lunedì 6 agosto 2007

Che impressione risentire dopo tanti anni, ieri sera in piazza Unità, le note di «Concerto Grosso». Quando uscì, nel ’71, scritto per i New Trolls da Luis Bacalov, su un’idea di Sergio Bardotti, rappresentò il segnale di una svolta importante nella musica italiana. Qualcuno dice addirittura che il pop, il «progressive» di casa nostra siano nati da lì.

Prima c’era stato il beat, i dischi erano i 45 giri, i gruppi si chiamavano Rokes (inglesi che trovarono l’America in Italia, e il cui leader Shel Shapiro era guardacaso presente ieri sera sul palco e ha una parte importante nel terzo capitolo del «Concerto Grosso»), Equipe 84, Dik Dik, Camaleonti, Corvi... I cui successi erano spesso le versioni italiane - oggi si direbbe «cover» - di brani inglesi e americani.

A cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta dall’Inghilterra cominciarono ad arrivare gruppi come King Crimson, Genesis, Jethro Tull, Yes, Gentle Giant. Il cosiddetto «rock progressive» che spesso, e sicuramente almeno all’inizio, ebbe maggior successo in Italia che nel paese d’origine.

I New Trolls avevano già sperimentato la formula del «concept album» (un unico tema su cui ruota tutto il disco) con «Senza orario senza bandiera», su testi del grande De Andrè, genovese come loro. Ma «Concerto Grosso», con la marcata impostazione sinfonica, e con quell’idea di trasporre in rock la formula del Seicento, consistente in un piccolo gruppo di solisti su un palco assieme all’orchestra per dar vita a una sorta di botta e risposta, fu il vero elemento di rottura fra passato e futuro, il crinale del cambiamento non più rinviabile.

I 45 lasciarono allora il posto ai 33 giri, le canzonette di tre minuti furono sostituite dai brani lunghi e a volte da vere e proprie suite: lunghe composizioni che occupavano un lato intero di quel disco chiamato «long playing» (o «ellepì»), senza apparente soluzione di continuità. E i complessi diventarono i gruppi, le band: Orme, Premiata Forneria Marconi (nome sintetizzato nell’acronimo Pfm, discendenti dei Quelli), Osanna, Banco del Mutuo Soccorso (Bms, oppure semplicemente Banco), Delirium, Area, tanti altri. Che avevano una caratteristica: pur influenzati dalle tendenze musicali straniere, cercavano comunque di creare un genere con sonorità proprie.

Quel «Concerto Grosso» - risentito dopo tanti anni ieri sera a Trieste, assieme al secondo capitolo uscito nel ’76 e al terzo, «The seven seasons», pubblicato un mese fa - era e rimane tuttora un magistrale connubio tra melodia classica e pop-rock sinfonico, in bilico fra passato e presente, fruibile dai ragazzi di ieri e da quelli di oggi. Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo, finalmente riuniti dopo anni di incomprensioni e sterili baruffe, ebbero allora l’intuizione di affidarsi al genio del musicista e arrangiatore argentino Luis Enriquez Bacalov, futuro Premio Oscar. Oggi sembrano restituiti a nuova giovinezza. E in grado di far rinascere la magia di quegli anni.

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