lunedì 18 dicembre 2017

SESSANTOTTO, ROCK, CANZONI E DINTORNI / su FEGIZFILES

Ho visto con qualche giorno di ritardo (grazie, Raiplay...) il programma “È successo un Sessantotto”, con i ricordi e le riflessioni di Fegiz, Vecchioni, Pietrangeli, Guccini e tanti altri sul rapporto fra canzone e il mitico anno di cui sta per scoccare il cinquantenario. Ebbene, fu proprio il lungagnone di Pavana a mettere le mani avanti in tempi non sospetti, cantando «Però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia...» (“L’avvelenata”, dall’album “Via Paolo Fabbri 43”, 1976).
Nessuno è mai stato così sciocco da pensare che le rivoluzioni si potessero fare con le canzoni. Però c’è sicuramente stato un tempo, soprattutto a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, nel quale la musica, il rock, le canzoni sono sembrate a molti uno strumento, un grimaldello, un cavallo di troia attraverso il quale cambiare il mondo. Ma oggi che, col senno di poi, abbiamo la prova provata che l’impresa era ardua assai, molti si chiedono che legame c’è stato, nella seconda metà del secolo scorso, fra azione politica, filosofia libertaria, canzoni, rock. Per azzardare una risposta bisogna ripartire dalla Beat generation, da Ginsberg e Kerouac, cercando “un filo rosso” fra Beatles e guerra nel Vietnam, Bob Dylan e battaglie per i diritti civili, Doors e movimento hippie, Pink Floyd e rivolta di Berkeley, Woodstock e Marcuse...
Presto saranno cinquant’anni tondi. Altri libri, altre rievocazioni arriveranno. Scavando ancora negli anni di quella controcultura, quelle suggestioni musicali di quei ragazzi che avevano l’ambizione di cambiare il mondo. E almeno in parte, in fondo, ci sono riusciti, prima che sogni e ideali venissero fagocitati dal business.

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