martedì 10 maggio 2011

BOB MARLEY 30


John Lennon e Jimi Hendrix, Elvis Presley e Michael Jackson. Ma anche Jim Morrison, Janis Joplin, Brian Jones, Kurt Cobain. E di certo Bob Marley, la prima rockstar del terzo mondo, il profeta planetario del reggae e della spiritualità rasta.

Nel pantheon del rock e della musica popolare dell’ultimo mezzo secolo, affollato di artisti scomparsi troppo presto e dunque consegnati all’immaginario collettivo “per sempre giovani”, un posto al sole giamaicano è sicuramente di Robert Nesta Marley, per tutti Bob, nato il 6 febbraio 1945 a Nine Mile, colline di Saint Ann, Giamaica settentrionale, e morto a Miami l’11 maggio 1981. Trent’anni fa.

Aveva un sogno cullato a lungo: quello dell'Africa unita. Seguiva il rastafarianesimo, culto molto diffuso in Giamaica. L'Etiopia è per i Rasta la terra promessa, quella dove, secondo la profezia di Marcus Garvey, si sarebbe seduto sul trono il primo imperatore nero, Haile Selassiè, che avrebbe riunificato tutte le donne e gli uomini di colore sparsi per il mondo e li avrebbe riportati in Africa. Il musicista divenne il portavoce dei Rasta e, attraverso le sue canzoni, fece conoscere la sua fede in tutto il mondo.

Aveva madre giamaicana e padre inglese, un capitano della Marina britannica che non aveva mai conosciuto. Infanzia povera e vita di strada nel ghetto di Trenchtown, a Kingston. Si appassiona alla musica. Nel ’62, adolescente, registra con lo pseudonimo di Bobby Martell due dischi singoli che non lasciano traccia. Nel ’64 fonda The Wailers con Peter Tosh e Bunny Wailer: è l’inizio di una carriera che ben presto esce dall’isola.

Dopo un periodo negli States, dove segue anche corsi di teologia, torna in Giamaica e scrive testi che parlano di pace, giustizia sociale, povertà, storia dell’Africa. Incontra il produttore discografico Chris Blackwell (fondatore di quella Island Records per cui incidevano King Crimson, Traffic, U2...), cui va il merito di inserire nel circuito internazionale Marley e i suoi Wailers, che ormai avevano cambiato formazione rispetto agli esordi. Puntando sul legame storico esistente tra Giamaica e Inghilterra, e intuendo le potenzialità della musica reggae, riesce a contaminare pop e rock con quei ritmi, grazie anche al coinvolgimento di rockstar come Rolling Stones ed Eric Clapton.

Con album come “Catch a fire” e “Burnin’”, Bob Marley diventa una star planetaria perchè riesce a reinventare il reggae, musica tradizionale, mettendo l’accento sulle componenti soul, rhythm’n’blues e persino pop che ascoltava da ragazzo alla radio con i suoi amici nel ghetto di Kingston. Il tocco in più è rappresentato da testi quasi profetici che sono diventati inni universali alla pace, alla fratellanza, all’uguaglianza, alla giustizia sociale.

Nel ’78, da anni al top, Marley scopre di avere un melanoma maligno alla pelle. Per quasi tre anni, mentre il cancro si diffonde a cervello, polmoni, fegato e stomaco, continua a suonare in giro per il mondo (storico il concerto a Milano, allo stadio di San Siro, il 28 giugno 1980, davanti a centomila persone...) e a incidere. Gli ultimi due album sono “Survival” e “Uprising”, nel quale “Forever loving Jah” e soprattutto “Redemption song” suonano come una sorta di addio al suo popolo, alla sua gente. E vanno ad aggiungersi a classici senza tempo come “Jammin”, “One love”, ovviamente “No woman no cry”, “Get up stand up”, ”I shot the sheriff”...

L’ultimo concerto è del 23 settembre 1980, a Pittsburgh (che torna proprio in questi giorni nel dvd “Live Forever”). Poi il ricovero in un centro specializzato a Monaco di Baviera, infine il trasferimento all’ospedale di Miami, quand’ormai non c’era più nulla da fare. E a Miami, l’11 maggio 1981, la morte.

In Giamaica, oggi, Bob Marley è una sorta di santo. Per la sua adesione alla religione rasta ma anche per aver tentato di portare parole di pacificazione nella sua isola. Dove non a caso, nel dicembre ’76, subì un tentativo di omicidio.

Nel resto del mondo, come si diceva, è un mito. Ha aperto la strada alla “world music”, ha influenzato e influenza generazioni di musicisti, la sua eredità non si limita a quanto proseguito anche in suo nome dalla moglie Rita (che nel 2005 ha riportato i suoi resti in Africa, ad Addis Abeba) o dai figli Ziggy, Stephen e Damian. A ottobre lo rivedremo al cinema, in un docufilm biografico firmato dal regista scozzese Kevin Macdonald. Per sempre giovane.

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