lunedì 30 maggio 2016

MOSTRA WHAM! DAL 23-6 A UDINE

Dici Wham! e pensi agli anni Ottanta. Sono passati trent’anni. E infatti “Wham! 30 years later” s’intitola la mostra-evento che verrà inaugurata il 23 giugno al Visionario di Udine. Si badi bene: non si tratta di un’esposizione pensata e già vista altrove, e che ora arriva anche dalle nostre parti, abitualmente periferia dell’impero. No, la mostra nasce proprio nella nostra regione, da un’idea del collezionista udinese Silvio Toso e dell’Associazione ArteKmZero. Che diventa realtà grazie alla collaborazione del Comune di Udine, del Centro Espressioni Cinematografiche e di altri enti e sponsor.
Attraverso film, video, rarità, memorabilia, materiali d’archivio provenienti da tutto il mondo (basti pensare che gli Wham! furono trent’anni fa le prime star occidentali a sbarcare in Cina...), verrà infatti proposta al visitatore la storia di una delle band simbolo degli anni Ottanta.
La loro storia durò appena cinque anni, dal 1982 al 1986. Come gli appassionati ben sanno, il duo era formato dal cantante George Michael (sua l’iniziativa, al culmine del successo, di mollare il socio e proseguire da solista...) e dal chitarrista Andrew Ridgeley, entrambi inglesi. Anche se il primo - vero nome Georgios Kyriacos Panayiotou, classe ’63 - di origine greca.
Scelgono il nome ispirandosi a quelle tipiche onomatopee utilizzate nei fumetti (bang, slam, slurp...). Per un breve periodo, agli inizi, sono anche costretti a farsi chiamare - perlomeno negli Stati Uniti - “Wham! U.K.”, per non confondersi con un’altra band omonima e di precedente formazione che era abbastanza nota nel continente a stelle e strisce.
In una scena musicale stretta fra retaggi punk, cascami new wave e vecchio sano solido rock’n’roll (dall’altra parte dell’oceano le quotazioni di un certo Bruce Springsteen stanno crescendo a vista d’occhio...), i giovanissimi George e Andrew si impongono come bellocci testimonial di una vita spensierata, senza problemi, incline al divertimento. I campioni musicali, insomma, di quell’”edonismo reaganiano” raccontato negli stessi anni in Italia da Roberto D’Agostino a “Quelli della notte”. Ascoltare e vedere per credere i primi singoli con relativi videoclip del duo: “Careless whisper”, “Last Christmas”, “Wake me up before you go-go”...
Nella loro breve carriera gli Wham! realizzano quattro album (“Fantastic”, “Make it big”, “Music from the edge of heaven”, “The final”), cui segue una decina d’anni dopo lo scioglimento “If you were there (The best of Wham!)”. Ma i materiali audio e video sono tantissimi.
Li vedremo al Visionario, dal 23 giugno al 31 luglio. Esattamente a trent’anni dal megaconcerto “The final”, allo stadio di Wembley, che nel giugno ’86 chiuse col botto la carriera del duo.

venerdì 27 maggio 2016

NUOVE ROTTE DEL JAZZ A TRIESTE

Prima gli scandinavi Angles 9, poi il progetto “Jazz Loft”, infine l’omaggio a Vladimiro Miletti con “Aria di jazz”. Tre appuntamenti da non perdere, da oggi al 10 giugno, ognuno con la sua specificità e il suo fascino, per “Le nuove rotte del jazz 2016”. Piccola ma intrigante rassegna, giunta alla quattordicesima edizione, che si svolge a Trieste all’Auditorium del Museo Revoltella. Minimo comun denominatore: osare alla ricerca di nuovi linguaggi.
Avvio scoppiettante questa sera con la formazione svedese del sassofonista Martin Küchen. Due album come “Every woman is a free” e il più recente “Injures” li hanno imposti all’attenzione della critica e del pubblico, che da anni ha modo di apprezzarli nei più importanti festival europei. Il menù? Un gustoso concentrato di riff ossessivi e temi cantabili, con il giusto spazio per l’improvvisazione.
Alcuni vi hanno trovato possibili ascendenze nella Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, nel miglior free d’annata, ma si tratta di spunti, di idee sviluppate con grande personalità e originalità. Ma c’è anche chi vi ha scovato tracce di Carla Bley, di Charles Mingus, di Lars Gullin, persino influssi della musica balcanica e di certe danze africane. Come quando i temi semplici e ripetitivi del pianoforte vengono poi doppiati dalla sezione dei fiati. Per approdare a dialoghi strumentali che sostengono l’impianto dei singoli brani.
La formazione della band cambia spesso, diciamo che è una sorta di collettivo aperto, che ruota comunque attorno al sax alto di Martin Küchen. A Trieste e in questo tour europeo lo affiancano Eirik Hegdal al sax baritono e sopranino, Goran Kajfes e Magnus Broo alla tromba, Mats Äleklint al trombone, Johan Berthling al basso, Alexander Zethso al pianoforte, Mattias Ståhl al vibrafono e Andreas Werliin alla batteria. Insomma, alcuni dei migliori musicisti del jazz nordico.
E siamo al secondo appuntamento, quello di mercoledì 8 giugno. Si tratta di "Jazz Loft", progetto in bilico fra musica e fumetto, già visto nei mesi scorsi a Pordenone. Partiamo da una “graphic novel” scritta da Flavio Massarutto e disegnata da Massimiliano Gosparini, che ha ispirato le musiche dei pordenonesi Massimo De Mattia e Bruno Cesselli.
Con loro, sul palco: Nicola Fazzini al sax alto e soprano, Luigi Vitale al vibrafono e alla marimba, Alessandro Turchet al contrabbasso e Luca Colussi alla batteria. In questa occasione saranno affiancati dal Quartetto d’archi dell’Accademia Arrigoni, ovvero Christian Sebastianutto e Alberto Stiffoni al violino, Domenico Mason alla viola e Marco Venturini al violoncello.
Ma per concludere degnamente la rassegna c’era bisogno di una prima assoluta. Eccola: venerdì 10 giugno è infatti la volta di “Aria di Jazz: concerto in omaggio a Vladimiro Miletti”, evento concepito appositamente per “Le nuove rotte del jazz 2016”.
Si tratta di una ricerca sonora ma anche letteraria, artistica e persino sociale, dedicata allo scrittore e artista triestino. L’opera di Miletti, nato nel 1913 e scomparso nel 1998, si è sviluppata soprattutto a cavallo fra gli anni Trenta e Quaranta nel fertilissimo alveo del futurismo e nei territori delle avanguardie.
Grande appassionato di jazz, viene ora ricordato - in questo progetto coordinato da Flavio Massarutto - un ensemble di ottimi solisti e un gruppo di docenti e allievi del Conservatorio Tartini guidati da Giovanni Maier, con un programma dedicato al jazz degli anni Venti e Trenta. Con Maier al contrabbasso, suonano Robert Mikuljan alla tromba, Daniel D’Agaro al clarinetto e ai sassofoni, Giancarlo Schiaffini al trombone, Matteo Alfonso al pianoforte, Camilla Collet alla batteria.
I tre concerti, come si diceva, si svolgono all’Auditorium del Museo Revoltella, con inizio alle 20.30, ingresso libero. Organizza il Circolo Culturale Controtempo, con il contributo del MiBact e della Regione, e la collaborazione del Comune di Trieste e del Conservatorio Tartini.
Altre informazioni su www.controtempo.org

lunedì 23 maggio 2016

OGGI ANDREA PAZIENZA AVREBBE 60 ANNI (ansa)

Oggi Andrea Pazienza avrebbe compiuto 60 anni. Ne sono passati 28, da quel 16 giugno 1988 quando, a soli 32 anni, se n'è andato lasciando la traccia indelebile di uno dei geni più dirompenti del fumetto contemporaneo. In coincidenza con i 60 anni di Paz, per la prima volta la sua opera omnia viene raccolta in volume, più o meno un mese fa è stato aperto il sito ufficiale, www.andreapazienza.it, messo in rete «per rendere stabile la divulgazione del lavoro di Andrea attingendo a tutte le fonti possibili», come ha detto la moglie, Marina Comandini. Ciò che continua a colpire dell'opera di Pazienza è la sua capacità di essere contemporanea mantenendo intatta la sua componente visionaria. E a sorprendere non è soltanto il fatto che siano passati quasi trent'anni dalla sua morte sciagurata ma anche, e soprattutto, la considerazione che il suo lavoro era profondamente radicato nella realtà del suo tempo, pochissimi sono riusciti a raccontare le vicende, i fermenti e i tormenti della stagione a cavallo tra gli anni '70 e '80. Era nato a San Benedetto del Tronto, era cresciuto in Puglia ma si era formato in quella Bologna degli anni '70 che è stata il principale laboratorio di idee, musica e nuove forme espressive dell'Italia dell'epoca. Grazie a un talento, una tecnica, una fantasia e un'inventiva narrativa miracolosi, il suo lavoro copre un arco espressivo enorme: basta pensare alle sue avventure come fondatore di riviste chiave per la storia del fumetto italiano come «Cannibale» e «Frigidaire», ai suoi eroi-icone come Penthotal e Zanardi (ancora oggi le sue battute sono citatissime), al «suo» Pertini, «ultimo esemplare di una razza di uomini duri ma puri come bambini», lo straziante Pompeo, le formidabili vignette, le favole e le filastrocche per i bambini, Riccardo Stella, l'Investigatore senza nome. Per non dire delle sue opera da pittore, i manifesti per il cinema, per esempio«La città delle donne» di Fellini e le copertine degli album, come «Robinson» di Roberto Vecchioni. Una produzione copiosa che mescolava ironia e comicità al dramma, riflessione e satira sociale alla spietata autobiografia sull'onda di un momento in cui il fumetto italiano viveva una stagione straordinaria e piena di novità. Per usare una sua definizione, Andrea Pazienza aveva nei confronti del fumetto l'atteggiamento e l'approccio di una rockstar: ovviamente il discorso non è riferito al grande successo o ai suoi eccessi che sono parte della materia stessa del suo lavoro. Piuttosto alla sua capacità di reinventare un genere, mettendo una straordinaria consapevolezza e altrettanta capacità tecnica al servizio di un'immaginazione formidabile per spostare sempre più in là i confini di un linguaggio espressivo. Pazienza raccontava la realtà, a volte in stretta connessione con l'attualità, ma finiva per parlare al futuro anche per la sua abilità di inventore di una vera e propria lingua che fondeva, spesso con irresistibile effetto comico, il dialetto con il vocabolario ufficiale. L'influenza che Paz ha esercitato ed esercita sulle nuove generazioni di fumettari è incalcolabile: nessuno può negare che sia stato lui, in Italia, ad aprire le porte a un certo modo di intendere i comics così come è innegabile il suo contributo al superamento dell'idea che il fumetto sia soltanto una forma minore di intrattenimento pop. Chissà se lui avrebbe apprezzato l'idea, ma di sicuro lunedì 23 maggio si celebra un maestro.(ANSA).

venerdì 13 maggio 2016

SARAJEVO, VERITÀ PER GIULIO REGENI (27-4-16)

di Carlo Muscatello (da Articolo21 e sito Fnsi) SARAJEVO Quelli che tre mesi fa hanno sequestrato, torturato e barbaramente ucciso Giulio Regeni non se lo aspettavano. E non se lo aspettava nemmeno chi in questi tre mesi, dall'Egitto, ha tentato invano di mettere la sordina alla tragica vicenda del ricercatore italiano di Fiumicello. Su Giulio Regeni non cala il silenzio. La mobilitazione per ottenere la verità non accenna a scendere. Dopo le manifestazioni in Italia e in Europa, dopo le pressioni da parte degli Stati Uniti, dopo la lettera di 91 parlamentari europei alla Mogherini, ora arriva anche la voce dell'Efj, l'European Federation of Journalists, riunita in questi giorni a Sarajevo, Bosnia Erzegovina, per la sua assemblea annuale. La federazione europea dei sindacati dei giornalisti ha infatti fatto propria la mozione presentata dalla delegazione della Fnsi, guidata dal segretario generale Raffaele Lorusso, che chiede ancora e in maniera forte verità e giustizia per Giulio Regeni. Ma propone anche la costituzione di un coordinamento dei sindacati dei giornalisti europei per la tutela della libertà di stampa e per mettere in campo azioni di sostegno dei cronisti minacciati. L'assemblea, dedicata alla libertà di stampa e alla tutela dei diritti e alla lotta al precariato, ha approvato anche un'altra mozione presentata dalla Fnsi sulla grave situazione determinatasi in Turchia nel campo delle libertà, dei diritti civili e della libertà di informazione. A Sarajevo la Fnsi ha anche chiesto ai colleghi degli altri sindacati europei di costituire proprio a Sarajevo un coordinamento che abbia il compito di promuovere incontri con i vertici del Parlamento e della Commissione europea sui temi della libertà di stampa e sulla necessità di assicurare efficaci forme di tutela a tutti i cronisti minacciati. A questo proposito, il sindacato italiano dei giornalisti si farà promotore dell’istituzione di uno sportello europeo di assistenza e tutela dei cronisti minacciati.

giovedì 5 maggio 2016

MASSIMO BONELLI, DA TRIESTE A MICHAEL JACKSON

È stato per trentacinque anni una colonna della discografia italiana, fino a diventare direttore generale della Sony Music. Il 7 maggio inaugura al Museo Tornielli di Ameno, provincia di Novara, la mostra “I colori del rock”. Lui è il triestino Massimo Bonelli, classe 1949, nato a Conegliano ma cresciuto fra le elementari alla Nazario Sauro, le medie ai Campi Elisi, i pomeriggi trascorsi a Sant’Andrea. Prima di spiccare il volo verso Milano, dove vive tuttora. Bonelli, come nasce questa mostra? «In questi ultimi anni ho visitato mostre e musei in giro per il mondo. Scoprendo che, attraverso alcune opere della pop art, o di fronte alla visione delle icone del rock, rivivo la stessa emozione che provo ascoltando la buona musica. Con la complicità di un sindaco illuminato, due anni fa ho realizzato una mostra che passava in rassegna i miei 35 anni di discografia, oggetti regalatimi dagli artisti, materiale promozionale, merchandising, ricordi vari. Ha avuto successo e quest’anno mi sono rimesso in gioco con contenuti diversi». Cosa c’è di nuovo? «Quadri e sculture che parlano di musica, dei suoi protagonisti nella storia. Quindici artisti, molti di fama internazionale, partecipano con opere che riecheggiano un’epoca fantastica per fantasia e creatività. Dalla pop art alla pittura psichedelica. John Lennon e Jimi Hendrix, Bob Dylan e David Bowie, in forme e stili decisamente originali. È una mostra rock’n’roll. Mi piacerebbe portarla anche a Trieste, che considero sempre la mia città». Quando è cominciata la sua carriera? «Nel periodo più ricco e creativo sia della musica che dell’industria discografica, gli anni Settanta. Si era più coraggiosi e fantasiosi, nulla era connesso ma tutto era concesso». Periodo irripetibile? «Come ho scritto recentemente nel mio blog su Spettakolo.it, chi ha vissuto intensamente gli anni migliori della musica non ricorda le cose peggiori della vita. Sfoglia un album di famiglia privilegiato, dove la più stretta parentela è con meravigliose immagini che lo trasportano tra quelle note che sono state la fondamentale colonna sonora di ogni momento durante quel tratto di vita». Torniamo alla sua carriera: i passaggi più importanti? «Dopo essere diventato capo della promozione Emi (Beatles, Pink Floyd, Guccini, Deep Purple, Mina), sono passato alla Cbs con lo stesso ruolo e successivamente come direttore marketing. Poi sono stato a capo della Epic, etichetta Cbs (Michael Jackson, Sade, Cyndi Lauper, Oasis, Jamiroquai...) e, alla fine, direttore generale della Sony Music, quando la Cbs è stata acquisita dai giapponesi». Con quali artisti ha lavorato? «Oltre a quelli citati sopra, ho seguito Bob Dylan, Springsteen, Leonard Cohen, Frank Zappa, David Gilmour, Queen, James Taylor, Kate Bush, Tine Turner, Duran Duran... Fra gli italiani Francesco De Gregori, Claudio Baglioni, Ivano Fossati, Pino Daniele, Fiorella Mannoia, Renato Zero. Una volta, durante un volo aereo, ho calcolato che ho lavorato con oltre trecento artisti». Episodi? «Tantissimi, alcuni divertenti e altri meno. La prima telefonata imbarazzante con Mina, che non avevo riconosciuto, oppure Cyndi Lauper che mi fa i complimenti al David Letterman Show, i viaggi con Michael Jackson, la serata hard con Freddie Mercury, De Gregori che mi chiede di fronte a Baglioni se voglio più bene all’uno o all’altro». Oggi che discografia c'è? «Non lo so. Credo che non si divertano più. Delegare al mezzo televisivo ogni scelta artistica mi sembra una triste resa alla mancanza di creatività». Dopo il download, ora è l'epoca dello streaming... «Sono termini inquietanti. Io continuo ad acquistare dischi o cd. Scarico musica solo quando non riesco a rintracciarla sul mercato». C'è un futuro per il disco? «Per il disco non credo. Per la musica certamente. L’importante è non accontentarsi di ciò che trasmette la televisione o la radio generalista. Se l’appassionato ha la curiosità di cercare, troverà sempre splendida musica, anche tra artisti o gruppi giovanissimi. Anche se è più faticoso di un tempo». Il suo prossimo progetto? «Tra breve verrà pubblicato il mio romanzo di pura ma non troppa fantasia sulla vita di Michael Jackson “La vera favola di Emjay”, per bambini grandi o adulti piccoli, comunque per amanti della musica». Trieste? «Sono arrivato bambino, negli anni Cinquanta. Ho abitato in via Monfort e poi in via Locchi. Frequentavo le elementari Nazario Sauro e andavo a giocare a Sant’Andrea. Poi sono passato alle medie nella scuola che si trovava proprio in via Locchi. D’estate andavo all’Ausonia o a Sistiana. E’ stato un periodo difficile ma anche più autentico della mia vita, l’adolescenza». È tornato? «Una volta con la carovana del Festivalbar, ma anche recentemente. L’ho trovata ancor più bella, ordinata, pulita, imponente. Sempre ricca di sensazioni olfattive: il profumo del mare, l’odore dei pini salendo verso Opicina o Basovizza, le trattorie con gli odori di stinco arrosto o pesce fritto. Adoro Trieste, la considero “la mia città”».