giovedì 2 luglio 2015

RON STASERA A TRIESTE, ROSSETTI

Stasera al Rossetti, nella serata finale de “I nostri angeli”, Ron proporrà due canzoni: “Il gigante e la bambina” e “Una città per cantare”. La prima ha quarantaquattro anni, la seconda trentacinque. «È vero - ricorda Rosalino Cellamare, per tutti soltanto Ron, pavese nato a Dorno ma cresciuto a Garlasco, classe ’53 -, cantai “Il gigante e la bambina” al Disco per l’estate del ’71. Testo scritto dalla poetessa Paola Pallottino, ispirato a un fatto di cronaca accaduto vicino Bologna, musica di Lucio Dalla. Tema delicato, canzone fuori dagli schemi. Doveva cantarla Lucio a Sanremo, poi la affidò a me proprio perchè ero molto giovane, poco più che un ragazzo. Ricordo che sembravo un menestrello alla Donovan. Ballata molto bella, all’epoca non vendette granchè, ma colpì il pubblico. E dopo tanti anni la conoscono ancora tutti». Lei aveva appena debuttato. «Sì, l’anno prima a Sanremo, con “Pa diglielo e ma”, in coppia con Nada. Eravamo due ragazzini, ci facevamo coraggio a vicenda». Com’era arrivato al Festival? «Allora non c’erano i “talent”, ma i concorsi per voci nuove. Io partecipai a uno in provincia di Alessandria. Mi notò un signore della Rca, qualche tempo dopo mi chiamarono al telefono per convocarmi a Roma per un provino. Ci andai con mio padre. Eravamo entrambi molto emozionati. Dopo poche settimane ero a Sanremo. Dovevo cantare “Occhi di ragazza” ma fu bocciata, e poi portata al successo da Morandi, a dimostrazione della lungimiranza di tanti cervelloni. Allora le cose funzionavano così». Meglio o peggio? «Per la musica direi meglio. Le canzoni erano considerate in quanto tali. C’era la televisione ma non era il veicolo principale per far arrivare la musica al pubblico. I dischi si vendevano. Ora la tv ha “televisionato” la musica, escono questi ragazzi dai “talent” e sono già famosissimi come facce, sono già delle piccole star, anche se poi non si sa quanto durano». Insomma, i “talent” non le piacciono. «Non ho detto questo, in questi anni sono usciti anche dei bravi cantanti, non lo nego. Diciamo che, per tornare al paragone con i primi anni Settanta, allora c’era più passione per la musica. E certe canzoni, come quelle di cui stiamo parlando, sono ancora qui a dimostrarlo». Con “Una città per cantare” facciamo un salto di una decina d’anni. «Più o meno. “The road” stava nell’album di Jackson Browne “Running on empty”, uscito nel ’78. Amai molto quel disco, lo sentii mille volte, tradussi i testi. In quella canzone mi ci sono sempre rivisto: la passione per la musica, le soddisfazioni, le fatiche, le delusioni. C’era un po’ la mia storia: il successo giovanissimo, la fase in cui tutti si erano dimenticati di me, la risalita, mettersi e rimettersi sempre in gioco...». Con Jackson Brown fece anche un duetto. «Sì, nel 2000. E mi disse che aveva apprezzato molto la nostra versione. Dico nostra perchè il testo lo scrisse Lucio, rimanendo fedele al significato originario ma arricchendo il brano da un punto di vista poetico. Ricordo che su quella traduzione baruffammo anche un po’: io ero più sulle cose alla west coast che sulla musica italiana o inglese, ma a distanza di tanti anni riconosco che fece una gran versione». Quanto le manca, quanto ci manca Lucio Dalla? «A me moltissimo, mi manca la sua intelligenza, la sua cultura, la sua curiosità per tutto e per tutti. Ma vedo parlando con la gente che manca a tanti, ci mancherà sempre. Lui non era un personaggio che si metteva mostra, amava il suo lavoro, era attratto da varie forme di arte: pittura, regia, lirica, non solo musica e canzoni. Lui parlava con Agnelli e con il disperato incontrato per strada sotto casa sua a Bologna. Per questo manca a tutti: manca la sua persona, la sua arte, quello che rappresentava...». Prosegua. «Lui aveva un grande rispetto per le persone e per la musica, a volte anche a costo di violentare la metrica. Diceva sempre: il testo dev’essere forte quanto la musica. E dire che lui nasceva musicista: il suo primo testo lo scrisse nel ’78, “Com’è profondo il mare”, dopo gli anni della collaborazione con il poeta Roberto Roversi, personaggio straordinario, che dalla poesia non ebbe problemi a buttarsi nella musica leggera». Anche lei nasce musicista. «E fu proprio Lucio, una sera a cena con Francesco De Gregori, ai tempi del primo tour “Banana Republic”, a dirmi: d’ora in poi i testi te li scrivi da solo...». Fu la stessa volta che Rosalino divenne Ron? «Più o meno lo stesso periodo. Dalla diceva sempre: ma com’è lungo questo tuo nome, non va bene, bisogna trovarne uno più breve, che rimanga in testa facilmente. Come Ron. Che a me faceva schifo, mi faceva pensare a uno che dorme. Caso mai Ross, ribattevo, visto che avevo i capelli rossi. Ma poi il nome rimase, facile, un po’ internazionale. E anche quella volta aveva ragione lui...». La serata “I nostri angeli” è dedicata a dei giornalisti triestini caduti sul campo. Lei che rapporto ha con l’informazione, con i giornali? «Conosco la storia di Marco Luchetta e dei suoi colleghi. All’epoca mi colpì molto e trovo bellissimo che nel loro ricordo siano stati creati una fondazione che aiuta i bambini vittime delle guerre e questo premio. Per quanto riguarda l’informazione, io sono ancora “vecchio stile”: la mattina facendo colazione leggo Corriere e Repubblica, sono ancora legato alla carta, al fruscio delle pagine di giornale, all’inchiostro...». Un tablet no? «Non è la stessa cosa, ma sarà perchè non ho ancora tanta dimestichezza con le tecnologie, con il digitale. Sono convinto che i giornali di carta rimarranno, non scompariranno come qualcuno aveva frettolosamente previsto. Il web non ammazza la carta, proprio come la tivù non ha eliminato la radio. C’è spazio per tutti, sono media complementari, l’importante è fare buona e corretta informazione». Prossime cose? «È passato più di un anno dall’album “Un abbraccio unico”, seguito dalla mia partecipazione a Sanremo 2014 con “Sing in the rain”, che fu bastonata soprattutto dalla giuria dei giornalisti. Nell’album c’era un inedito di Lucio, “America”, cui sono molto legato. Ora sto lavorando a un progetto nuovo, un cd/dvd che uscirà nel 2016, con la partecipazione di una fitta schiera di amici vecchi e nuovi».

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