domenica 14 febbraio 2016

FEGIZ: QUEL NOTAIO DI SANREMO CHE ERA UNA COMPARSA

Qualche anno fa ha ricevuto il Premio Città di Sanremo come “giornalista decano del Festival”. Ne ha seguiti infatti quarantacinque, dal ’68 a ieri. Nell’enorme sala stampa del Teatro Ariston, da dove i giornalisti accreditati (quest’anno 742, che non hanno accesso al teatro...) seguono la kermesse su grande schermo, è un’autorità riconosciuta. Lui è Mario Luzzatto Fegiz, classe 1947, triestino, quest’anno anche fra i protagonisti del rinato Dopofestival. Fegiz, che Sanremo è stato? «Riuscito sul piano dello spettacolo, degli ospiti e della conduzione. Meno interessante di altre edizioni per quanto riguarda invece la qualità delle canzoni, sia come scrittura che come interpretazione». Il peso dei social? «Assolutamente enorme. Lo sforzo della Rai per abbassare un po’ l’età media, per ringiovanire il Festival ha dato qualche risultato. I social fanno sentire tutti protagonisti. E i ragazzi dei talent hanno portato con sé spettatori e televotanti». Dunque talent sempre determinanti? «Assolutamente sì, basti pensare ai quattordici big su venti che in qualche modo erano legati ai talent. Il Festival si conferma una sorta di Coppa dei campioni, anzi, di Champions League dei talent. Dai quali ha copiato molte idee, come quella delle eliminazioni testa a testa fra i giovani». È tornato anche il Dopofestival... «Uno spreco di tempo, denaro e risorse, almeno secondo me. La Gialappa’s generava solo confusione: era la ricerca della risata a tutto i costi. Quest’anno Savino non mi è sembrato all’altezza. La rissa non è mai scoppiata anche perchè in studio l’audio impediva di comunicare». Storica quella sua baruffa con Cutugno. Siete tornati amici? «Con Toto siamo sempre stati amici, ma come si accende una telecamera ci spuntano la coda e le corna e ci lanciamo sbuffi sulfurei...». Con questo, quanti Festival ha seguito? «Quarantacinque. E cioè ’68, ’69, ’70 e ’71 per la Rai, dal ’75 a oggi per il Corriere della sera». Ricorda il primo? «Poco. È passato quasi mezzo secolo. Ricordo che vinse Sergio Endrigo, con “Canzone per te”, in coppia con Roberto Carlos. C’erano Celentano, Little Tony, i Rokes... Ricordo che arrivai con un vagone letto da Roma, sul quale c’era anche una giovanissima Nada accompagnata dal padre. Ricordo che alloggiavo alla Pensione Trento e Trieste, dove il bagno praticamente confinava con la stazione. E c’era un treno che attraversava il centro cittadino...». L’edizione che ricorda maggiormente? «Non so perchè, ma quella del ’95, caratterizzata dal forfait all’ultimo momento di Elton John e dal tentativo di suicidio del disoccupato Pino Pagano, che minacciava di buttarsi dalla balconata del teatro, in diretta. Come forse qualcuno ricorda, fu raggiunto da Pippo Baudo, che conduceva quell’edizione, e convinto a desistere». Nello spettacolo che porta a teatro (“Io odio i talente show”, visto anche al Rossetti di Trieste - ndr) parla delle giurie truffaldine di Sanremo. «In particolare racconto un episodio. Nel ’75 le major avevano deciso di boicottare il Festival e così il Comune di Sanremo lo organizzava direttamente, scavalcando le case discografiche maggiori. Per la cronaca vinse Rosangela Scalabrino, in arte Gilda, con “Ragazza del Sud”, molto legata al cantante (e politico) Aurelio Fierro e a un tal assessore comunale». Fu questa la truffa? «No. La votazione si svolgeva attraverso delle telefonate casuali ad abbonati scelti sugli elenchi telefonici. Tanti anni dopo emerse che le chiamate partivano da un centralino di Sanremo e finivano in una sala della Sip di Genova, dove a ogni prefisso rispondeva un operatore con l’accento coerente col prefisso: 081 napoletano, 055 toscano, 070 sardo...». E quel notaio che non era un notaio? «Qualche mese dopo ero a vedere uno spettacolo al Piccolo Teatro di Milano. Dalle prime file vedevo bene in faccia protagonisti e comparse. Mi colpì una di queste ultime. Ma io quello l’ho già visto da qualche parte, mi ripetevo... Di botto, l’illuminazione: era il notaio del Festival di quell’anno, quello che “certificava” il meccanismo prima descritto. Dunque, il “notaio” era in realtà una comparsa...».

Nessun commento:

Posta un commento