domenica 3 giugno 2012

SPRINGSTEEN, libro Labianca

Il tour di Bruce Springsteen che arriva in Italia (giovedì Milano, domenica Firenze, lunedì Trieste) è occasione troppo ghiotta anche per l’editoria. Oltre al libro del triestino Daniele Benvenuti, di cui abbiamo già riferito e che viene presentato oggi (vedi box a destra), arriva in questi giorni la nuova opera di un altro “springsteenologo” di casa nostra: Ermanno Labianca.
Nei precedenti due volumi dedicati al Boss (“Talk about a dream, 1973-1988” e “Long walk home, 1992-2009”, pubblicati rispettivamente nel 2008 e nel 2009) l’autore aveva analizzato praticamente l’intera opera del rocker nativo di Freehold. Dalla rabbia giovanile degli esordi, immortalata negli album “Greetings from Asbury Park, N.J.” e “The wild, the innocent, and the E Street Shuffle”, pubblicati nel ’73, fino alla produzione più recente, fino a “Working on a dream”, uscito nel 2009, sulla scia della speranza di rinascita rappresentata da Barack Obama e dell’impegno al suo fianco.
Ora le canzoni di “Wrecking ball”, 17.o album in studio, offrono a Labianca lo spunto per il terzo volume, “Springsteen, Spare parts - Testi commentati, 1973-2012” (Arcana). Sotto dunque con le tredici nuove canzoni, alle quali - nel quarantennale del giorno in cui un giovane Springsteen mise piede in sala d’incisione per realizzare l’album d’esordio - ne vengono affiancate altre centoundici.
Da dove saltano fuori? Dall’immenso repertorio del Boss, che non è fatto solo di classici. Facciate b dei vecchi singoli, bonus track dei cd, contributi alle colonne sonore (“Streets of Philadelphia”, “Dead man walkin’”), partecipazioni a dischi altrui... Insomma, un altro pezzo di storia della grande epopea springsteeniana.
L’autore comincia da una doverosa “Ode a Clarence Clemons”, il sax tenore della E Street Band e anche molto di più, il compagno di tutte le avventure del Boss, fino a quel 18 giugno 2011 in cui la voce di “Big man” tacque.
Poi parte l’analisi, come sempre precisa e dettagliata, dei brani del nuovo disco e di questi “pezzi di ricambio” (“Spare parts”, titolo di una canzone che stava nell’album “Tunnel of love”, uscito nell’87), frammenti sparsi e raccolti in quarant’anni di carriera. Perle solo apparentemente minori. Qualche titolo: “This hard land” e “The promise”, “Murder incorporated” e “Frankie”, “The fever” e “Secret garden”, le citate “Streets of Philadelphia” e “Dead man walkin’”. E ancora “Fire”, “Hearts of stone”, “Sad eyes”, “This little girl”, “Back in your arms”...
«Lette di fila - scrive Labianca - fanno impressione a chi conosce l’opera dell’artista americano. Rappresentano lo Springsteen delle retrovie, eppure hanno portato a casa un Golden Globe, sei Grammy e tre Mtv Music Awards. Una doveva cantarla Elvis Presley, un’altra l’hanno portata alla gente di colore le Pointer Sisters, un’altra ancora ha accompagnato Sean Penn fino al punto più alto della sua carriera di attore. Viaggiano su strade diverse – soul, pop, folk, rock – che alla fine diventano una sola...».
La strada di Bruce Springsteen, la strada dell’America migliore, sospesa fra amore e speranza, impegno e rabbia. L’America che abbiamo amato anche grazie al Boss.

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