domenica 19 aprile 2015

JACK SAVORETTI sab 18-4 a trieste INTERVISTA

Quando l’anno scorso tenne i primi concerti nel Friuli Venezia Giulia (prima a Udine, poi a ottobre a Trieste, in piazza Unità per la Barcolana, con un duetto con Elisa), non lo conoscevano in tantissimi. Sono passati in fondo solo pochi mesi, ma la popolarità di Jack Savoretti, inglese di origini italiane, classe ’83, è cresciuta in maniera esponenziale. Ora torna in Italia sulla scia del successo riscosso nel recente tour inglese, conclusosi con un “sold out” a Londra, nello storico “02 Shepherd’s bush empire”. Prima tappa venerdì a Treviso, seconda sabato a Trieste, al Teatro Miela. Dove presenterà il nuovo album “Written in scars”, pubblicato a febbraio ed entrato direttamente nei primi posti delle classifiche di vendita inglesi. Aprono la serata The Leading Guy. Jack, che cosa aggiunge questo disco alla sua storia? «”Written in scars” è il risultato della presa di coscienza del mio percorso e di quello che per me è stato ed è tuttora fare musica ed essere un cantautore. Il disco è un concept album vero e proprio. Ascoltando ogni brano si può comprendere ciò che ho vissuto e le cicatrici (scars - ndr) che ci si procura per ottenere un risultato. In Italia è di casa. E le sue radici sono qui... «Sì, sento di avere le mie radici in Italia ma sono cresciuto nel mondo vivendo negli Stati Uniti, in Svizzera, in Inghilterra. Spesso mi chiedono: qual è la tua casa? Ho sempre fatto fatica a rispondere. Sono arrivato a capire che il concetto di “casa” è uno stato d’animo più che un luogo. Proprio da questa mia particolare condizione è nato uno dei singoli del mio disco: “Home”». È vero che da piccolo sentiva i cantautori italiani grazie a suo padre? «Sì, quando mio padre, genovese, ascoltava la musica italiana si chiudeva nella sua stanza, si rilassava ed entrava a contatto con una parte di sé più intima: quella legata alle sue origini e ai suoi ricordi. Per me era qualcosa di speciale ed ero sempre incuriosito da quel suo modo di vivere la musica. È così che mi sono avvicinato ai cantautori italiani ed è così che sono riuscito a capire un'emotività che non era completamente mia ma mi apparteneva». Il paragone con Dylan? «Beh, quando sento questi commenti ne sono onorato ma allo stesso tempo mi rendo conto che è solo un modo per rendere identificabile quello che faccio. Io cerco di pensare alla musica e nient'altro anche perché ho imparato che se inizi a credere troppo ai commenti positivi rischi poi di credere anche a quelli negativi». Con Elisa, dopo il concerto triestino e quello di Verona? «La stimo molto, tra noi è nata subito una forte intesa. A Trieste, in particolare, si è creata una magia speciale e questo anche grazie al calore del pubblico». Qualche altro italiano con cui vorrebbe collaborare? «Ho sempre sostenuto che l'Italia è piena di talenti ma che servirebbe più spazio da dedicare a loro. Ad ogni modo, uno degli artisti italiani che più stimo e con cui ho collaborato già più volte è Zibba». Progetti? «Dopo i concerti italiani proseguirò il tour negli Stati Uniti e nel resto del mondo». Nel nuovo spettacolo? «Durante lo spettacolo verrà data importanza ai brani del mio nuovo album, ma non mancheranno i brani dei dischi precedenti a cui sono più legato e qualche sorpresa. Per saperlo dovete venirmi ad ascoltare...».

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