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giovedì 5 maggio 2016
MASSIMO BONELLI, DA TRIESTE A MICHAEL JACKSON
È stato per trentacinque anni una colonna della discografia italiana, fino a diventare direttore generale della Sony Music.
Il 7 maggio inaugura al Museo Tornielli di Ameno, provincia di Novara, la mostra “I colori del rock”. Lui è il triestino Massimo Bonelli, classe 1949, nato a Conegliano ma cresciuto fra le elementari alla Nazario Sauro, le medie ai Campi Elisi, i pomeriggi trascorsi a Sant’Andrea. Prima di spiccare il volo verso Milano, dove vive tuttora.
Bonelli, come nasce questa mostra?
«In questi ultimi anni ho visitato mostre e musei in giro per il mondo. Scoprendo che, attraverso alcune opere della pop art, o di fronte alla visione delle icone del rock, rivivo la stessa emozione che provo ascoltando la buona musica. Con la complicità di un sindaco illuminato, due anni fa ho realizzato una mostra che passava in rassegna i miei 35 anni di discografia, oggetti regalatimi dagli artisti, materiale promozionale, merchandising, ricordi vari. Ha avuto successo e quest’anno mi sono rimesso in gioco con contenuti diversi».
Cosa c’è di nuovo?
«Quadri e sculture che parlano di musica, dei suoi protagonisti nella storia. Quindici artisti, molti di fama internazionale, partecipano con opere che riecheggiano un’epoca fantastica per fantasia e creatività. Dalla pop art alla pittura psichedelica. John Lennon e Jimi Hendrix, Bob Dylan e David Bowie, in forme e stili decisamente originali. È una mostra rock’n’roll. Mi piacerebbe portarla anche a Trieste, che considero sempre la mia città».
Quando è cominciata la sua carriera?
«Nel periodo più ricco e creativo sia della musica che dell’industria discografica, gli anni Settanta. Si era più coraggiosi e fantasiosi, nulla era connesso ma tutto era concesso».
Periodo irripetibile?
«Come ho scritto recentemente nel mio blog su Spettakolo.it, chi ha vissuto intensamente gli anni migliori della musica non ricorda le cose peggiori della vita. Sfoglia un album di famiglia privilegiato, dove la più stretta parentela è con meravigliose immagini che lo trasportano tra quelle note che sono state la fondamentale colonna sonora di ogni momento durante quel tratto di vita».
Torniamo alla sua carriera: i passaggi più importanti?
«Dopo essere diventato capo della promozione Emi (Beatles, Pink Floyd, Guccini, Deep Purple, Mina), sono passato alla Cbs con lo stesso ruolo e successivamente come direttore marketing. Poi sono stato a capo della Epic, etichetta Cbs (Michael Jackson, Sade, Cyndi Lauper, Oasis, Jamiroquai...) e, alla fine, direttore generale della Sony Music, quando la Cbs è stata acquisita dai giapponesi».
Con quali artisti ha lavorato?
«Oltre a quelli citati sopra, ho seguito Bob Dylan, Springsteen, Leonard Cohen, Frank Zappa, David Gilmour, Queen, James Taylor, Kate Bush, Tine Turner, Duran Duran... Fra gli italiani Francesco De Gregori, Claudio Baglioni, Ivano Fossati, Pino Daniele, Fiorella Mannoia, Renato Zero. Una volta, durante un volo aereo, ho calcolato che ho lavorato con oltre trecento artisti».
Episodi?
«Tantissimi, alcuni divertenti e altri meno. La prima telefonata imbarazzante con Mina, che non avevo riconosciuto, oppure Cyndi Lauper che mi fa i complimenti al David Letterman Show, i viaggi con Michael Jackson, la serata hard con Freddie Mercury, De Gregori che mi chiede di fronte a Baglioni se voglio più bene all’uno o all’altro».
Oggi che discografia c'è?
«Non lo so. Credo che non si divertano più. Delegare al mezzo televisivo ogni scelta artistica mi sembra una triste resa alla mancanza di creatività».
Dopo il download, ora è l'epoca dello streaming...
«Sono termini inquietanti. Io continuo ad acquistare dischi o cd. Scarico musica solo quando non riesco a rintracciarla sul mercato».
C'è un futuro per il disco?
«Per il disco non credo. Per la musica certamente. L’importante è non accontentarsi di ciò che trasmette la televisione o la radio generalista. Se l’appassionato ha la curiosità di cercare, troverà sempre splendida musica, anche tra artisti o gruppi giovanissimi. Anche se è più faticoso di un tempo».
Il suo prossimo progetto?
«Tra breve verrà pubblicato il mio romanzo di pura ma non troppa fantasia sulla vita di Michael Jackson “La vera favola di Emjay”, per bambini grandi o adulti piccoli, comunque per amanti della musica».
Trieste?
«Sono arrivato bambino, negli anni Cinquanta. Ho abitato in via Monfort e poi in via Locchi. Frequentavo le elementari Nazario Sauro e andavo a giocare a Sant’Andrea. Poi sono passato alle medie nella scuola che si trovava proprio in via Locchi. D’estate andavo all’Ausonia o a Sistiana. E’ stato un periodo difficile ma anche più autentico della mia vita, l’adolescenza».
È tornato?
«Una volta con la carovana del Festivalbar, ma anche recentemente. L’ho trovata ancor più bella, ordinata,
pulita, imponente. Sempre ricca di sensazioni olfattive: il profumo del mare, l’odore dei pini salendo verso Opicina o Basovizza, le trattorie con gli odori di stinco arrosto o pesce fritto. Adoro Trieste, la considero “la mia città”».
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