nostra regione.

Il capoluogo friulano propone anche i Jethro Tull venerdì 3 luglio e Steve Winwood l’8 luglio, calendario spiccano anche i concerti di Lignano: il 5 luglio all’Arena Alpe Adria ci sono i Chickenfoot di Joe Satriani, il 25 luglio Fatboy Slim a Lignano Riviera. E di Grado: il 7 luglio Cristiano De Andrè canta le canzoni del padre Fabrizio, l’11 luglio concerto di Gino Paoli, il 17 luglio arriva David Byrne (il cui tour una settimana prima, il 10 luglio, fa tappa anche a Lubiana).

A Villa Manin di Passariano da segnalare giovedì 2 luglio Enzo Avitabile e il 30 luglio i Pooh. Mentre a Tarvisio il 19 luglio c’è Goran Bregovic, il 29 luglio Lenny Kravitz, il 2 agosto Paolo Conte e il 9 agosto Vinicio Capossela.

Dal 2 all’11 luglio, al Parco del Rivellino di Osoppo, sedicesima edizione del Rototom Sunsplash: il più importante festival reggae d’Europa quest’anno propone fra gli altri Bunny Wailer, Skatalities, Anthony B, Ali Campbell...

Appuntamenti di rilievo anche nelle vicine repubbliche. Krizanke, arriva uno dei maggiori esponenti della musica brasiliana: Gilberto Gil. Il 14 luglio a Lubiana suonano i Morcheeba. Ma l’attenzione è tutta per il tour mondiale degli U2, che farà tappa in Croazia, allo stadio di Zagabria, il 9 e il 10 agosto. Due date più abbordabile per chi si mette in viaggio dalla nostra zona di quelle del 7 e 8 luglio a Milano (ma anche del 7 e 8 agosto a Vienna). Prevendite dei biglietti aperte, come per altri appuntamenti estivi in Slovenia e in Croazia, da Radioattività Multimedia (www.radioattivita.com, tel. 040-304444).

L’estate musicale regionale potrebbe concludersi - ma gli annunci dell’ultima ora sono sempre possibili - il 4 settembre a Villa Manin con il concerto di Claudio Baglioni. E il calendario propone già Eros Ramazzotti il 20 ottobre all’Arena di Belgrado, il 24 ottobre all’Arena di Zagabria, il 19 novembre all’Hala Tivoli di Lubiana. Ma è già autunno.