sabato 23 giugno 2012

PATTI SMITH e regina spektor, nuovi dischi

Erano otto anni, dai tempi di “Trampin’”, che Patti Smith non usciva con una raccolta di inediti. Ma dopo aver ascoltato questo “Banga” (Sony Music), suo undicesimo album in studio, possiamo dire che il lungo silenzio ha prodotto un lavoro che ha giustificato l’attesa. Un’attesa che era stata rotta da “Twelve”, disco di cover, dal libro “Just kids”, da tanti concerti, persino da una partecipazione all’ultimo Sanremo... In Inghilterra qualcuno ha già scritto che si tratta - addirittura - del suo miglior disco dai tempi del debutto con “Horses”, pubblicato nel ’75. Di certo siamo di fronte a un album che lascia il segno, in questi tempi confusi della scena rock attuale. Il titolo è una citazione da “Il maestro e Margherita” di Bulgakov. Per introdurre un album molto italiano. Ce lo racconta la stessa artista nel libretto di copertina dell’edizione deluxe, rivelando che le prime idee, i primi appunti sono stati messi giù durante una crociera sulla Costa Concordia, sì, proprio quella naufragata sei mesi fa dinanzi all’isola del Giglio grazie alla follia per nulla visionaria del comandante Schettino. Alcune foto che la ritraggono su uno dei ponti della nave, pensierosa a fissare l’orizzonte, sono la testimonianza di quei momenti di relax assolutamente creativo. Dal quale sono nati almeno due brani: quello che dà il titolo al disco e “Seneca”. Ma c’è anche il recitato iniziale di “Amerigo”, dedicata ovviamente al navigatore Vespucci, oltre a due brani composti e incisi ad Arezzo (fra cui la suite “Constantine’s dream”, ispirata dall’ammirazione del quadro di Piero della Francesca “Sogno di Costantino”, conservato nella basilica di San Francesco ad Assisi), a parlare di Italia, Paese che la poetessa del rock ha sempre amato molto. Il resto del disco propone le riflessioni sul recente disastro giapponese di “Fuji-san”, i ricordi di Amy Winehouse e Maria Schneider (rispettivamente “This is the girl”, struggente gioiellino anni Sessanta, e “Maria”), una curiosità come “Nine”, che pare essere stata originariamente composta come regalo di compleanno per il suo amico Johnny Depp. Il finale con una vibrante cover di “After the gold rush”, il classico di Neil Young, è il degno suggello (nonostante il coretto infantile nella parte conclusiva) di un disco, registrato agli Electric Lady Studios di New York, che merita di essere ascoltato e riascoltato. Il fido Lenny Kaye, al solito, coordina la baracca. Nella band, anche Tony Shananah e Jay Dee Daugherty. Fra gli ospiti, i figli Jackson e Jesse Paris. E il vecchio socio newyorkese Tom Verlaine si produce in assoli degni della sua fama in “April fool” e nella già citata “Nine”. Dal 14 luglio è di nuovo in tour in Italia. --- REGINA SPEKTOR WHAT WE SAW FROM THE CHEAP SEATS (Warner) Cantautrice e pianista russa, naturalizzata statunitense, la trentaduenne Regina - di nome e forse di fatto - è cresciuta nell’effervescente scena dell’East Village newyorkese. In questa nuova raccolta di canzoni e ballate, propone la pungente satira politica di “Ballad of a politician”, la leggerezza gradevole di “The party”, la voglia di restare per sempre giovani di “Small town moon”, il suo amore per l’Italia di “Oh Marcello”... Ma il piccolo grande capolavoro del disco s’intitola “How”, una canzone d’amore a tratti struggente che profuma di anni Cinquanta. La signora - che qualcuno ha accostato per stile a Tori Amos e Fiona Apple - ha un’estensione vocale notevolissima, che usa al servizio di brani che mischiano influenze folk e jazz, classiche e hip hop, russe e jewish. Produzione firmata da Mike Elizondo, mentre la Spektor coproduce imponendo il suo gusto e la sua presenza.

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