domenica 15 luglio 2012

PER NON DIMENTICARE BORSELLINO, stasera al teatro basaglia

Sei magistrati, un avvocato e una giornalista sul palcoscenico. Per ricordare Paolo Borsellino nel ventennale della strage di via D’Amelio, nella quale furono assassinati dalla mafia (quella che secondo alcuni “non esiste”) il giudice siciliano e gli agenti della scorta, tra cui il triestino Eddie Cosina.
È qualcosa di più di una commemorazione e di diverso da un “normale” spettacolo teatrale, quello che va in scena oggi alle 20.30 al Teatro Basaglia di San Giovanni. “Paolo Borsellino. Essendo Stato” di Ruggero Cappuccio era già passato dalle nostre parti, nel 2006 al Rossetti, nell’interpretazione di un cast di attori professionisti, capitanati da Massimo De Francovich.
Stavolta la novità sta in quegli otto donne e uomini, che a vario titolo lavorano tutti al tribunale di Milano, e che per una volta hanno scelto di lasciare le aule di giustizia e salire su un palcoscenico. Per ricordare, per testimoniare, per riaffermare il proprio no alla mafia, a tutte le mafie.
I magistrati si chiamano Oscar Magi (che firma anche la regia), Lucio Nardi, Ilio Mannucci Pacini, Luciana Greco, Monica Cavassa, Maria Bambino. Con loro l’avvocato Barbara Medagliani e la giornalista Marica Orlandi. Hanno debuttato nel dicembre scorso al Teatro San Carlo di Milano, la loro città, e sembrava che dovesse trattarsi di un’unica rappresentazione.
Poi a primavera è arrivato un invito da Sassari, ora da Trieste, nell’ambito delle iniziative organizzate dalla rete di Libera nel ventennale della strage di via D’Amelio, che si concluderanno domani alle 20.30, all’Auditorium del Museo Revoltella, con la presentazione del libro “Quarant’anni di mafia” di Saverio Lodato (presente l’autore, modera Lorenzo Frigerio di Libera Informazione, interviene il sindaco di Trieste Roberto Cosolini).
Lo spettacolo di stasera al Teatro Basaglia è un atto unico, a cura dell’Associazione Nazionale Magistrati di Milano (il sindacato di categoria). Un testo nel quale viene data voce, fra tragica realtà e documentata fantasia, a quel che poteva essere passato nella mente di Borsellino in quei bravi ma forse al tempo stesso lunghissimi istanti passati fra l’esplosione e la morte. Memorie, speranze, confessioni, forse sogni di un giudice che aveva scelto di rimanere nella sua terra, nella sua città. Proprio come l’amico e collega Giovanni Falcone, saltato in aria a Capaci il 23 maggio 1992.
Destino analogo, due mesi dopo quel 19 luglio 1992 di via D’Amelio. Per l’esattezza, cinquantasette giorni. Nei quali Borsellino sapeva che il suo turno era solo questione di tempo, forse di poco tempo. E che lo Stato, il “suo” Stato, quello che aveva scelto di servire fino all’ultimo giorno, non avrebbe saputo o potuto salvarlo. «Palermo - diceva Borsellino - non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla, perché il vero amore consiste nell’amare ciò che non piace, per poterlo cambiare...».

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