sabato 2 ottobre 2010

JANIS JOPLIN 40
Janis Joplin  fu la prima rockstar donna. E anche per questo il mondo la ricorda oggi, a quarant’anni dalla morte, avvenuta nella notte fra il 3 e il 4 ottobre 1970 in una stanza del Landmark Motor Hotel di Hollywood, California. Overdose. Mentre il mondo del rock stava ancora piangendo la morte di Jimi Hendrix, avvenuta due settimane prima a Londra.
L’ultima cosa che la cantante disse a un reporter, tale Al Aronwitz, fu che non amava più quel nome. «Sono stanca e stufa del nome Janis: chiamatemi Pearl». Che sarebbe diventato il titolo dell’album a cui stava lavorando in quell’inizio d’autunno di quarant’anni fa. Album che l’ex ragazza grassottella e brufolosa nata a Port Arthur, Texas («la mia prigione natale»), il 19 gennaio 1943, non avrebbe fatto in tempo a veder pubblicato. Perchè l’eroina se la portò via, in quella stanza d’albergo, consegnandola direttamente al mito. Forever young, per sempre giovane. Come tanti, troppi altri.
Per capire la sua importanza nella storia della musica popolare del Novecento, bisogna tornare a quella che era la scena musicale degli anni Sessanta. Una scena quasi completamente maschile, e se vogliamo pure maschilista, nella quale alle donne era sempre riservato un ruolo da comprimarie. Se non addirittura di ”groupies”, le disponibili fan che seguivano le tournèe dei loro idoli e ne allietavano i momenti liberi.
Pochissime le eccezioni. Joan Baez, Joni Mitchell, Carole King, Tina Turner (per la verità ancora impegnata a sfuggire alle grinfie e alle botte del marito-padrone Ike...), Grace Slick. E Janis Joplin, che ha vent’anni, quando nel ’63 molla la famiglia borghese e il Sud noioso e perbenista nel quale stava stretta e approda nella San Francisco della Beat Generation, del ”flower power”, del nascente nuovo rock americano. Fa in tempo a vedersi sfilare accanto la prima rivolta studentesca guidata dal mitico Mario Savio: 14 settembre del 1964, Berkeley, dicono che tutto sia cominciato da lì. Primi fuochi di un incendio che di lì a poco sarebbe divampato e avrebbe sconvolto il mondo.
Ma Janis ama la musica. La sua grande voce sporca di blues, assieme alla forte personalità, la pone subito su un gradino superiore rispetto agli altri. Il suo primo gruppo ”serio” è Big Brother and the Holding Company. Il primo album all’inizio non fa sfracelli e dovrà attendere il successo di là da venire per essere riscoperto e rivalutato.
Ma non bisogna attendere molto. In quello stesso Monterey Pop (tre giorni di festival nel giugno ’67) che consacra Jimi Hendrix, il popolo del rock si accorge anche di quella ragazza bianca, non bella, ma con la miglior voce nera che una bianca avesse mai osato esibire. Canta ”Ball and chain”, di Big Mama Thornton, e la versione che regala fa subito dimenticare l’originale.
Nel ’68 pubblica l’album ”Cheap thrill” (che comprende quella ”Piece of my heart” rimasta un classico del suo repertorio, ma anche un’intensa cover di "Summertime" di George Gershwin), lascia i Big Brother, forma la Kozmic Blues Band. Con cui nell’estate ’69 va a Woodstock, urla ”Try (just a little bit harder)” e diventa uno dei simboli della leggendaria ”tre giorni”.
Dicono che Woodstock fu l’inizio della fine di un movimento nato come opposizione alle logiche del consumismo e del capitalismo, che da quel momento fu fagogitato dalle stesse logiche, le stesse dinamiche, lo stesso sistema.
Di quel sistema Janis ormai è una star. Alternativa, ma pur sempre star. E sempre più inquieta. Alcol e droga diventano compagni abituali nella solitudine nella quale il successo tante volte spinge le personalità più fragili. Il suo acquisito status di ”prima rockstar al femminile” le permette anche di scrollarsi di dosso - a modo suo - i complessi maturati quando da ragazza, grassottella e brufolosa, come si diceva, non se la filava nessuno. E mentre il Village Voice la definisce ”un sex symbol in una brutta confezione”, lei in un’intervista confessa di aver fatto sesso sessantacinque volte, con partner diversi, durante un tour durato appena una settimana...
Cambia anche gli uomini del gruppo. La sua nuova formazione è The Full Tilt Boogie Band. Con loro, nel settembre del ’70, lavora a quel ”Pearl” di cui si diceva all’inizio. Album lasciato incompleto da Janis, pubblicato postumo nel ’71, il più venduto della sua carriera. Con dentro le classicissime ”Me and Bobby McGee”, di Kris Kristofferson, e ”Mercedes Benz”.
Dopo quella morte tragica e per tanti versi annunciata, Janis viene cremata al cimitero del Westwood Village Memorial Park di Westwood, California. Le ceneri vengono sparse lungo la costa di Maryn County, sull’Oceano Atlantico.
La musica, la voce, i dischi ma anche la personalità di Janis Joplin vengono invece consegnati direttamente al mito. E a distanza di quarant’anni dalla scomparsa, l’artista è tuttora un punto di riferimento imprescindibile per tutte le donne che cantano e suonano il rock.
Il cinema ha raccontato la sua storia già nel ’79, con quel ”The rose” che valse a Bette Midler una nomination all'Oscar per la miglior protagonista femminile. Una decina di anni fa il musical ”Love, Janis”, partito come produzione off, ben presto diventa un successo clamoroso, in cartellone a Broadway per diverse stagioni. E per il 2012 è annunciato un nuovo film: ci sono già il titolo, ”The gospel according to Janis”, e il nome della protagonista, la giovane Zooey Deschanel.
Chissà se a lei, a Pearl, tutto quel che è venuto dopo sarebbe piaciuto. O forse aveva ragione ancora una volta John Lennon, che proprio in quel 1970 cantava ”the dream is over”. Il sogno è finito. Appunto.

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