sabato 23 giugno 2012

PATTI SMITH e regina spektor, nuovi dischi

Erano otto anni, dai tempi di “Trampin’”, che Patti Smith non usciva con una raccolta di inediti. Ma dopo aver ascoltato questo “Banga” (Sony Music), suo undicesimo album in studio, possiamo dire che il lungo silenzio ha prodotto un lavoro che ha giustificato l’attesa. Un’attesa che era stata rotta da “Twelve”, disco di cover, dal libro “Just kids”, da tanti concerti, persino da una partecipazione all’ultimo Sanremo... In Inghilterra qualcuno ha già scritto che si tratta - addirittura - del suo miglior disco dai tempi del debutto con “Horses”, pubblicato nel ’75. Di certo siamo di fronte a un album che lascia il segno, in questi tempi confusi della scena rock attuale. Il titolo è una citazione da “Il maestro e Margherita” di Bulgakov. Per introdurre un album molto italiano. Ce lo racconta la stessa artista nel libretto di copertina dell’edizione deluxe, rivelando che le prime idee, i primi appunti sono stati messi giù durante una crociera sulla Costa Concordia, sì, proprio quella naufragata sei mesi fa dinanzi all’isola del Giglio grazie alla follia per nulla visionaria del comandante Schettino. Alcune foto che la ritraggono su uno dei ponti della nave, pensierosa a fissare l’orizzonte, sono la testimonianza di quei momenti di relax assolutamente creativo. Dal quale sono nati almeno due brani: quello che dà il titolo al disco e “Seneca”. Ma c’è anche il recitato iniziale di “Amerigo”, dedicata ovviamente al navigatore Vespucci, oltre a due brani composti e incisi ad Arezzo (fra cui la suite “Constantine’s dream”, ispirata dall’ammirazione del quadro di Piero della Francesca “Sogno di Costantino”, conservato nella basilica di San Francesco ad Assisi), a parlare di Italia, Paese che la poetessa del rock ha sempre amato molto. Il resto del disco propone le riflessioni sul recente disastro giapponese di “Fuji-san”, i ricordi di Amy Winehouse e Maria Schneider (rispettivamente “This is the girl”, struggente gioiellino anni Sessanta, e “Maria”), una curiosità come “Nine”, che pare essere stata originariamente composta come regalo di compleanno per il suo amico Johnny Depp. Il finale con una vibrante cover di “After the gold rush”, il classico di Neil Young, è il degno suggello (nonostante il coretto infantile nella parte conclusiva) di un disco, registrato agli Electric Lady Studios di New York, che merita di essere ascoltato e riascoltato. Il fido Lenny Kaye, al solito, coordina la baracca. Nella band, anche Tony Shananah e Jay Dee Daugherty. Fra gli ospiti, i figli Jackson e Jesse Paris. E il vecchio socio newyorkese Tom Verlaine si produce in assoli degni della sua fama in “April fool” e nella già citata “Nine”. Dal 14 luglio è di nuovo in tour in Italia. --- REGINA SPEKTOR WHAT WE SAW FROM THE CHEAP SEATS (Warner) Cantautrice e pianista russa, naturalizzata statunitense, la trentaduenne Regina - di nome e forse di fatto - è cresciuta nell’effervescente scena dell’East Village newyorkese. In questa nuova raccolta di canzoni e ballate, propone la pungente satira politica di “Ballad of a politician”, la leggerezza gradevole di “The party”, la voglia di restare per sempre giovani di “Small town moon”, il suo amore per l’Italia di “Oh Marcello”... Ma il piccolo grande capolavoro del disco s’intitola “How”, una canzone d’amore a tratti struggente che profuma di anni Cinquanta. La signora - che qualcuno ha accostato per stile a Tori Amos e Fiona Apple - ha un’estensione vocale notevolissima, che usa al servizio di brani che mischiano influenze folk e jazz, classiche e hip hop, russe e jewish. Produzione firmata da Mike Elizondo, mentre la Spektor coproduce imponendo il suo gusto e la sua presenza.

mercoledì 20 giugno 2012

NINA ZILLI a nova gorica e udine

Nina Zilli - che domani alle 22 canta all’Arena del Perla di Nova Gorica e sabato 30 torna in regione per “Udin&Jazz” - è una delle migliori nuove interpreti emerse sulla scena pop italiana degli ultimi anni.
Piacentina di Gossolengo, classe 1980, Maria Grazia Fraschetta (questo il suo vero nome) comincia a cantare giovanissima. Studia canto lirico al conservatorio e da ragazza passa molti anni in Irlanda e negli Stati Uniti, dove cresce a pane e soul, senza dimenticare le radici italiane.
Il grande pubblico si accorge di lei nel 2009, quando canta con Giuliano Palma il brano “50mila” nella colonna sonora del film di Ferzan Ozpetek “Mine vaganti”. E subito dopo, a Sanremo Giovani, dove partecipa alla gara con “L’uomo che amava le donne”.
A Sanremo ci è tornata quest’anno, fra i cosiddetti big, con “Per sempre”, una canzone che aveva il respiro di certi vecchi classici di Mina, ma purtroppo non ha avuto la forza di arrivare al pubblico come avrebbe meritato. Le ha permesso però di partecipare all’Eurovision Song Contest (un tempo noto come Eurofestival), dove alle finali in Azerbaijan si è piazzata al nono posto fra i 42 rappresentanti di altrettanti paesi europei.
«Ma va benissimo così - ha detto la Zilli -, anche se alla vigilia dicendo che non avrei vinto senz’altro ho fatto un po’ di sana scaramanzia. L’importante è che sia riuscita a fare conoscere la mia musica in tanti Paesi. Ho sentito quasi tutte le canzoni in gara. Il pezzo svedese che ha vinto, quello di Loreen, non mi piaceva, d’altra parte là c’era quasi tutta roba dance, che loro amano molto. Tra gli altri, ho apprezzato Roman Lob dalla Germania, il crooner inglese Engelbert Humperdinck e Soluna Samay, della Danimarca».
Le due tappe fanno parte del tour “L’amore è femmina”, titolo del secondo album della cantante.

martedì 19 giugno 2012

UMBRIA JAZZ, MONTREAUX...

Ma quando si parla di festival jazz estivi, il pensiero va innanzitutto a Umbria Jazz e al Montreaux Jazz Festival. Il festival italiano, che da tempo ha anche un’appendice invernale, peraltro di minor successo dell’originale sotto il solleone, quest’anno si svolge dal 6 al 15 luglio. Si apre con una sorta di tenzone fra il piano italoamericano di Chick Corea e quello italianissimo di Stefano Bollani. Seguono il 7 luglio Stan Tracey Trio e la band di Herbie Hancock. Fra gli altri ospiti, Al Jarreau ed Erykah Badu l’11, Pat Metheny il 12, Sonny Rollins il 13, Rita Marley e Alpha Blondie il 14. Chiusura il 15 luglio con il “toscano” Sting.
E siamo all’altra grande rassegna che da anni scandisce le estati del genere afroamericano nella vecchia Europa: il Montreux Jazz Festival, che dal 29 giugno al 14 luglio riunisce grandi nomi del jazz e del pop, spesso con eventi unici che alimentano la discografia. La sera dell’8 luglio, si incontreranno sullo stesso palco due miti della canzone francese come Jane Birkin e Juliette Greco, mentre in un altro auditorium - nella stessa sera - fa tappa il Never Ending Tour di un certo Bob Dylan.
Ma Montreaux brilla di altre stelle: il 3 luglio Alanis Morrissette e Pat Metheny, il 4 Noel Gallagher e Lana Del Rey, il 5 Erykah Badu, Rumer e Rufus Wainwright Band, il 7 Van Morrison, Buddy Guy, Spectrum Road con Jack Bruce, Tricky, il 9 - in ossequio allo strapotere della televisione - l’ex dr. House con la sua band blues.
Rimanendo nell’ambito delle rassegne estive, seppur di minor lignaggio, da segnalare l’appuntamento fra musica e solidarietà che si svolgerà il 10 e 11 luglio al Baluardo della Cittadella di Modena: “Jazz Marathon for Rebuilding” propone artisti italiani e stranieri, presentati da David Riondino, con incasso ovviamente per le vittime del terremoto emiliano. I nomi finora annunciati sono Gino Paoli, Rossana Casale, Mattia Cigalini, Jesse Davis, Tullio De Piscopo, Maria Pia De Vito, Raphael Gualazzi, Scott Hamilton, Dado Moroni, Enrico Pieranunzi, Danilo Rea, Dino Rubino.
Ultima segnalazione per l’UnoJazz Festival, a Sanremo dal 28 al 30 giugno. La rassegna, giunta alla terza edizione, sarà aperta dalla cantante Rebecca Bakken. Completano il cast il trio di Helge Lien e un maestro del jazz scandinavo: Tore Brunborg.

TRIESTE LOVES JAZZ, ANTICIPAZIONI

Estate, tempo di jazz. Che resiste alla crisi molto meglio del pop e del rock. Festival, rassegne, concerti. Da Trieste a Udine, da Lignano Sabbiadoro a Bologna, da Perugia a Montreaux... Per tutti quelli che hanno orecchie e cuore per farsi condurre dai suoni e dagli artisti del genere afroamericano, in un viaggio che merita sempre di essere affrontato. Stagione di pesante crisi economica, che dunque penalizza i grandi nomi del pop-rock (cachet esorbitanti e di conseguenza biglietti troppo cari) e finisce per favorire l’universo del jazz, storicamente più abbordabile a livello di costi.
Cominciamo dal capoluogo regionale, con la sesta edizione di “TriesteLovesJazz”, organizzata dal Comune e dalla Casa della Musica, nell’ambito di “Trieste Estate”. Si svolgerà dal 7 al 21 agosto, fra il Castello di San Giusto, piazza Verdi e piazza Cavana.
Molti nomi, italiani e stranieri. Il programma completo verrà presentato nei prossimi giorni. Ma siamo in grado di offrirvi alcune anticipazioni. Il 7 luglio concerto dei New York Voices: gruppo vocale con vent’anni di carriera e un repertorio che spazia fra tradizione e suoni contemporanei, ed è caratterizzato da sofisticati arrangiamenti vocali.
L’8 luglio tocca alla Usafe Big Band, il jazz ensemble dell’aeronautica statunitense (in collaborazione con l’Associazione Italo Americana Fvg, dell’American Corner di Trieste e il Consolato statunitense), mentre il 16 luglio è attesa la vocalist statunitense Gretchen Parlato, considerata una delle voci più interessanti della scena jazz contemporanea: suona con il trio e conclude a Trieste il suo tour europeo.
Roba forte il 17 luglio. “Miles smiles”, ovvero un omaggio a Miles Davis con un trio formato da tre musicisti che sono stati collaboratori del geniale musicista: la voce e la chitarra di Robben Ford (collaborazioni con Jimmy Witherspoon, George Harrison, Joni Mitchell, fra i fondatori degli Yellowjackets), la batteria di Omar Hakim (ha suonato, oltre con Miles Davis, con Steps Ahead, Gil Evans Big Band, David Sanborn, Weather Report, Sting, Dire Straits, Madonna, David Bowie...) e il basso di Darryl Jones (anche lui curriculum illustre: ha diviso il palco con Rolling Stones, Sting, Eric Clapton, Peter Gabriel, Madonna...).
Il 21 luglio sarà invece la volta del California Guitar Trio, con i chitarristi Bert Lams, Paul Richards e Hideyo Moriya. Il gruppo, nato a Los Angeles nel ’90, con una quindicina di album all’attivo, mischia le diverse origini musicali dei tre musicisti, fra virtuosismo e ironia, con il risultato di creare atmosfere che partono dal blues e dal jazz, per finire al rock, alla world music e persino alla classica. L’album più recente s’intitola “Andromeda”, ed è stato pubblicato nell’ottobre 2010. Il loro tour europeo 2012 parte proprio da Trieste.
Ma lasciamo Trieste e andiamo in Friuli. “Udin&Jazz 2012” – organizzato, come ogni anno, da Euritmica – parte proprio stasera da Cervignano con il concerto di Claudio Fasoli e il suo quartetto, per poi continuare a San Giorgio di Nogaro e Palmanova, rispettivamente con i progetti di Matteo Sacilotto (domani) e Graziella Vendramin (venerdì).
Giovedì 28 giugno, al Castello di Udine, Francesco Bearzatti e il suo Tinissima 4et presentano “Monk’n’Roll”, omaggio a Thelonious Monk (che verrà trasmesso da Radio 3 Suite Jazz e successivamente anche da Rai Regione). Ma poi il ventaglio delle proposte si allarga alle musiche di Nina Zilli (30 giugno) e di Marracash (10 luglio).
A Lignano Sabbiadoro, dal 28 giugno al primo luglio, si svolge “The Nightfly international jazz festival on the beach”: rassegna spumeggiante che mette assieme jazz e dintorni, con la direzione di Nick The Nightfly. Ospiti Paolo Fresu, Matt Bianco, Incognito e lo stesso Nick con la sua orchestra.
Da segnalare ancora la ventesima edizione del “Fano jazz by the sea”, dal 22 al 29 luglio, con il pianista Brad Mehldau (che suonerà con Larry Grenadier al basso e Jeff Ballard alla batteria), il trombettista Paolo Fresu con il pianista cubano Omar Sosa, la cantante Dee Dee Bridgewater (con un omaggio a Billie Holiday), Mike Stern (il chitarrista presenterà il nuovo album “All over the place”), i Fellowship del batterista Brian Blade, lo swing di Ray Gelato e tanti altri. E con l’anteprima del 14 luglio al Teatro Romano di Gubbio, dove la cantante israeliana Noa riproporrà il progetto “Noapolis”, un omaggio alla canzone napoletana, che coinvolge il chitarrista Gil Dor e il Solis String Quartet.

domenica 17 giugno 2012

PAUL McCARTNEY 70

Chissà se Paul McCartney, che oggi compie settant’anni in Toscana, ricorda ancora i tempi in cui cantava “When I’m sixty-four”. Nella quale lui e gli altri Beatles prevedevano: «Quando diventerò vecchio e perderò i capelli, da qui a molti anni, mi manderai ancora una lettera per San Valentino, una bottiglia di vino con gli auguri di compleanno? Avrai ancora bisogno di me? Mi preparerai ancora da mangiare, quando avrò sessantaquattro anni?».
L’impietosa e autoironica previsione proseguiva così: «Anche tu sarai invecchiata, e se solo dirai una parola potrei restare con te. Potrei rendermi utile, aggiustare un fusibile, quando ti salta la luce. Tu puoi fare un maglione vicino al camino, andare in giro la domenica mattina, curare il giardino, estirpare le erbacce, chi potrebbe chiedere di più...?».
Già, chi poteva chiedere di più, allora, a 64 anni? Era il ’67, l’album s’intitolava “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band”. Il mondo stava cambiando, anche grazie alle canzoni dei Beatles. E quell’età sembrava, per gli occhi e la sensibilità di quattro ventenni di Liverpool, ottima solo per tirare i remi in barca. Un uomo, una donna di 64 anni erano considerati dei vecchi bacucchi...
Sono passati 45 anni da quella canzone, 32 dalla morte di Lennon, 11 da quella di Harrison. E il Macca - dopo tanti alti e bassi - porta sulle sue spalle l’eredità di una delle più incredibili avventure musicali del Novecento. Lo fa con classe e leggerezza. Come dimostra l’ultimo album, “Kisses on the bottom”, dedicato alle canzoni che ascoltavano suo padre e sua madre quando lui era ragazzino.
«Questa è la musica con cui sono cresciuto, quella che mi suonava al piano papà, quella che assieme a John abbiamo amato prima di innamorarci del rock’n’roll», ha confermato mesi fa, presentando il disco.
Come si diceva, McCartney - che il 4 giugno ha suonato davanti a Buckingham Palace, durante le celebrazioni del 60º anno di regno della regina Elisabetta - in questi giorni è in vacanza in Toscana, a Montalcino, nelle terre del Brunello, ospite del resort Castiglion del Bosco. Paul e la giovane moglie Nancy Shevell (la terza) sarebbero atterrati sabato con un jet privato a Roma, per poi raggiungere la località toscana, molto amata dagli inglesi.
Oggi, secondo le indiscrezioni, festa di compleanno per pochi intimi, familiari e una stretta cerchia di amici. Fra cui potrebbe arrivare Sting, che ha casa a pochi chilometri di distanza, a dirgli: «Buon compleanno, vecchio Paul...».

RADIOHEAD crolla palco a toronto, un morto

Un morto e tre feriti al concerto a Toronto dei Radiohead, la band inglese che il 4 luglio farà tappa a Villa Manin (debutto italiano a Roma il 30 giugno, poi anche Firenze e Bologna). E il pensiero non può non tornare alla tragedia nella quale il 12 dicembre, al PalaTrieste, perse la vita il giovane Francesco Pinna, che stava lavorando all’allestimento del palco su cui si sarebbe dovuto esibire Jovanotti.
A Toronto, il concerto - da giorni tutto esaurito - era in programma sabato sera al Downsview Park. Ovviamente è stato cancellato. L’annuncio è stato dato dagli organizzatori via Twitter. Le cause del crollo non sono ancora note. Quel che si sa è che l’incidente è avvenuto un’ora prima dell’apertura dei cancelli, dinanzi ai quali molti giovani attendevano già di poter entrare. La vittima aveva poco più di trent’anni ed è rimasto schiacciato sotto le macerie.
Il problema della sicurezza ai concerti, soprattutto nella fase di montaggio e smontaggio di strutture spesso inutilmente faraoniche, rimane dunque di stretta attualità. In Italia e all’estero. Si diceva del precedente triestino di sei mesi fa. Purtroppo la lista è lunga. Tre mesi fa, a marzo, nuovo e analogo lutto a Reggio Calabria in occasione di un concerto di Laura Pausini.
Nell’agosto 2011, a Indianapolis, cinque morti e numerosi feriti per il crollo - in diretta tv, a causa delle forti raffiche di vento - di un palco per un concerto country. Nel luglio 2009 due vittime a Marsiglia per la caduta di una gru e il conseguente crollo del palco di un concerto di Madonna.
Nel luglio 2007, nella giornata in cui dovevano suonare i Pearl Jam, tromba d’aria al parco San Giuliano di Mestre dov’era in corso l’Heineken Jammin Festival: “soltanto” feriti e danni. Bis tre anni dopo, sempre all’Heineken, un’ora prima del previsto arrivo sul palco dei Green Day.
Ben nove i morti nel luglio 2000 al festival rock di Roskilde, in Danimarca, sotto il palco ancora dei Pearl Jam. E purtroppo la lista non è finita.
La causa rimane la stessa. Palchi sempre più grandi, strutture affette da gigantismo, faraonici impianti di amplificazione e luci. E di conseguenza lavori di montaggio/smontaggio sempre più complessi, che impongono ritmi di lavoro pesanti.
L’industria della musica dal vivo dà così il suo macabro contributo ai 1100 morti all’anno solo in Italia (dato del 2011, media di tre lutti al giorno) ed è diventata un settore a rischio per quel che concerne la sicurezza. I controlli non sempre sono adeguati sulle strutture, gli standard di sicurezza a volte non rispettati, i turni di lavoro giorno e notte. E ogni tanto ci scappa il morto.

mercoledì 13 giugno 2012

SPRINGSTEEN il giorno dopo

TRIESTE La lunga notte di Bruce Springsteen è finita quaranta minuti dopo la mezzanotte. E' finita con l'omaggio a Clarence Clemons, il sassofonista scomparso un anno fa, celebrato con un minuto di silenzio e commozione alla fine di “Tenth avenue freeze-out”, mentre le immagini dell'indimenticabile "Big man" scorrevano sul megaschermo centrale. Poi, mentre i trentamila del Rocco lasciavano lo stadio, il Boss non ha dormito a Trieste, come inizialmente previsto, ma è tornato a Ronchi, dov’era atterrato nel pomeriggio proveniente da Firenze. Volo privato per Milano, dove l'attendeva la moglie Patti Scialfa. La coppia è ripartita per il New Jersey ieri mattina. Dopo cinque giorni a casa, ritorno in Europa in tempo per la prossima tappa del tour, domenica a Madrid. I componenti della E Street Band hanno invece dormito al Savoia. Questi giorni di riposo li trascorreranno in Europa. Little Steven ieri mattina era sul volo Alitalia per Roma. Ma torniamo al concerto. Tre ore e venti, dalle 21.20 alle 0.40, di grande musica senza un attimo di pausa.  Come abbiamo scritto a caldo, il più grande evento rock - forse non solo rock - mai visto e ascoltato e vissuto a Trieste. La scaletta ha ricalcato per buona parte quella di Firenze. Primi sette brani uguali, da “Badlands” e “No surrender” in poi. E le canzoni del nuovo album “Wrecking ball” già amalgamate con i classici e perfettamente conosciute dal pubblico. Le sorprese sono state “Downbound train”, “Youngstown”, “Murder incorporated”… Ma soprattutto una vibrante “Because the night”, la leggendaria “Thunder road”, l’apertura dei bis con una fiammeggiante “Rosalita”. E ancora la partecipazione di Elliott Murphy (ieri sera in concerto a Trieste) nell’inno di sempre, “Born to run”.  “Bruce ha fatto sei brani diversi rispetto a Milano e Firenze”, segnala Daniele Benvenuti, pronto ad aggiornare il volume dedicato ai concerti italiani del Boss. Una curiosità. Il ragazzo che ha cantato “Waitin’ on a sunny day” sul palco con Springsteen che gli reggeva il microfono e la ragazza che dieci minuti dopo ha ballato col Boss nell’Apollo Medley sono – incredibile ma vero –  fratello e sorella. Federico e Sofia De Stauber, di 12 e 15 anni, cresciuti dai genitori a pane e Springsteen, assieme al fratello diciottenne Emanuele. Per entrare nel “pit” erano arrivati allo stadio alle 7.45. Un sogno diventato realtà. Tanti ragazzi giovani e giovanissimi, l’altra sera a Trieste come nelle altre tappe del tour. Un segno importante della capacità di Springsteen di parlare a tutti. Chissà, vien da pensare che se l'Italia e l'Europa e il mondo avessero un leader come quel sessantatreenne signore che era sul palco, beh, l'orizzonte sarebbe più sereno. Pe il momento, grazie Boss. Grazie di esistere.

lunedì 11 giugno 2012

SPRINGSTEEN, TRIONFO IERI SERA A TRIESTE

di Carlo Muscatello TRIESTE L’'urlo tanto atteso scuote i trentamila dello Stadio Rocco alle 21.20. "Mandi Trieste, dobro vece..." mischia reminiscenze friulane e d'oltreconfine. Bruce Springsteen suona la carica. Il pubblico, arrivato letteralmente da mezzo mondo, non ha bisogno di essere svegliato. La città, storicamente sopita, forse sì. Partenza incendiaria, "Badlands" e "No surrender", roba tosta, d'annata, rispettivamente del '78 e dell'84. Roba buona, che apre la festa, il rito catartico e liberatorio che è ogni concerto del Boss. Alla faccia del mondo brutto e cattivo e delle nuvole nere che si defilano nella sera. Il colpo d’'occhio non teme paragoni. È il più grande evento rock, forse non solo rock, mai visto e ascoltato e vissuto a Trieste. Che ieri sera ha ospitato il 39.o concerto italiano del Boss, il terzo nel Friuli Venezia Giulia (con cadenza triennale: 2006 Villa Manin, 2009 Udine...). Il palco è maestoso ma semplice. Bruce non ha bisogno di gigantismi, di effetti speciali, di astronavi e artifici e trovate tecnologiche. A lui basta la musica, un paio di passerelle e gli schermi giganti per avvicinarsi alla sua gente. Che lo venera. Tenuta da “working class hero”: camicia gilet e jeans neri, come le scarpacce giuste per quelli come lui, come i suoi, sempre “nati per correre”. Entra in scena come un eroe del West sulle note di “"C'era una volta in America”", omaggio a Morricone e all’'Italia, ma anche citazione della distanza sempre più grande fra sogno americano e dura realtà, fra promessa di un domani migliore e un presente difficile, disperato. È il tema del nuovo album, "“Wrecking ball”", i cui brani già si sposano perfettamente con i classici. L’'inno degli arrabbiati d'America, che diventa messaggio di patriottica solidarietà, di "“We take care of our own”", terzo brano in scaletta. La metafora della “palla da demolizione” che dà il titolo al disco e arriva subito dopo: distruggere per ricostruire, le case come le speranze e gli ideali spazzati via dagli ultimi anni di storia. E ancora la condanna degli avvoltoi «che hanno portato la morte nella nostra città», che hanno distrutto fabbriche e famiglie e ci hanno portato via la casa (“"Death to my hometown”", ideale contraltare alla vecchia "“My hometown”"). E ancora la speranza di farcela comunque, scandita da suoni da “marchin’' band” di quel gioiellino che più avanti è “"Jack of all trades”": canzone "per tutti quelli che stanno lottando", fra i tempi duri americani e i nostri, peggiorati dalle macerie del terremoto. Ma non può mancare l’'usato sicurissimo - e molto black - di brani come "My city of ruins" (scritta dopo l'11 settembre, presentata in italiano, dopo un "Ciao Trieste, come va, è bello essere qui..."), "Spirit in the night", "Johnny 99", "Working on the highway", "Waitin' on a sunny day", l'eterna attesa di un giorno di sole, con un bambino sul palco a cantare. Il Boss, sempre sensibile agli ideali di giustizia sociale, alterna le Fender Telecaster all'acustica nera. Voce roca e scura, racconta con tutta la rabbia che ha in corpo l’'America  dei tempi duri, tratteggia la Spoon River dei dimenticati dal sogno americano. E indica un domani per cui valga la pena lottare. Pesca nel grande romanzo a stelle e strisce, da Steinbeck a Kerouac, da Elvis a Dylan. Tiene assieme le radici culturali e musicali di un continente, parte da Nashville e finisce a New Orleans, passando per Detroit e New York. Lo stadio intanto è un catino bollente. Sciabolate rock, contaminate di folk e soul, squarciano la notte triestina. La folla segue il suo predicatore ("Shackled and drawn", con la voce nerissima di Cindy Mizelle), il suo linguaggio semplice ma universale. E il Boss si scatena, cerca il contatto anche fisico con il popolo delle prime file, del "“pit”" sotto il palco. Mentre la vecchia E Street Band - con un bolso Little Steven che fa da contraltare alla tonicità del nostro - è schierata come una falange macedone, anche quando s’'inventa marce irlandesi punteggiate da cornamuse. Ma la notte è ancora giovane. Sono passate le 23, la gente canta e balla sul prato come nelle tribune, sa che il viaggio è ancora lungo. La cronaca purtroppo finisce qui, queste note devono andare in stampa. Un’'analisi comparata delle ultime scalette, che il Boss si diverte a cambiare quasi ogni sera, prevede che il programma prima dei bis si concluda con “"Land of hope and dreams”", la terra della speranza e dei sogni inserita nel nuovo album. Poi, quasi senza soluzione di continuità, la festa nella festa dei tanti bis. Mischiando brani nuovi (“"Rocky ground”") e classici senza tempo, da "“Born to run"” a "“Hungry heart"”, passando a volte per “"Born in the Usa”" e quasi sempre per “"Dancing in the dark”". Fino all’'omaggio al grande Clarence Clemons che non c’'è più. Sostituito da cinque fiati, molto tex/mex, fra cui quello del nipote Jake. Un momento di commozione in una notte di festa. Una notte che ci lascia la poetica del rock come antidoto alla solitudine, come speranza di riscossa nei nostri tempi scassati. . (Vien da pensare che se l’'Italia e l’'Europa e il mondo avessero un leader come quel sessantatreenne signore che sta sul palco, l'orizzonte sarebbe più chiaro. Per il momento, grazie Boss. Grazie di esistere.) Che ieri sera ha ospitato il 39.o concerto italiano del boss, il terzo nel Fvg...
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IL SINDACO NEL PIT
Roberto Cosolini non è certo il primo sindaco di una città ad assistere a un concerto di Springsteen. Di sicuro è il primo a vederselo dal "pit", il recinto sotto il palco riservato alla zoccolo duro del popolo del Boss. L'ha fatto anche ieri sera al Rocco, come già giovedì a Milano e il 13 maggio a Siviglia, e come tante altre delle precedenti 45 volte (quello di ieri sera è stato il suo concerto numero 46) in cui ha visto dal vivo il rocker di Freehold, a partire dalla mitica prima volta del 21 giugno '85 a Milano.
«Trieste non aveva mai vissuto - è il suo primo commento - un evento di spettacolo di questa rilevanza, in grado di mettere in moto una serie di effetti a catena di tale importanza: dall'arrivo di fan da mezzo mondo alle positive ricadute economiche sull'economia cittadina. Per eventi come questo tutto deve funzionare alla perfezione, ed è quello che è avvenuto».
Ancora il sindaco: «Siamo molto soddisfatti, anche se per un bilancio completo bisogna aspettare ancora qualche ora. Per la città è un sogno che si realizza. Avevamo cominciato a lavorarci ad agosto, quando si è saputo che c'era un disco nuovo e dunque un tour. Ma la certezza l'abbiamo avuta a metà novembre, pochi giorni prima dell'annuncio ufficiale».
«È chiaro - conclude Cosolini - che concerti come questi non sono facilmente ripetibili. Ci sono altri artisti che attirano le folle di Springsteen, ma magari non si fermano per due o tre giorni nelle città dei concerti. I maligni dicono che l'abbiamo organizzato troppo presto, che sarebbe stato meglio farlo a fine mandato? Chiacchiere. Questi sono eventi che si realizzano quando si presenta l'occasione. Non si possono fare calcoli».

SPRINGSTEEN, il successo nel '75

Pare che i consigli di Landau furono importanti. “Born to run” esce nell’agosto ’75 e fila dritto al terzo posto delle classifiche di vendita. Il tour è un trionfo. A ottobre Springsteen appare contemporaneamente sulle copertine di Time e Newsweek. È la consacrazione.
I temi trattati nel disco sono simili a quelli dei primi due lavori - la vita della povera gente, il sogno americano tradito, le speranze di riscatto - ma l’approccio è nuovo, il rock diventa quel linguaggio universale in grado di unire milioni di giovani, dentro e fuori gli Stati Uniti.
“Darkness on the edge of town” vede la luce nel ’78, i testi sono più impegnati, le storie narrate più articolate, si coglie una crescita umana e intellettuale dell’artista. Nello stesso anno Patti Smith porta al successo la sua “Because the night”. Nel ’79 il Boss e i suoi partecipano al concerto No Nukes tenutosi al Madison Square Garden di New York, che poi diventa un disco e un film. Con dentro due brani che sarebbero entrati nel doppio “The river”, uscito nell’80: il suo primo album finito in vetta alle hit americane, con oltre due milioni di copie vendute.
La fama di Springsteen è intanto arrivata anche in Europa. L’acustico “Nebraska” (primo album pubblicato senza E Street Band) viene considerato un capolavoro dalla critica, ma vende pochino. Ma proprio da un brano scartato da quell’album, “Born in the Usa”, nasce nell’84 il disco del botto planetario. Il 21 giugno ’85 primo concerto in Italia, a Milano, allo stadio San Siro. Da quel momento il pubblico italiano non molla più il Boss, e lui dice: «Mai più in tour senza passare dall’Italia...».
Il resto è la storia di questi ventisette anni. Altri album, altri tour, milioni di dischi venduti, Grammy e Oscar, qualche pausa. Alla fine degli anni Novanta, Springsteen riparte con un tour mondiale assieme alla ritrovata E Street Band. Dopo l’11 settembre, esce l’album “The rising”, in gran parte ispirato a quei tragici eventi, fra storie di eroi-pompieri e reazioni della gente comune.
“Wrecking ball” arriva tre mesi fa: un grande disco che parla di crisi nell’America delusa e disillusa di oggi.

SPRINGSTEEN, le origini

Ma chi è Bruce Springsteen? Nato il 23 settembre ’49 a Freehold, New Jersey, è figlio di Douglas (origini olandesi e irlandesi) e di Adele Ann Zirilli, i cui genitori arrivavano da Vico Equense, in provincia di Napoli. Comincia a interessarsi di musica quando vede Elvis Presley all’Ed Sullivan Show: a tredici anni compra una chitarra acustica, a quindici un’elettrica, a diciassette entra nel gruppo The Castiles. Incidono un paio di 45 giri, ma nel ’67 il batterista parte per il Vietnam, dove viene ucciso: un episodio che segnerà la vita di Bruce.
La band, dopo un tentativo senza successo a New York, si scioglie. Lui va a vivere ad Asbury Park, località di villeggiatura con molti locali e club musicali. È lì che conosce Steve Van Zandt, Danny Federici e Vini Lopez, con i quali nasce un nuovo gruppo: prima si chiamano Child, poi Steel Mill, poi Dr.Zoom and the Sonic Boom, fino al definitivo Bruce Springsteen and The E Street Band. È il 1971.
Nella zona, il gruppo ha una buona popolarità. Rifiutano le cover, suonano brani originali, composti dal futuro Boss e dai suoi soci. Ma il contratto discografico tarda ad arrivare. Il gruppo si scioglie, Springsteen parte per New York dove tenta la carriera solista. La Columbia vede in lui un possibile cantautore folk-rock, una sorta di nuovo Bob Dylan: sbaglia, ma intanto lo mette sotto contratto.
Con quella sicurezza in mano, Bruce chiama i vecchi amici del New Jersy, che lo raggiungono. Nell’autunno ’72 cominciano a lavorare al primo album, che vede la luce nel gennaio ’73: s’intitola “Greetings from Asbury Park, N.J.”. Il disco piazza solo 25mila copie (poi ne venderà molte di più, quando verrà riscoperto dopo il successo...), nonostante un fitto tour promozionale.
Ma ormai siamo in ballo. A settembre, nonostante il parere negativo dei discografici, esce il secondo album: “The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle”. Buone recensioni, poco successo commerciale. Una sera del maggio ’74, il quotatissimo critico musicale Jon Landau va ad assistere al concerto di quel ragazzo di cui aveva sentito parlar bene all’Harvard Square Theatre di Cambridge, Massachusetts, e scrive la famosa frase sul “Real Paper” di Boston: «Ho visto il futuro del rock’n’roll, il suo nome è Bruce Springsteen...». La leggenda vuole che il giorno dopo mollò tutto e andò a fare il manager, produttore e consigliere di colui che stava per diventare il Boss.

SPRINGSTEEN, la possibile scaletta

Quali brani suonerà? Domanda d’obbligo, prima del concerto. Sulla base delle ultime tappe del tour, la scaletta potrebbe essere questa (anche se il Boss cambia spesso...). Attacco con “We take care of our own”, “Wrecking ball”, “Badlands”, “Death to my hometown”, “My city of ruins” (con presentazione della band). Avanti con “Spirit in the night”, “The E Street shuffle”, “Jack of all trades”, “Candy’s room”, “Darkness on the edge of town”, “Johnny 99”, “Out in the street”, “No surrender”. E poi con “Working on the highway”, “Shackled & drawn”, “Waitin’ on a sunny day”, “The promised land”, “The promise”, “The river”, “The rising”, “Radio nowhere”, “We are alive” e “Land of hope and dreams”. Qui partono i bis, che dovrebbero pescare fra questi brani: “Rocky ground”, “Born in the Usa”, “Born to run”, “Cadillac ranch”, “Hungry heart”, “Bobby Jean”, “Dancing in the dark”, “Tenth avenue freeze-out”, “Glory days” e “Twist and shout”.

SPRINGSTEEN, fra poche ore a Trieste

Ormai è solo questione di ore. Il giorno tanto atteso è arrivato. Stasera, con inizio alle 21, Bruce Springsteen conclude il suo breve tour italiano (giovedì a Milano, ieri a Firenze) allo Stadio Rocco di Trieste. Ma ieri sera i primi fan si erano già accampati fuori dai cancelli.
Le premesse per una grande festa popolare e musicale ci sono tutte. Innanzitutto il protagonista: il massimo rocker vivente, uno che ha scritto la storia della musica popolare degli ultimi quarant’anni. E che arriva con uno spettacolo forte di un nuovo, bellissimo album, “Wrecking ball”, che ben si sposa con i classici della sua splendida carriera. Come dimostrano le tappe precedenti del tour, cominciato ad aprile negli States e arrivato in Europa il 13 maggio a Siviglia.
Seconda premessa: il pubblico. Il tutto esaurito è virtualmente raggiunto, le trentamila presenze stasera ci saranno. “Solo” cinquemila da Trieste e regione, novemila dal resto d’Italia, settemila da Slovenia e Croazia, cinquemila dall’Austria. Con alcuni dati che hanno del clamoroso, per chi non conosce l’attaccamento dei fan al Boss: 13 dal Canada, 10 dall’Islanda, 18 dall’Australia, 21 da Israele, una manciata da Brasile, Colombia, dal New Jersey di casa.
La macchina organizzativa messa a punto dal Comune e dal promoter locale Azalea Promotion, con il promoter nazionale Barley Arts e altri soggetti, pubblici e privati, non presenta zone d’ombra. Pare che tutto sia stato previsto. Dal piano traffico a quello dei parcheggi alla sicurezza.
L’unica incognita riguarda le condizioni atmosferiche. Le previsioni parlano di venti da sud e possibili piovaschi nel corso della giornata. Si spera che dopo le ventuno Giove Pluvio abbia già dato. E comunque palco e tribuna sono coperti, l’eventuale pioggia penalizzerebbe solo la gente del prato, e sarebbe un peccato, perchè è lì (e soprattutto nel “pit” a ridosso del palco) che si trova il vero popolo del Boss.
Stamattina dalle 7 sono aperte le biglietterie dello stadio, qualche biglietto di tribuna è ancora disponibile. Dalle 8 in poi verranno distribuiti ai possessori dei biglietti per il prato i braccialetti numerati grazie ai quali potranno poi partecipare alla lotteria per il “pit”: millecinquecento posti in palio per vedere e sentire da vicinissimo Springsteen e la sua E Street Band. Ma alla fine, segnalano gli organizzatori, nell’ambitissimo recinto ci sarà posto anche per altri spettatori, fino a un massimo di duemilacinquecento presenze.
Il sound check verrà effettuato dai tecnici entro le prime ore del pomeriggio. Alle 17 dovrebbero venir aperti i cancelli: il condizionale è dovuto all’ora di arrivo da Firenze (dove il tour ha fatto tappa ieri sera) degli ultimi pezzi, soprattutto dell’impianto audio luci video, da aggiungere a una struttura in buona parte già allestita. Alle ventuno comincia il concerto, e considerate le abitudini del Boss - nonchè le tre ore e quaranta di musica di giovedì sera a Milano - la festa dovrebbe concludersi ben oltre la mezzanotte.
Non si sa ancora se Patti Scialfa, corista e chitarrista della band, nonchè “signora Springsteen”, sarà stasera sul palco. Fra gli ospiti in tribuna: Elisa, Alberto Fortis, Nick The Nightfly, Maurizio Solieri (chitarrista di Vasco), il dj Ringo. Questi ultimi tre, con Robert Santelli (produttore del Grammy Museum di Los Angeles e autore di un importante volume sul Boss), il critico Mario Luzzatto Fegiz e altri, parteciperanno oggi alle 10.30, al polo universitario di Santa Chiara, a Gorizia, alla tavola rotonda “Evoluzione del mercato musicale e discografico, da Springsteen ai talent show” (diretta streaming su http://www.turismofvg.it/, http://www.uniud.it/).
Resta da dire del protagonista assoluto della giornata. Bruce Springsteen, reduce dal concerto ma anche dal week end fiorentino, dove ha festeggiato con Patti Scialfa il ventunesimo anniversario di nozze, è atteso a Trieste nelle prime ore del pomeriggio. Un sopralluogo allo stadio, una rinfrescata in albergo e poi, finalmente, di nuovo al “Rocco” per il concerto tanto atteso.
Il rocker del New Jersey dormirà a Trieste. Domani trasferimento in automobile a Venezia, dove lo attende un volo per Madrid, prossima tappa di un tour già passato alla storia come uno dei migliori della sua quarantennale carriera.
Da ultimo, una notazione doverosa. Se il tour di Springteen stasera fa tappa a Trieste, grandissima parte del merito è del sindaco Roberto Cosolini. Fan dell’artista, che ha seguito 45 volte dal vivo (dal primo concerto italiano del 21 giugno ’85, fino a quello di Milano giovedì), ha ammesso scherzosamente - ma non troppo - che in campagna elettorale molti gli promettevano il voto a patto che portasse il Boss. Ci ha lavorato subito, a partire dalla sera stessa dell’elezione, un anno fa. I buoni contatti con il promoter locale Azalea Promotion e nazionale Barley Arts hanno fatto il resto. Se applicherà la stessa dedizione e perseveranza anche negli altri settori in cui è impegnata l’amministrazione comunale, Trieste e i triestini non potranno che guadagnarne.

domenica 10 giugno 2012

SPRINGSTEEN yes I remember grappa...

«Certo che ricordo Udine, dopo il concerto ci offrirono dell’ottima grappa. Che spero di trovare anche a Trieste...».
Bruce Springsteen può stare tranquillo. La confezione regalo della nota grappa regionale è già pronta, la troverà lunedì nella stanza d’albergo. Prima del concerto allo Stadio Rocco.
Il riferimento alcolico è roba di quattro mesi fa, quando a Parigi si è svolta la blindatissima presentazione alla stampa europea del nuovo album, “Wrecking ball”. Inviti selezionatissimi. Solo sei giornalisti italiani, fra cui il vostro cronista, ammessi all’evento. Preparato con tanto di depistaggi.
Appuntamento sotto la sede parigina della Sony, in Rue de Châteaudun. Da dove un pullman ci avrebbe portato in una “località segreta” fuori città, sede della presentazione, a un’ora di strada dal centro. Vietatissimo portare computer, registratori, macchine fotografiche. Ma trattavasi, appunto, di depistaggio. Il pullman ci mollò infatti davanti al Teatro Marigny, su una laterale degli Champs Elysées. Lì il Boss, arrivato da poche ore dal suo New Jersey, dove stava provando il tour che ora arriva a Trieste, ha presentato quello che già a un primo ascolto ci sembrò un gran disco, un lavoro politico e disilluso, che parla - nell’anno delle elezioni - dell’America lacerata dalla crisi economica di questi anni.
Giacca nera stropicciata, camicia e jeans scuri, orecchino al lobo destro, scarpacce nere giuste per quelli “nati per correre” e aspetto da “working class”, la sessantatreenne rockstar dimostrò di essere in forma. E con molta voglia di parlare.
«È un momento duro - disse fra tante altre cose - nel quale gli americani hanno visto crollare le certezze. Un periodo devastante, questo clima si sentiva fra la gente. Ho visto tanti amici perdere lavoro e casa. Ma prima di Occupy Wall Street non c’era nessuno che parlasse di uguaglianza economica, non c’era una voce di protesta contro una situazione che colpiva l’idea stessa di America».
Dopo l’ascolto e l’intervista collettiva, nel corso dell’aperitivo organizzato nel foyer del teatro, il massimo rocker vivente - scortato da manager, bodyguard e addetti vari - fece il giro dei vari gruppetti di giornalisti, avvicinandosi anche ai sei italiani “ammessi” all’evento.
Presentazioni, strette di mano, “genuflessioni” dei più zelanti, quattro chiacchiere più o meno di circostanza. E fu a quel punto che bastò dirgli: ti aspettiamo a Trieste, Trieste vicino Udine, ti ricordi il concerto a Udine del 2009, che il Boss dimostrò di avere memoria lunga. «Yes, I remember grappa...».

SPRINGSTEEN a milano 3h 40'

Chi ne ha visti tantissimi, dice che quello dell’altra sera a Milano (trentatre brani, tre ore e quaranta di musica senza interruzione) è uno dei concerti in assoluto più lunghi di Bruce Springsteen. E forse anche uno dei più belli.
Merito dei nuovi brani del disco “Wrecking ball”, che ben si sposano con i classici di un repertorio quasi quarantennale. Merito di un Boss in ottima forma, come avevamo notato già a febbraio a Parigi, alla presentazione europea del nuovo album. Merito forse anche di Milano, città del suo primo concerto italiano il 21 giugno 1985, dopo il quale il rocker di Freehold disse ai suoi: «Non andremo mai più in tour senza passare dall’Italia...». Quello dell’altra sera era il quarto nella metropoli lombarda, sempre a San Siro.
Dove è entrato in scena sulle note registrate di “C’era una volta in America”, di Sergio Leone. Scelta fortemente simbolica, per chi parla di un Paese che era la terra promessa, che si nutriva di sogno americano che oggi forse non c’è più.
Ma ecco la scaletta, raccolta dall’esperto Daniele Benvenuti, che ha appena pubblicato il libro “Springsteen in italian land 1985-2012”. Attacco con “We take care of our own”, “Wrecking ball”, “Badlands”, “Death to my hometown”, “My city of ruins” (con presentazione della band). Avanti con “Spirit in the night”, “The E Street shuffle”, “Jack of all trades”, “Candy’s room”, “Darkness on the edge of town”, “Johnny 99”, “Out in the street”, “No surrender”. E poi con “Working on the highway”, “Shackled & drawn”, “Waitin’ on a sunny day”, “The promised land”, “The promise”, “The river”, “The rising”, “Radio nowhere”, “We are alive” e “Land of hope and dreams”.
Dalle 23.14, la prima infornata di bis: “Rocky ground”, “Born in the Usa”, “Born to run”, “Cadillac ranch”, “Hungry heart”, “Bobby Jean”, “Dancing in the dark”, “Tenth avenue freeze-out”. All’una meno cinque, nuova uscita: “Glory days” e “Twist and shout”. Finale, diciotto minuti dopo la mezzanotte.

SPRINGSTEEN ultimi dettagli

Springsteen, meno due. Il conto alla rovescia non perde un colpo. Proprio come la macchina organizzativa messa a punto da amministrazione comunale, Azalea Promotion, Barley Arts e altri interlocutori, pubblici e privati.
«Sarà un concerto più bello di quello a Udine nel 2009 - ha promesso ieri a Palazzo Gopcevic il sindaco Roberto Cosolini, reduce dal debutto italiano del tour a Milano, con ritorno a casa poco prima delle quattro del mattino -, il Boss è in stato di grazia, le premesse ci sono tutte».
A San Siro il concerto, pur essendo cominciato alle 20.35, è finito a mezzanotte e venti, sforando i limiti orari fissati. «Nel 2008 - ha ricordato Cosolini - la vicenda degli orari aveva avuto una coda polemica e anche giudiziaria, e infatti l’estate dopo i grandi concerti avevano saltato Milano...».
Ma torniamo al concerto di Trieste. Ci sono ancora poche centinaia di biglietti in vendita per la tribuna, dunque il tutto esaurito è praticamente raggiunto: la capienza consentita di trentamila spettatori può considerarsi cosa fatta. Così distribuita: cinquemila da Trieste e regione, novemila dal resto d’Italia, settemila da Slovenia e Croazia, cinquemila dall’Austria. Con alcuni dati che hanno del clamoroso, per chi non conosce l’attaccamento dei fan del Boss al loro messia: tredici dal Canada, dieci dall’Islanda, diciotto dall’Australia, ventuno da Israele, una manciata da Brasile e Colombia. E dal New Jersey di casa.
La biglietteria aprirà alle sette del mattino. A partire dalle otto, ai possessori dei biglietti per il prato, verranno distribuiti i numeri per partecipate alla lotteria per accedere al “pit”, il recinto sotto il palco, dove alla fine saranno ammessi fra i 1500 e i 2500 spettatori. Alle diciassette dovrebbero venir aperti i cancelli: il condizionale è dovuto dall’ora di arrivo da Firenze (dove il tour fa tappa domenica sera) degli ultimi pezzi da aggiungere a una struttura che ieri era già in allestimento. Alle ventuno comincia il concerto, e considerate le abitudini del Boss - nonchè le tre ore e quaranta di musica di ieri sera a Milano - la festa dovrebbe concludersi ben oltre la mezzanotte.
«Sarà una grande prova per la complessa macchina organizzativa», ha ammesso il sindaco, prima di dare altre notizie di servizio: stanze in albergo esaurite, molti fan in arrivo da fuori città hanno scelto di fermarsi per due/tre giorni, musei aperti con ingresso gratuito per chi mostra il biglietto del concerto, biglietti omaggio (anzichè a politici e “amici degli amici”) a soggetti deboli, giovani in condizioni svantaggiate che non avrebbero potuto altrimenti essere presenti, ospiti di comunità educative e di recupero.
La conferenza stampa di ieri mattina a Palazzo Gopcevic è stata anche l’occasione per ringraziare tutti i soggetti a vario titolo coinvolti nell’organizzazione: dalla Provincia (presente con l’assessore Zollia) alle forze di polizia, da Trieste is rock alla Regione. In rappresentanza della quale, in chiusura è arrivata Federica Seganti.
Nota ormai in mezza Italia come “l’assessora leghista che, per tagliare i contributi al film di Bellocchio su Eluana, ha cassato i fondi alla Film Commission Fvg”, la Seganti cerca di riguadagnare punti con il rock. Allora ricorda «la valenza di eventi come questo e il concerto di Ligabue, a Cividale a luglio, per attirare turisti». E azzarda: «Vogliamo far conoscere il Friuli Venezia Giulia come la regione capitale del rock a livello internazionale». Altri ringraziamenti incrociati. Sipario. E il conto alla rovescia prosegue.

venerdì 8 giugno 2012

SPRINGSTEEN, debutto a milano, oggi già a firenze

«Ciao Milano, siete pronti?». Sono le 20.35 di ieri, Bruce Springsteen sale sul palco sulle note registrate di “C’era una volta in America”. Ripete il suo saluto ai sessantamila di San Siro tre volte, poi attacca con “We take care of our owin”, manifesto del rock patriottico del nuovo album “Wrecking ball”. Quella che dice: «Ci prenderemo cura di noi stessi, faremo noi i nostri interessi, ovunque sventoli la bandiera saremo noi a prenderci cura di noi stessi...».
Sole ancora alto, bisogna cominciare presto per evitare i guai passati a Milano (uno sforamento di orario, anni fa, è finito in tribunale...), la folla è già in delirio. Col Boss, maglietta gilet e jeans neri, sul palco una E Street Band “allargata”: Cindy Mizelle e Curtis King ai cori, Jake Clemons (nipote del compianto Clarence) al sassofono, Clark Gayton al trombone, Curt Ramm alla tromba, Barry Danielian alla tromba, Eddie Manion al sax, Roy Bittan al piano e al sintetizzatore, Nils Lofgren chitarra e cori, Garry Tallent al basso, Steve “Little Steven” Van Zandt anche lui chitarre e cori, Max Weinberg batteria, Soozie Tyrell violino e Charlie Giordano tastiere. Non c’è Patti Scialfa: il Boss chiede «dov’è Patti?», poi si risponde che «è casa con i bambini ma vi saluta tutti...».
Fra i sessantamila di Milano c’è anche il sindaco di Trieste Roberto Cosolini. In questo tour si è già visto il debutto a Siviglia e la tappa a Berlino. Ma per mettere a referto il suo concerto numero 45 del suo idolo, evidentemente non è stato capace di attendere fino a lunedì, quando Bruce sarà di scena a Trieste allo Stadio Rocco. E chissà che il sindaco-fan non stia meditando di regalarsi anche la tappa intermedia del breve tour italiano, quella di domenica allo Stadio Franchi di Firenze... Con Cosolini, comunque, molti triestini ieri sera a San Siro, fra cui ovviamente Daniele Benvenuti, autore del libro appena pubblicato “Springsteen in italian land 1985-2012”. Sono molti, infatti, i seguaci del Boss che lo seguono in diverse date del tour.
A Milano il concerto è proseguito con “Wrecking ball”, la classicissima “Badlands”, “Death to my hometown”, “My city of ruins” (con assolo di Jake Clemons). E la scaletta - sempre suscettibile di modifiche, soprattutto quando si tratta di Springsteen - prevedeva poi “Spirit in the night”, “Because the night”, “No surrender”, “She’s the one”, “I’m on fire”. E ancora “Shackled and drawn”, “Waitin’ on a sunny day”, “The river”, “The rising”, “Lonesome day”, “We are alive”, “Thunder road”. Fino al rush finale con “Born in the Usa”, “Born to run”, “Glory days”, “Hungry heart”, “Dancing in the dark”, “Tenth avenue freeze-out”, “Twist and shout”... Ma chissà poi se le ha fatte tutte.
In attesa del concerto triestino, oggi Springsteen festeggia con sua moglie Patti Scialfa il ventunesimo anniversario di nozze. Probabilmente a Firenze, dove dovrebbe arrivare con due giorni di anticipo sul concerto di domenica, nel quale salirà sul palco anche la signora, chitarrista e corista della band.
Sarebbe il secondo anniversario fiorentino, dopo quello del 2003, non a caso anno dell’ultimo concerto del Boss nella città toscana. Allora festeggiarono all’Hotel Savoy, e chissà che la cosa non si ripeta. Poi, lunedì mattina, rotta verso Nord Est. Verso Trieste.

mercoledì 6 giugno 2012

SPRINGSTEEN, la E STREET BAND...

Dicono che questo sarà l’ultimo tour di Springsteen con la E Street Band. Sarà vero? Chissà. Il Boss ha detto tante volte che lui è solo un componente del gruppo, ma è di tutta evidenza che sarebbe più facile la sopravvivenza (artistica, s’intende) del rocker di Freehold senza i soci, che non viceversa.
E ciò anche se nel corso degli anni la E Street Band ha collaborato, tutta assieme o solo con alcuni dei suoi componenti, con un sacco di gente: da Bob Dylan a Meat Loaf, da Bonnie Tyler ai Dire Straits, passando per David Bowie, Peter Gabriel, Santana, Sting e persino Zucchero.
Certo, il sodalizio con Bruce è di altra pasta. Uno di quei legami antichi, che si creano quando si è ragazzi, con tanti sogni e speranze nella testa, assieme alla voglia di suonare, di tirare fuori attraverso la musica quel che si ha dentro.
Sono passati giusto quarant’anni da quando Bruce e la E Street Band entrarono in una sala d’incisione. Anche se la costituzione ufficiale del gruppo risale al ’74. Secondo la leggenda si chiamarono così in omaggio alla strada in cui abitava la madre di David Sancious, componente originario della band. Pare che la signora fosse molto ospitale con gli amici del figlio, permettendo loro di utilizzare una sala per le prove.
All’epoca il gruppo comprendeva: Clarence Clemons al sassofono, Danny Federici alle tastiere e alla fisarmonica, Vini “Mad Dog” Lopez alla batteria, Garry Tallent al basso, il citato Sancious alle tastiere. E il Boss, soprannome peraltro nato proprio all’interno del gruppo: tutti importanti, ma Bruce era - ed è - il capo, il boss, appunto.
Tanta acqua e soprattutto tantissima musica sono passate sotto i ponti. Fra l’88 e il ’99 (eccezion fatta per il “Greatest hits” uscito nel ’95) le strade di quello che all’inizio era un gruppo di amici si separarono. Altre strade si sono purtroppo separate per sempre: Danny Federici è morto nell’aprile 2008, Clarence “Big man” Clemons ci ha lasciati nel giugno dello scorso anno. E Bruce ha chiamato suo nipote, Jake Clemons, a suonare il sassofono in questo tour.
La storia insomma continua. In questo tour la band si schiera così: Charlie Giordano, tastiere e fisarmonica; Garry Tallent, basso; Max Weinberg, batteria; Roy Bittan, piano e synt; Steven Van Zandt, chitarra, mandolino e voce; Nils Lofgren, chitarra; Patti Scialfa, voce e chitarra; Soozie Tyrell, violino, cori e chitarra; Everett Bradley, percussioni. Più i fiati di Jake Clemons, Eddie Manion, Curt Ramm, Barry Danielian, Clark Gayton. E i cori di Curtis King, Cindy Mizelle e - solo in Rocky ground” - Michelle Moore.

SPRINGSTEEN, fan da islanda australia brasile...

Dieci biglietti venduti in Islanda, 18 in Australia, 13 in Canada, 21 in Israele, una manciata in Brasile e in Colombia. Sono i dati che colpiscono maggiormente spulciando fra le prevendite.
Sì, perchè delle trentamila presenze ormai quasi raggiunte per lunedì sera al Rocco, soltanto cinquemila sono targate Trieste e Friuli Venezia Giulia. Tutti gli altri spettatori arriveranno dal resto d’Italia e d’Europa e non solo. Gli ultimi dati superano dunque le previsioni degli organizzatori e dello stesso sindaco Cosolini, che parlavano di «circa 22mila spettatori in arrivo da fuori città». Una prova ancor più impegnativa per la complessa macchina organizzativa, che comunque per ora non perde un colpo.
Ma vediamo il dettaglio delle provenienze. Detto dei cinquemila triestini e regionali, saranno circa novemila i fan in arrivo dalle altre regioni italiane, con prevalenza di Veneto, Trentino Alto Adige, Lombardia ed Emilia Romagna.
Dalle vicine Slovenia e Croazia sono attesi settemila spettatori, dall’Austria cinquemila, altri tremila dal resto d’Europa, soprattutto Serbia, Montenegro, Bulgaria, Ungheria, Grecia, Estonia (da dove è arrivata anche la richiesta di accredito da parte di un giornalista). Ciò è dovuto al fatto che il concerto di Trieste è il più vicino per tutta la zona del Sud Est Europa. A Est di Trieste, ma più a Nord, c’è soltanto la tappa di Vienna.
E poi ci sono “quelli che arrivano da lontanissimo”, citati all’inizio. «Si tratta di fan - spiega Luigi Vignando, di Azalea Promotion - che seguono il tour dell’artista e dunque comprano un certo numero di biglietti di altrettante date, spostandosi letteralmente con Springsteen...».
Altra curiosità. Almeno cinquemila persone hanno acquistato i biglietti per tutti e tre i concerti italiani del tour: Milano stasera, Firenze domenica, Trieste lunedì. E per la notte fra lunedì e martedì, negli alberghi del capoluogo giuliano, non c’è più una stanza disponibile.

SPRINGSTEEN, la prima fan a ts è ungherese

Barbara Tyhany è la prima spettatrice straniera che è arrivata a Trieste per il concerto di Bruce Springsteen, che si terrà - come ormai sanno anche i muri - lunedì alle 21 allo Stadio Rocco. E ieri pomeriggio, a Milano, dove si è recata per assistere anche al concerto di stasera a San Siro del Boss (seconda tappa del breve tour italiano: domenica a Firenze), ha visto per strada, più o meno per caso, il rocker del New Jersey.
«Alcuni amici mi avevano detto che Bruce sarebbe andato ad allenarsi in una palestra nella zona di Corso Vittorio Emanuele, a due passi da piazza Duomo - spiega ancora emozionata Barbara, ungherese di Budapest, 32 anni -. Abbiamo trovato il posto, abbiamo atteso un po’ e alla fine, in effetti, lui è arrivato. Finalmente ho potuto stringergli la mano, abbiamo scambiato due parole e sono riuscita anche a scattare delle foto. Ancora non mi sembra vero...».
Laureata in italianistica (e infatti parla perfettamente l’italiano...), un lavoro all’Accademia delle scienze di Ungheria, Barbara è arrivata a Trieste già sabato, ospite di amici. Lunedì ha assistito alla presentazione a Palazzo Gopcevic del libro su Springsteen di Daniele Benvenuti, che lei aveva conosciuto tre anni fa a Udine, nella fila per entrare allo Stadio Friuli per il secondo concerto in regione del Boss (il primo è dell’ottobre 2006, a Villa Manin di Passariano).
«A Trieste ero già venuta da ragazza - ricorda la donna -, ai tempi del liceo, in gita scolastica. Non ricordavo granchè, dunque mi fa piacere aver avuto quest’occasione per tornarvi».
Forse non sarebbe più capitata da queste parti, non ci fosse stata la data triestina del tour di Springsteen. E invece... «Purtroppo Bruce non ha mai suonato in un concerto vero e proprio in Ungheria. È venuto a Budapest solo una volta, nell’estate ’88, con il tour di Amnesty International “Human rights now”, assieme a Sting, Peter Gabriel, Youssou N’Dour, Tracy Chapman... In questi anni l’ho seguito in Italia, Spagna, Germania e Austria».
Ancora Barbara: «Quando sono uscite le date di questo tour, mi sono subito organizzata, prenotando su internet i biglietti per i concerti di Milano e di Trieste. Saranno rispettivamente la sedicesima e la diciassettesima volta che assisto a un suo concerto. A meno che non mi venga voglia di andare anche domenica sera a Firenze, ma non so se ce la faccio a trovare un biglietto...».
«Quando mi sono appassionata a Bruce? Attorno all’85, con la sua partecipazione al brano “We are the world” ma soprattutto con l’album “Born in the Usa”, che era uscito l’anno precedente. E’ assolutamente il migliore, non c’è nessuno che riesce a trasmetterti la sua carica. In Ungheria siamo in molti a pensarla così, e non vediamo l’ora che un suo tour arrivi anche nel nostro Paese. Intanto, molti si spostano come faccio io. Credo che per il concerto di lunedì a Trieste saremo in molti. Soltanto fra i miei amici - conclude Barbara Tyhany - arriveranno dieci persone, fra domenica e lunedì. Ma certo non saranno i soli...».

martedì 5 giugno 2012

ERICA e quel sogno di ballare ancora col BOSS

Erica Busetto sognava da un pezzo di rivivere il sogno che le è capitato in sorte tre anni fa a Udine, quando Bruce Springsteen la fece salire sul palco dello Stadio Friuli, ballò con lei e la portò in cielo prendendola addirittura in braccio.
Peccato che la piccola lotteria allestita quest’anno dagli organizzatori per distribuire con un sorteggio - come avviene da tempo negli Stati Uniti - gli accessi al “pit”, il recinto per millecinquecento spettatori a ridosso del palco, rischia di impedirle anche solo la possibilità di sognare il bis.
Ma facciamo un passo indietro, a quel luglio 2009 del precedente concerto in regione del Boss. «La settimana precedente - spiega Erica, classe ’79, nata ad Aviano ma residente a Maniago, dove è responsabile di un supermercato - ero stata a vedere anche il concerto a Roma. Dopo tre giorni di attesa fuori dall’albergo, ce l’avevo finalmente fatta a scambiare due parole con lui e scattare alcune foto».
«A Udine ero riuscita a ottenere il numero uno della lista per il “pit”, arrivando allo stadio con un paio di amici tre giorni prima del concerto. Sono stata dunque la prima a entrare sul prato, quel 23 luglio, e mi sono sistemata proprio sotto la passerella centrale, quella dove Springsteen va più spesso durante il concerto. Avevo preparato anche alcuni striscioni, e quando è partita “Dancin’ in the dark” ho esposto quello con scritto “Gimme just one look”, che è poi un verso del brano».
E a quel punto, com’è come non è, accade il miracolo. «Forse mi ha riconosciuta, forse no. Non lo so con certezza. A Roma avevamo parlato alcuni minuti, ma lui vede tantissima gente. Quel che so è che a un certo punto Bruce mi ha dato la mano, mi ha aiutato a salire sul palco, ho ballato con lui e alla fine mi ha anche presa in braccio...».
Un sogno realizzato, insomma, per una passione nata ai tempi di “Born in the Usa”, nell’84, quando Erica aveva appena quindici anni. Una passione rafforzata nel ’99, quando la giovane friulana andò a vedere il suo idolo a Bologna.
«Quello di Trieste - conclude Erica Busetto - sarà il mio decimo concerto del Boss. Fra l’altro sono un po’ arrabbiata, mi ero organizzata per arrivare prima, prenotando tre notti in albergo. Con questa storia della lotteria per accedere al “pit” non serve più. Ma fa nulla, l’importante è esserci. Vedere Springsteen dal vivo mi dà una grande carica, la sua musica riesce a coinvolgere tutti, anche chi non è un fan...».

SPRINGSTEEN, Landau e "il futuro del rock"

Bruce Springsteen, meno cinque. Sale la febbre per il concerto triestino, lunedì alle 21 allo Stadio Rocco. Il popolo del Boss arriverà da mezza Europa, e si mischierà ai seguaci triestini e regionali. Alcuni dei quali, lo zoccolo duro, sono già andati già a vederlo nelle precedenti tappe europee (Siviglia, Barcellona, Berlino, Francoforte...) e non si perderanno i primi due concerti italiani del tour: domani a Milano, domenica a Firenze.
Per ingannare l’attesa, attingiamo al nostro taccuino degli appunti e torniamo al 16 febbraio, quando abbiamo assistito alla presentazione in anteprima per la stampa europea (solo sei giornalisti italiani) del nuovo album “Wrecking ball”. Oltre al Boss, tonico e in forma, che ancora ricordava la grappa assaggiata nel 2006 a Villa Manin e nel 2009 a Udine, c’era anche il suo manager Jon Landau, passato alla storia per la frase “Ho visto il futuro del rock’n’roll, il suo nome è Bruce Springsteen”.
Era il maggio 1974, il rocker del New Jersey aveva da poco pubblicato i suoi due album d’esordio, “Greetings from Asbury Park, N.J.” e “The wild, the innocent, and the E Street Shuffle”. Una sera l’allora critico musicale Landau andò ad assistere al concerto di quel ragazzo di cui aveva sentito parlar bene all’Harvard Square Theatre di Cambridge, Massachusetts, e scrisse la famosa frase sul “Real Paper” di Boston. La leggenda vuole che il giorno dopo mollò tutto e andò a fare il manager, produttore e consigliere di Springsteen.
«Bruce - ha detto Landau a febbraio a Parigi - non è mai stato così esplicitamente politico come in questo “Wrecking ball”. Nel disco ha voluto assicurarsi che la gente capisse bene il suo punto di vista sulla situazione americana attuale. È molto specifico e focalizzato sul contesto che conosce bene, non si sarebbe mai espresso in certi termini se avesse conosciuto tali situazioni in modo vago. Le prove dal vivo sono state fantastiche, la band suona davvero bene. Penso che “Wrecking ball” occuperà molto spazio nei concerti del prossimo tour, e poi Bruce pescherà dall’archivio. Nella scaletta vedrei bene anche un paio di pezzi delle “Seeger sessions”: musicalmente c’è una forte connessione, potrebbero quasi fare da ponte tra il nuovo album e il catalogo. “Wrecking ball” è per me una sorta di “Seeger sessions” con pezzi di Bruce. Originali, ma con quel genere di folk».
Ancora Landau: «Quella mia frase? Quando l’ho scritta conoscevo già un poco Bruce. Era in difficoltà, sembrava stesse per essere scaricato dalla casa discografica, io ero tra i critici più considerati in quel periodo. Scrissi la frase sull’onda dell’emozione di un concerto e per aiutarlo, perché volevo sentire il suo prossimo disco». Che fu “Born to run” (’75), quello della consacrazione.
«Bruce - concluse Jon Landau a Parigi - ha un rapporto particolare con l’Italia, nato nel giugno ’85, dopo il famoso concerto di Milano: fu uno dei nostri migliori concerti di sempre, forse il pubblico migliore che abbiamo mai avuto. E Bruce disse: non andremo mai più in tour senza passare dall’Italia...».

domenica 3 giugno 2012

SPRINGSTEEN, libro Labianca

Il tour di Bruce Springsteen che arriva in Italia (giovedì Milano, domenica Firenze, lunedì Trieste) è occasione troppo ghiotta anche per l’editoria. Oltre al libro del triestino Daniele Benvenuti, di cui abbiamo già riferito e che viene presentato oggi (vedi box a destra), arriva in questi giorni la nuova opera di un altro “springsteenologo” di casa nostra: Ermanno Labianca.
Nei precedenti due volumi dedicati al Boss (“Talk about a dream, 1973-1988” e “Long walk home, 1992-2009”, pubblicati rispettivamente nel 2008 e nel 2009) l’autore aveva analizzato praticamente l’intera opera del rocker nativo di Freehold. Dalla rabbia giovanile degli esordi, immortalata negli album “Greetings from Asbury Park, N.J.” e “The wild, the innocent, and the E Street Shuffle”, pubblicati nel ’73, fino alla produzione più recente, fino a “Working on a dream”, uscito nel 2009, sulla scia della speranza di rinascita rappresentata da Barack Obama e dell’impegno al suo fianco.
Ora le canzoni di “Wrecking ball”, 17.o album in studio, offrono a Labianca lo spunto per il terzo volume, “Springsteen, Spare parts - Testi commentati, 1973-2012” (Arcana). Sotto dunque con le tredici nuove canzoni, alle quali - nel quarantennale del giorno in cui un giovane Springsteen mise piede in sala d’incisione per realizzare l’album d’esordio - ne vengono affiancate altre centoundici.
Da dove saltano fuori? Dall’immenso repertorio del Boss, che non è fatto solo di classici. Facciate b dei vecchi singoli, bonus track dei cd, contributi alle colonne sonore (“Streets of Philadelphia”, “Dead man walkin’”), partecipazioni a dischi altrui... Insomma, un altro pezzo di storia della grande epopea springsteeniana.
L’autore comincia da una doverosa “Ode a Clarence Clemons”, il sax tenore della E Street Band e anche molto di più, il compagno di tutte le avventure del Boss, fino a quel 18 giugno 2011 in cui la voce di “Big man” tacque.
Poi parte l’analisi, come sempre precisa e dettagliata, dei brani del nuovo disco e di questi “pezzi di ricambio” (“Spare parts”, titolo di una canzone che stava nell’album “Tunnel of love”, uscito nell’87), frammenti sparsi e raccolti in quarant’anni di carriera. Perle solo apparentemente minori. Qualche titolo: “This hard land” e “The promise”, “Murder incorporated” e “Frankie”, “The fever” e “Secret garden”, le citate “Streets of Philadelphia” e “Dead man walkin’”. E ancora “Fire”, “Hearts of stone”, “Sad eyes”, “This little girl”, “Back in your arms”...
«Lette di fila - scrive Labianca - fanno impressione a chi conosce l’opera dell’artista americano. Rappresentano lo Springsteen delle retrovie, eppure hanno portato a casa un Golden Globe, sei Grammy e tre Mtv Music Awards. Una doveva cantarla Elvis Presley, un’altra l’hanno portata alla gente di colore le Pointer Sisters, un’altra ancora ha accompagnato Sean Penn fino al punto più alto della sua carriera di attore. Viaggiano su strade diverse – soul, pop, folk, rock – che alla fine diventano una sola...».
La strada di Bruce Springsteen, la strada dell’America migliore, sospesa fra amore e speranza, impegno e rabbia. L’America che abbiamo amato anche grazie al Boss.

sabato 2 giugno 2012

SPRINGSTEEN, concorso per biglietti gratis

Bruce Springsteen, meno otto. Il conto alla rovescia non concede tregua. E l’attesa per il megaconcerto di lunedì 11 giugno allo Stadio Rocco si nutre di nuove iniziative, mentre l’ultima manciata di biglietti in vendita (solo in tribuna centrale, su http://www.azalea.it/, http://www.ticketone.it/ e sul sito nato per l’occasione http://www.springsteenatrieste.it/) separa l’evento da un traguardo annunciato e ormai quasi raggiunto: il tutto esaurito da 30mila presenze.
Della lotteria per i 1.500 posti nel “pit”, il recinto sotto il palco per vedere e sentire il Boss da vicinissimo, abbiamo già detto. Come abbiamo detto delle iniziative collaterali proposte dall’associazione “Trieste is rock” (da venerdì 8 a martedì 12, con band triestine, Elliott Murphy e altre cose).
Ma la novità è la possibilità per alcuni lettori del “Piccolo” di assistere gratuitamente al concerto. Basta andare sul nostro sito (http://www.ilpiccolo.it/) e, dopo aver effettuato la registrazione, inserire nell’apposito spazio un proprio breve testo, un messaggio o una domanda al rocker del New Jersey, eventualmente corredati da foto e video. Gli autori dei dieci testi/messaggi/domande più originali o interessanti, scelti da una commissione formata da rappresentanti della nostra redazione e dello staff di Azalea Promotion (organizzatore locale del concerto, che affianca il promoter nazionale Barley Arts), vinceranno un biglietto per il concerto. Per partecipare c’è tempo fino alle 14 di giovedì 7. I vincitori verranno informati venerdì via e-mail con le istruzioni per il ritiro del biglietto.
Intanto, sul citato sito http://www.springsteenatrieste.it/ si possono trovare le informazioni relative all’arrivo a Trieste («Le previsioni parlano di circa 22mila spettatori - ha detto nei giorni scorsi il sindaco Roberto Cosolini - che verranno da fuori città») e ai parcheggi, oltre alla mappa dello Stadio Rocco con tutti i vari ingressi e ad altre notizie utili.
Il “Wrecking Ball Tour” che porta per la prima volta Springsteen a Trieste e per la terza volta nel Friuli Venezia Giulia (2006 Villa Manin di Passariano, 2009 stadio di Udine) è partito il 18 marzo da Atlanta. Dopo una prima razione di tappe negli Stati Uniti, è approdato in Europa il 13 maggio, con un concerto a Siviglia. Dopo Barcellona, Francoforte, Colonia, Berlino, stasera il tour fa tappa a Lisbona, mentre mercoledì 7 arriva in Italia: primo concerto allo Stadio San Siro di Milano (quello della storica prima volta del Boss in Italia, il 21 giugno 1985...), domenica 10 allo Stadio Franchi di Firenze e lunedì 11, finalmente, allo Stadio Rocco di Trieste. Dove, sul palco, Springsteen sarà accompagnato dalla E Street Band purtroppo orfana del compianto Clarence “Big Man” Clemons, ma che schiererà Curtis King e Cindy Mizelle ai cori e da una sezione di fiati formata da Curt Ramm e Barry Danielian alla rtomba, Clark Gayton al trombone, Eddie Manion e Jake Clemons (nipote di Clarence) ai sassofoni.
In programma, i brani del nuovo album “Wrecking ball” e i classici di una carriera già passata alla storia del rock.

DAL COLLE PIU' ALTO, PURI PURINI

Quarant’anni di diplomazia. E di storia, d’Italia e d’Europa e del mondo. Quasi un’era, nella quale questo nostro vecchio mondo è cambiato. Lui a Washington, a Monaco di Baviera, a Tokyo, a Madrid, a Strasburgo, a Berlino... Nel ’99 la chiamata al Quirinale, consigliere giuridico del presidente Ciampi. Una carriera, quella di Antonio Puri Purini, che ora ritroviamo nel libro “Dal colle più alto” (il Saggiatore, pgg. 328, euro 17,50), con prefazione dello stesso Carlo Azeglio Ciampi.
Ambasciatore, cominciamo da Trieste.
«Sì, la famiglia di mio padre era triestina e istriana. Nato nel 1906, papà fu cittadino dell’impero austroungarico fino all’annessione di Trieste all’Italia nel 1918. Rimase sempre legatissimo alla città natale, anche nei molti anni trascorsi all’estero come diplomatico. Devo a lui se Trieste, dove non ho più legami familiari, rappresenta per me, ancor oggi, un luogo dello spirito, della nostalgia e della convivenza fra diverse culture: italiana, germanica, slava».
Vi torna spesso?
«Purtroppo solo raramente. Sin da ragazzino, quando prendevo parte alle dimostrazioni studentesche del 1953 per il ritorno della città all’Italia, l’ho sempre considerata un simbolo d’italianità, un importante riferimento culturale e uno snodo cruciale nella politica estera dell’Italia verso l’Europa centrale e i Balcani. Anche nell’impegno diplomatico ho sempre tenuto presenti i problemi e le esigenze di Trieste. Ad esempio, quando Ciampi si recò in visita ufficiale in Sud Africa organizzai la presenza di una delegazione del polo scientifico triestino».
Da lontano come ha visto la città?
«Penso che Trieste non ha sempre giocato bene le proprie carte. Avrebbe potuto diventare un irresistibile richiamo economico e culturale per l’intera Europa centrale. Alcuni come Riccardo Illy lo avevano capito bene, agendo di conseguenza, ma erano pochi».
L’esperienza con Ciampi?
«Mi ha innanzitutto dato fiducia, malgrado tante ombre, sul futuro dell’Italia e dell’Europa. Mi ha insegnato che donne e uomini di buona volontà possono incidere, attraverso il senso del dovere e l’esercizio della responsabilità, sul proprio destino. Mi ha dimostrato che - con idee chiare, posizioni meditate, convinzioni ferme - è possibile tutelare interessi generali e raggiungere risultati concreti. Mi ha stimolato all’impatto creativo della tenacia, della conoscenza, della cultura».
Momenti memorabili?
«Diversi. Lo sgomento di fronte all’attacco alle Torri gemelle nel settembre 2001; il conferimento del premio Carlo Magno al presidente Ciampi per i suoi meriti europei; l’emozionante giornata dedicata all’incontro con le minoranze italiane di Fiume, Rovigno, Pola nel 2000, insieme al presidente della Croazia Mesic; l’intervento di Ciampi al Parlamento sudafricano nel 2002; il dolore per la strage di Nassiryia».
Com’è cambiata la nostra politica estera?
«Dal dopoguerra, ha sempre perseguito l’obiettivo dell’inclusione nel gruppo di punta delle democrazie avanzate occidentali e dell’Unione europea. Ci siamo riusciti, pur essendo sempre il membro più debole, per instabilità politica e la gravità dei problemi interni».
Il compito del diplomatico?
«Colmare il divario fra il condizionamento rappresentato dai problemi interni e le nostre aspirazioni esterne, dimostrare l’affidabilità del Paese, tutelare gli interessi nazionali. Era quindi essenziale valorizzare il ruolo dell’Italia presso gli ambienti politici ed economici, il mondo accademico e culturale, la stampa, consolidare e conquistare simpatie facendo leva sul nostro patrimonio culturale e sull’intraprendenza di tanti bravi imprenditori. Non era sempre facile, ma sono felice di aver apportato un contribuito nel migliorare l’immagine del Paese».
Come ci vedono dall’estero?
«Il mondo sa che l’Italia è una nazione antica, un’economia dinamica, un pilastro della cultura occidentale. Pur con tutte le note debolezze, il nostro ruolo è conosciuto e apprezzato. Svolgiamo un ruolo di punta nelle missioni di mantenimento della pace (Balcani, Afghanistan). In tutti i Paesi dove ho prestato servizio, le dirigenze politiche, economiche e culturali frequentavano con piacere e interesse l’ambasciata d’Italia».
Gli anni di Berlusconi?
«Dal 2001 la contraddittorietà della politica estera del suo governo ha appannato l’immagine del Paese nella comunità internazionale. Ma si è trattato di una parentesi che speriamo venga dimenticata. Da quando c’è Monti siamo di nuovo sulla buona strada».
Cina e India sono le potenze emergenti.
«I viaggi di Ciampi in Cina e in India nell’inverno 2004-2005, che ho descritto nel libro, sono fra i momenti più qualificanti della sua presidenza e inaugurano una nuova fase nei rapporti con questi protagonisti della realtà internazionale. La sfida è recuperare il ritardo accumulato rispetto ai principali partner (Francia, Germania, Regno Unito), dare continuità e solidità a legami che hanno sofferto in passato di una certa intermittenza, utilizzare al meglio la centralità riacquisita dal Mediterraneo, dopo secoli, nei traffici con l’Oriente. Anche per Trieste e il suo sistema portuale è un’occasione unica per recuperare spazio e autorevolezza. Guai a indugiare».
Lei ha concluso la sua carriera in Germania nel 2009.
«Il filo conduttore della mia missione era: “più Italia in Germania, più Germania in Italia”. Gli interessi fra i due Paesi rimangono complementari e convergenti, a cominciare dal condiviso impegno europeo. Sono stati anni difficili perchè, a parte la parentesi del governo Prodi, rappresentavo un governo che non sentiva il rapporto con la Germania con la necessaria sensibilità. Ma anche entusiasmanti perchè avevo mano libera sul piano economico e culturale dove il potenziale per iniziative congiunte era assai promettente. In questi campi ho raccolto soddisfazioni importanti».
I rapporti con il Vaticano?
«La diplomazia vaticana difende interessi diversi rispetto a quelli di uno Stato tradizionale. Non ha il problema di tutelare interessi economici e militari. Le responsabilità della Chiesa riguardano libertà religiosa, insegnamento cattolico, valori etici, diritti dell’uomo, situazione dei cristiani in tante realtà politiche ostili. Spesso ho invidiato i diplomatici della Santa Sede perchè non sono assillati dalla quotidianità».
Lei collabora con Corriere della Sera e varie testate tedesche, ma questo è il suo primo libro. Qual è stata la molla che l’ha spinta a scriverlo?
«Non si può sempre minimizzare, tacere, banalizzare, solo perchè risulta comodo ai cultori della complicità collettiva. Un giorno, credo nella primavera 2004, dopo aver constatato, mese dopo mese, la difficoltà per il Quirinale di mantenere coerenza alla politica dell’Italia in Europa e in Iraq, dissi al presidente Ciampi che, un giorno, avrei voluto raccontare l’azione del Quirinale per mantenere coerenza nell’azione internazionale dell’Italia. Era necessario, a mio giudizio, che gli italiani conoscessero il ruolo del Quirinale, capissero l’importanza di perseguire obiettivi alti, distinguessero fra inetti e responsabili, comprendessero il significato positivo del servizio verso lo Stato. Mi sono messo al lavoro alla fine del 2009».