martedì 24 luglio 2007

Lucio Dalla? Non si fa mancar nulla. Stasera è a Palermo per accompagnare ancora una volta la sua opera «Tosca, amore disperato», domani arriva nel Friuli Venezia Giulia per un concerto a Grado (alla Diga Nazario Sauro, inizio alle 21.30), sabato va a Cipro, lunedì ad Atene, poi lo aspettano l’8 agosto al San Paolo di Napoli con Gilberto Gil.

Aggiungi che tre settimane fa è uscito il suo nuovo album «Il contrario di me», a quattro anni dal precedente lavoro in studio. Che è tornato da poco da Dublino, dove ha curato la regia di «Pulcinella» e «Arlecchino», dalle rispettive opere di Stravinskij e Busoni. Che nei momenti liberi (ma quali...?) ha ripreso a suonare «seriamente» il jazz. Che sta lavorando al suo allestimento di «Beggar’s Opera», atteso al debutto il 20 marzo 2008 al Comunale di Bologna. E che farà delle colonne sonore per dei film-tv su Raiuno. Insomma, a sessantaquattro anni l’artista bolognese non molla. Anzi...

Dalla, i Beatles con «When I’m sixty-four» identificavano la sua attuale età come quella dei remi in barca...

«Altri tempi. Io ho la fortuna di continuare a fare le cose che mi piacciono, che mi interessano, che mi incuriosiscono. E poi devo confessare che mi guardo allo specchio più adesso di quando avevo vent’anni. E la cosa incredibile è che mi trovo più fico adesso...».

Il nuovo disco com’è nato?

«Nei ritagli di tempo, tra regie teatrali e operistiche, fra concerti pop e lezioni universitarie (Dalla insegna da anni alla facoltà di sociologia a Urbino - ndr), fra colonne sonore e improvvisazioni jazz. Prendendo spunto dal mondo che mi sta attorno, dagli incontri che faccio, ascoltando insomma la gente...».

Qualcuno ha detto che è il disco della semplicità.

«Mi piacerebbe che lo fosse. La semplicità in fondo la troviamo già nel Vangelo. Ho letto il libro di Ratzinger sull’amore, mi è piaciuto, ma l’ho trovato imbarazzante quando cerca di spiegare cose che teologicamente forse non è necessario spiegare, come per esempio le parabole. Il messaggio del cielo è chiaro, l’efficacia del linguaggio che usava Gesù stava proprio nella semplificazione...».

Che tipo di credente è lei?

«Io credo in Dio e nei fuochi artificiali, cioò in tutte le cose che vedo e non vedo. Dio non lo vedo ma lo sento, i fuochi li vedo e li sento. Io sono un credente proprio come caratteristica generale. Sono un credente praticante ma con grande fatica e spesso con grande noia, mi addormento durante la messa, una volta in una chiesa in Sicilia sono anche caduto per terra e mi hanno lasciato dormire fino alla fine della messa...».

Nella canzone «La mela» immagina che Adamo ed Eva si reincontrano.

«Sì, la canzone è nata l’anno scorso, mentre ero in Salento per partecipare alla Notte della taranta. Ho sognato che i due amanti si ritrovano a Gallipoli, rievocano la cacciata dal paradiso terrestre, ricordano ma non stanno a recriminare più di tanto, e poi alla fine di salutano augurandosi buona fortuna, com’è giusto e normale fra persone che si sono amate. Una visione forse poco ratzingeriana, ma tutto sommato molto cristiana.»

Anche «I.N.R.I.» è spirituale sin dal titolo.

«È un dialogo tra un angelo e un diavolo, che sono io. Il primo, volando su New York, tampona un jumbo e cade sulla 42.a strada. Il secondo viene espulso dall’inferno perché qualcuno gli ha sentito dire una frase gentile. Si ritrovano insieme, l’angelo a pregare il Signore, il secondo a pregare l’angelo di rivolgersi per lui a Dio: il demonio in fondo è un’invenzione divina, il bene senza il male mi farebbe quasi paura».

Torniamo alle cose terrene. Dopo Nuvolari e Ayrton Senna, ora canta Valentino Rossi.

«”Due dita sotto il cielo” è nata il giorno in cui un giornalista giapponese mi chiese cosa pensavo di quel ragazzo marchigiano insignito di una laurea honoris causa in Scienze della comunicazione. Canto Valentino non come campione sportivo ma come campione di umanità. Lui ha il gusto dell’eterna giovinezza, della continua scoperta. È eccezionale nella sua normalità. Non potevo cantarne le vittorie perchè ancora troppo giovane. Così ne ho cantato la giovinezza assoluta, la vita che gli esplode tra le dita: mi ricorda un po’ Alessandro Magno, è un imperatore della comunicazione, mi ha indotto a descrivere uno stato di grazia, quando il cuore è pronto a grandi imprese».

Grandi imprese che il protagonista di «Liam» non conosce.

«Liam è quello del film ”Sweet sixteen” di Ken Loach: un ragazzotto di quel sottoproletariato che nessuna globalizzazione ha cancellato, cui appartenevano anche Anna e Marco, oppure i ragazzi della ”Gomorra” raccontata da Saviano, che per me può essere considerato l’erede della Fallaci. La mamma è in galera, il papà non c’è, il suo sogno è dare una casa alla madre, ma poi finisce per spacciare anche lui. È una storia di subalternità, di classi oppresse. La storia di un uomo solo, che vive la sua vita randagia con serenità, sa che il mondo non lo vuole ma non gliene importa».

La politica? Il partito democratico?

«Stimo Veltroni e forse il partito democratico servirà veramente alla politica italiana, ma in questo momento credo poco nella politica, così separata dalla gente già nel linguaggio. Fossi Veltroni preferirei fare il sindaco di Roma che il segretario di partito. De Andrè parlava della democrazia dei condomini...».

«Spengo il telefono... e ti cancello»: un’altra sua canzone che parla dello strumento che ha cambiato la vita delle persone.

«Io sono uno che subisce il telefono più di quanto lo usi. Certo, ha cambiato i rapporti e anche la vita, ma basta non esserne vittime. È anche uno strumento di congiunzione fra vari stati sociali, se pensiamo che nell’Ottocento le persone si scrivevano ma c’erano delle barriere nella comunicazione. Oggi invece il telefono, con quel che si dice e non si dice al telefono, diventa protagonista anche della vita pubblica».

Il disco è uscito anche in edicola, abbinato a Repubblica e L’Espresso. Una scelta sua o del marketing?

«È stata un’idea mia, nata dal fatto che io stesso sono un lettore e anche a me capita di comprare i dischi in edicola. Di solito abbinate ai giornali escono le raccolte o le ristampe. Io ho voluto proporre un disco di inediti e ciò mi ha consentito di abbassare il prezzo, sia in edicola che in negozio».

Prince ha addirittura regalato il nuovo disco in allegato a un quotidiano inglese...

«Ormai la musica è dappertutto, il sistema di distribuzione sta vivendo un’autentica rivoluzione. I negozi trazionali resistono ancora, ma si può acquistare in rete su i-tunes, in edicola, nei supermercati... La gente compra il disco dove lo trova. E questo è un fatto positivo, che va assecondato».

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