mercoledì 26 maggio 2010


LIBRO BELPOLITI


La vergogna non c’è più. Sparita, scomparsa, fatta fuori, forse superata e sostituita da altri sentimenti umani più in voga nella società contemporanea. Che è sempre più il regno del cattivo gusto, del narcisismo, della supponenza, della sfrontatezza, della sfacciataggine. Ma anche dell’arroganza, dell’impudenza, del senso o forse della pretesa di impunità. Da parte di un esercito di senza vergogna, appunto. Politici in testa.
«In realtà la vergogna c’è ancora - sostiene Marco Belpoliti, saggista e scrittore che, dopo il successo l’anno scorso de ”Il corpo del Capo”, ora manda in libreria questo ”Senza vergogna” (Guanda, pagg. 248, euro 16) -, ma si tratta di una vergogna ”di pelle”, di superficie, e dunque assolutamente amorale. È la vergogna di non aver successo, di non essere notati, di non essere nessuno in una società dell’immagine che ci schiaffa sotto il naso sempre e solo modelli vincenti».
Perchè è scomparsa la ”vergogna morale”?
«Perchè mancano valori socialmente condivisi - spiega Marco Belpoliti -. Le faccio un esempio. Se passi con il rosso, o vieni multato per eccesso di velocità, sono pochi quelli che provano ancora vergogna. Per quasi tutti si tratta di un fastidio, una seccatura per la multa da pagare o per i punti persi sulla patente. E invece una società che sia tale deve riconoscere alcuni valori, prima di tutto quello di rispettare la legge, come elemento fondativo e costitutivo della propria identità».
I politici si vergognano ancora di qualcosa?
«Beh, anche qui le cronache recenti ci vengono in aiuto. Hanno colpito di più, e portato più conseguenze, le vicende legate alla casa, bene primario in un Paese in cui i proprietari di abitazione sono la maggioranza, che non gli scandali legati alle escort e alla prostituzione. Nei paesi protestanti le cose vanno diversamente: negli Stati Uniti scandali legati a questioni di sesso e infedeltà hanno portato alle dimissioni di politici. Ma noi siamo un paese cattolico, dove vige il principio della confessione e del perdono».
La Chiesa ha delle colpe?
«Direi di sì, perchè ha rinunciato al proprio compito primario di indicare dei valori. Forse è la Chiesa stessa che li ha persi, diventando un sistema di potere. Senza nulla togliere alle tante persone oneste che sono al suo interno».
Torniamo alla politica.
«Sì, la causa di questa complessa situazione può in effetti essere cercata anche nella scomparsa dei partiti tradizionali, nella crisi dei sindacati. Un tempo veniva selezionato un personale politico all’altezza del compito da svolgere. Oggi ciò non esiste più. E non è un caso che il partito meno coinvolto negli ultimi scandali, la Lega Nord, sia quello che mantiene maggiormente la struttura classica di partito legato al territorio. Non dico che i suoi uomini siano all’altezza del proprio compito, dico soltanto che per ora sembrano meno compromessi con questo sistema di potere».
Come siamo arrivati a questa situazione?
«Credo che alla base ci sia l’affermarsi del dominio dell’immagine, dell’apparenza. Da quando negli anni Sessanta, prima negli Stati Uniti e poi in tutto il mondo, si sono diffusi a livello di massa i nuovi sistemi di riproduzione audio e video, nella società moderna ha cominciato a prevalare l’immagine, la forma, il senso narcisistico dello specchio. Nello specchio io vedo, o almeno voglio vedere, un’immagine ideale, dell’uomo o della donna di successo».
E se l’immagine che vedo non mi piace?
«Allora cominciano i guai. Perchè la vergogna è un sentimento che sa essere terribile, può portare e purtroppo a volte porta al suicidio. Pensiamo al senso di colpa. Pensiamo ai tanti adolescenti che si sentono inadeguati alle immagini che il mondo attorno propone loro. L’adolescenza è l’età della vergogna».
La vergogna del proprio corpo.
«La vergogna del proprio corpo e della propria presunta inadeguatezza. La vergogna che ci restituisce normalità, la vergogna che ci fa uomini, la vergogna parente stretto del senso dell’onore. E poi c’è il pudore, che può essere considerato il fratello minore della vergogna».
Nel libro lei ricorda che l’uomo è l’unico ”animale vestito”.
«Perchè la vergogna nasce con la nudità. Con l’esposizione del proprio corpo. Oggi il corpo è merce, le stesse merci sono sessualizzate. Pensiamo alla pubblicità. Pensiamo alle copertine dei settimanali».
Come siamo passati dalla caduta del perbenismo bacchettone, positiva, a questa società fin troppo svergognata?
«Trovo che questo passaggio, avvenuto nello spazio di pochi decenni, sia un portato dello sviluppo delle forme peggiori del capitalismo contemporaneo. Che è stato capace di sfruttare anche conquiste civili come la liberazione sessuale, rendendo tutto merce. La verità è che una società dovrebbe porre dei limiti. E in questo, nel non averlo fatto, c’è un’enorme responsabilità delle nostre classi dirigenti».
Facebook, i social network, la voglia di mettere in piazza i fatti propri sono frutto di questa situazione?
«Lì si incontrano due aspetti. Da un lato l’esigenza di conoscenza fra persone, che è positiva: la domanda di amicizia che comprende anche la disponibilità alla confidenza, a volte malriposta. Dall’altro il narcisismo di cui dicevo prima, la voglia di apparire, di farsi vedere. Meno positivo».
All’inizio del libro, a mo’ di dedica, lei scrive ”Per la mia vergogna”. Qual è?
«Rispondo con la citazione di Gilles Deleuze, anch’essa riportata all’inizio del libro. Dice: la vergogna di essere uomo, c’è una ragione migliore per scrivere?»
Lei apre con Berlusconi che non si vergogna di partecipare alla festa della diciottenne Noemi e chiude con Berlusconi che non si vergogna di mostrarsi tumefatto e sanguinante dopo l’aggressione in piazza Duomo. Sempre lui, insomma...
«Altrimenti lei non sarebbe qui a intervistarmi. Scherzi a parte, Berlusconi è l’uomo medio al potere, è la rappresentazione dell’italiano attuale. Per questo ne parlo. Come politico non mi interessa».

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