domenica 22 maggio 2011

BOB DYLAN 70


Hey, mister Tambourine, domani fai settant’anni, ma pare che i tempi stiano cambiando un’altra volta, proprio come quand’eri ragazzo. Ad aprile hai suonato in Cina (per la prima volta, con contorno di polemiche), Vietnam, Australia. A maggio il tuo “never ending tour” (un centinaio di concerti all’anno, dalla metà degli Ottanta a oggi) è fermo. Ma a metà giugno riprende: Irlanda, Inghilterra, Israele...

Robert Allen Zimmerman, per tutti Bob Dylan, giunge a un’età che per quasi tutti è quella della pensione, dell’appagamento, dei bilanci, delle pantofole. Non per lui, non per l’eterna anima errante sempre in giro per il mondo, sempre in cerca di un pubblico dinanzi al quale strapazzare vecchi classici fino a renderli a volte irriconoscibili.

Tracce di grandezza, di genialità anche in questa apparentemente incomprensibile bulimia di spettacoli, di genti e luoghi nuovi, di emozioni da far rinascere. Anche perchè Dylan poteva benissimo chiudere baracca e burattini anche venti o trent’anni fa, che il suo segno nella storia della musica e della letteratura del Novecento l’aveva già lasciato. E bello profondo.

Per fortuna non è andata così, e altra bellezza è sgorgata dalla sua creatività. Altre canzoni, altri dischi sono arrivati. Alcuni non fondamentali, altri all’altezza del mito. Come “Modern times”, uscito cinque anni fa, che al di là della citazione chapliniana dei “tempi moderni” suonava come una garbata presa in giro ma anche una netta presa di distanze dal nostro presente così brutto, volgare e confuso. Come dire: in questo caos, in mezzo a questa follia, l’unica salvezza è il ritorno alla semplicità, alle origini, alle radici.

Mezzo cowboy e mezzo signore del sud degli States, dopo essersi tolto lo sfizio di fare il dj e di pubblicizzare biancheria intima e automobili, Bob Dylan con quel disco si rimise al centro della scena con musiche senza tempo, fra blues e honky tonk, fra jazz e country, fra classici rock’n’roll e ballate, fra valzer e appassionati ritratti della classe operaia e ancora velati messaggi religiosi.

Canzoni ricche di suoni scarni, semplici, essenziali, puliti. Interpretate con quella voce roca che sembra in grado di scolpire la roccia, che da tanto tempo indica la strada, la rotta, canta le nostre contraddizioni, la confusione e il disincanto di questi scassatissimi “tempi moderni”.

Domani in tutto il mondo - anche a Trieste e ovviamente anche su youtube - ci saranno giovani di ieri e di oggi che festeggeranno i settant’anni di un artista senza il quale la musica e la cultura e dunque anche il mondo oggi sarebbero diversi. Happy birthday, mister Tambourine. Geniale ed enigmatico come solo i grandissimi.

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