domenica 10 ottobre 2010

SOLOMON BURKE +
"Tutti abbiamo bisogno di qualcuno da amare. Quando incontrate qualcuno, amate quella persona, tenetela stretta a voi...". Versi che sembrano un manifesto di vita, che Solomon Burke - morto ieri a settant’anni, ad Amsterdam - scrisse nella sua ”Everybody needs somebody to love”.
Brano del 1964, che molti conoscono nella versione esplosiva che ne diedero i Blues Brothers nell’omonimo film del 1980 (come dimenticare la scena finale con Elwood e Jake, ovvero Dan Aykroyd e John Belushi, che ballano e cantano davanti ai poliziotti...), ma del quale esistono anche versioni precedenti firmate da Wilson Pickett e persino dai Rolling Stones. Che non a caso hanno sempre detto di considerare Burke fra i propri modelli.
”The king of rock’n’soul” - così amava farsi chiamare, e nei concerti da tempo cantava seduto su una sorta di trono, anche a causa della mole notevole - era nato a Philadelphia il 21 marzo del 1940 (la leggenda vuole che il lieto evento fosse avvenuto al piano di sopra di una chiesa...), anche se alcune fonti spostano indietro di due o addirittura quattro anni l’anno di nascita. Come tanti artisti di colore, comincia la sua carriera come predicatore e cantante di gospel. Il suo primo pubblico fu dunque quello dei fedeli che ogni domenica affollavano la chiesa del suo quartiere anche per sentire la sua voce.
E come tanti cantanti gospel, il ragazzo comincia presto a flirtare con generi cosiddetti profani quali il soul, il blues, il rhythm’n’blues. La scalata al successo è lunga e faticosa. Nel ’65 Otis Redding canta la sua ”Down in the valley”. Nel ’66 è lo stesso Solomon che pubblica per l’Atlantic Records ”Just out of reach (Of my two open arms)”. In quegli anni firma altri successi, come ”Cry to me” e ”Don't give up on me”. Ciononostante, rimane sempre - diciamo così - in seconda fila rispetto a mostri sacri della musica nera come Ray Charles, Aretha Franklin, James Brown, Stevie Wonder, lo stesso Otis Redding.
La consacrazione arriva tardi. Nel 2001 viene ammesso alla Rock and Roll Home of Fame. Nel 2003 vince un Grammy per l’album «Don't give up on me», comprendente brani scritti appositamente per lui da Bob Dylan, Brian Wilson, Van Morrison, Elvis Costello e Tom Waits, che una volta lo definì ”uno degli architetti della musica americana”. Due anni fa aveva pubblicato ”Like a fire”, con brani fra gli altri di Eric Clapton e Ben Harper.
Solomon Burke lascia la bellezza di ventuno figli e novanta nipoti. Ha suonato fino all’ultimo, se è vero com’è vero che la morte lo ha colto all’aeroporto Schiphol di Amsterdam. Dove era atteso per un concerto domani sera, nell’ambito del suo tour europeo. In Italia era di casa, nella varie rassegne dedicate alla musica nera (Porretta, Pistoia, Umbria Jazz...), ma anche nei Concerti di Natale in Vaticano. Aveva duettato con Zucchero nel brano ”Diavolo in me”, compreso nel recente disco di duetti del cantante italiano. Una curiosità: quando non si dedicava alla musica, gestiva una ditta di pompe funebri. Era rimasto sempre molto religioso.

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