"QUANDO NON C'ERANO DISOCCUPATI"
di Carlo Muscatello, presidente dell'Assostampa FVG
All’inizio degli anni Ottanta, quando ho cominciato a fare quello che all’epoca era un bel lavoro - ben trattato, ben considerato e… ben pagato -, nel Friuli Venezia Giulia non esistevano giornalisti professionisti disoccupati. I più anziani ricorderanno certamente il caso di un collega di una regione del Sud che si trasferì armi e bagagli qui nel Nordest proprio perché sarebbe stato l’unico disoccupato e dunque il primo posto libero se lo sarebbe beccato lui. Come puntualmente avvenne…
Dunque tutti lavoravano. Chi alla Rai regionale, chi al Messaggero Veneto o al Piccolo, chi al Primorski Dnevnik o nelle redazioni regionali del Gazzettino, chi in qualche tv privata… C’era lavoro e pane per tutti.
Si cominciava a collaborare (all’epoca quelli che lavoravano in redazione in attesa dell’assunzione erano chiamati “abusivi”), poi prima o poi, chi prima e chi poi, si veniva assunti. Chi forte di una raccomandazione, della presentazione da parte di un parente o un amico, chi semplicemente perché era bravo, e tanto per cominciare sapeva scrivere in italiano. Cosa che non dobbiamo mai dare per scontata.
Bastava che qualche collega andasse in pensione o “emigrasse” verso altri lidi, magari a Roma o a Milano, oppure poteva capitare che qualche editore volesse rinforzare una redazione, beh, chi aveva pazienza e voglia di scrivere finiva per ottenere il sospirato “articolo 1”.
Poi dev’essere successo qualcosa. E noi all’inizio non ce ne siamo accorti. Peggio: il sindacato non se n’è accorto. Ricordo componenti di Cdr e di Direttivi Assostampa che sostenevano di non dover rappresentare i collaboratori.
Oggi il mondo dell’informazione è cambiato, anche nel Friuli Venezia Giulia, che non è più un’isola felice. Oggi oltre metà dei giornalisti professionisti iscritti ai nostri enti di categoria non ha un contratto di lavoro “articolo 1”. Si arrangia con collaborazioni, contratti a termine, uffici stampa. E qualche volta molla, perché va bene tutto, va bene la passione, ma a trenta o quarant’anni non si può andare avanti con mille euro al mese, peraltro lavorando a tempo pieno, serate e domeniche incluse.
E se l’Inpgi, il nostro istituto di previdenza, continua a ballare sull’orlo del vulcano, una concausa sta qui. Un tempo entravano cento di contributi e uscivano cinquanta di pensioni, oggi la proporzione è capovolta. Gli editori hanno usato l’istituto come un bancomat, prepensionamenti a raffica, organici ridotti, sempre meno redattori e sempre più collaboratori pagati poco. Lo ha teorizzato recentemente anche il direttore di Repubblica, Molinari. Solo che ha detto che questo è “il futuro dei giornali”. Invece è purtroppo, da tempo, già il presente…
Ma oggi abbiamo bisogno di più informazione, informazione di qualità. E la qualità richiede sostegno pubblico, interventi normativi che diano stabilità al settore, supporto al lavoro dei giornalisti. Non si tratta di elargire finanziamenti a pioggia, ma di sostenere l'informazione in maniera seria guardando al servizio che viene svolto e all'occupazione che viene creata.
Dunque vanno affrontati al più presto i nodi strutturali, a partire dal contrasto al precariato e dalla definizione dell'equo compenso. Non si può fare informazione di qualità sfruttando migliaia di giornalisti che ogni giorno lavorano senza le tutele, i diritti e le garanzie assicurati dal contratto di lavoro. La Fnsi chiede al governo “un patto per l’articolo 21 della Costituzione”.
Dunque tutti lavoravano. Chi alla Rai regionale, chi al Messaggero Veneto o al Piccolo, chi al Primorski Dnevnik o nelle redazioni regionali del Gazzettino, chi in qualche tv privata… C’era lavoro e pane per tutti.
Si cominciava a collaborare (all’epoca quelli che lavoravano in redazione in attesa dell’assunzione erano chiamati “abusivi”), poi prima o poi, chi prima e chi poi, si veniva assunti. Chi forte di una raccomandazione, della presentazione da parte di un parente o un amico, chi semplicemente perché era bravo, e tanto per cominciare sapeva scrivere in italiano. Cosa che non dobbiamo mai dare per scontata.
Bastava che qualche collega andasse in pensione o “emigrasse” verso altri lidi, magari a Roma o a Milano, oppure poteva capitare che qualche editore volesse rinforzare una redazione, beh, chi aveva pazienza e voglia di scrivere finiva per ottenere il sospirato “articolo 1”.
Poi dev’essere successo qualcosa. E noi all’inizio non ce ne siamo accorti. Peggio: il sindacato non se n’è accorto. Ricordo componenti di Cdr e di Direttivi Assostampa che sostenevano di non dover rappresentare i collaboratori.
Oggi il mondo dell’informazione è cambiato, anche nel Friuli Venezia Giulia, che non è più un’isola felice. Oggi oltre metà dei giornalisti professionisti iscritti ai nostri enti di categoria non ha un contratto di lavoro “articolo 1”. Si arrangia con collaborazioni, contratti a termine, uffici stampa. E qualche volta molla, perché va bene tutto, va bene la passione, ma a trenta o quarant’anni non si può andare avanti con mille euro al mese, peraltro lavorando a tempo pieno, serate e domeniche incluse.
E se l’Inpgi, il nostro istituto di previdenza, continua a ballare sull’orlo del vulcano, una concausa sta qui. Un tempo entravano cento di contributi e uscivano cinquanta di pensioni, oggi la proporzione è capovolta. Gli editori hanno usato l’istituto come un bancomat, prepensionamenti a raffica, organici ridotti, sempre meno redattori e sempre più collaboratori pagati poco. Lo ha teorizzato recentemente anche il direttore di Repubblica, Molinari. Solo che ha detto che questo è “il futuro dei giornali”. Invece è purtroppo, da tempo, già il presente…
Ma oggi abbiamo bisogno di più informazione, informazione di qualità. E la qualità richiede sostegno pubblico, interventi normativi che diano stabilità al settore, supporto al lavoro dei giornalisti. Non si tratta di elargire finanziamenti a pioggia, ma di sostenere l'informazione in maniera seria guardando al servizio che viene svolto e all'occupazione che viene creata.
Dunque vanno affrontati al più presto i nodi strutturali, a partire dal contrasto al precariato e dalla definizione dell'equo compenso. Non si può fare informazione di qualità sfruttando migliaia di giornalisti che ogni giorno lavorano senza le tutele, i diritti e le garanzie assicurati dal contratto di lavoro. La Fnsi chiede al governo “un patto per l’articolo 21 della Costituzione”.
Carlo Muscatello, presidente Assostampa Fvg
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