Ora che i fascismi vecchi e nuovi rialzano la testa, ora che le destre più o meno sovraniste riprendono vigore, ora che l'America si è affidata a Trump con questi risultati, chissà Woody Guthrie come avrebbe raccontato la sua America e il nostro mondo. Chissà cos'avrebbe detto lui, morto cinquant'anni fa, lui che sulla chitarra aveva scritto "This machine kills fascists", questa macchina uccide i fascisti. Dicono che Bob Dylan ma forse anche Springsteen non ci sarebbero stati, senza quell'omino (nome completo Woodrow Wilson Guthrie), nato a Okemah, Oklahoma, il 14 luglio 1912 e morto a New York il 3 ottobre 1967. Ma "figli di Woody" sono considerati anche Joan Baez, Phil Ochs, Tom Paxton, Peter Paul and Mary. Per non parlare di Pete Seeger, sorta di suo fratello minore. Woody Guthrie, (anti)eroe del folk che alla fine degli anni Trenta ha di fatto inventato la canzone di protesta, da tempo negli Stati Uniti è considerato un eroe nazionale, è finito persino sui francobolli, la sua "This land is your land" è considerata una sorta di secondo inno ufficiale americano, ma ovviamente non è stato sempre così. Per gran parte della vita è stato un "hobo", il vagabondo che sceglie la vita da senzatetto improntata alla semplicità, all'avventura, ma anche alla ricerca interiore, in viaggio da uno stato all'altro, clandestino sui treni merci, con un fagotto in spalla e l'inseparabile chitarra sempre in mano. Impegnato nella "costruzione di un mondo nuovo" che probabilmente non ha visto mai la luce. Musicalmente incrociava la ballata country con il blues parlato, la ninnananna con l'epopea di Tom Joad raccontata da John Steinbeck in "Furore" e poi ripresa dal Boss. Un artista la cui influenza non è ancora tramontata a distanza di settant'anni, e non solo grazie agli artisti già citati. Tutta la musica folk e di protesta, americana e internazionale, deve infatti qualcosa a Woody Guthrie. E oggi, in Italia e ovunque, avremmo ancora bisogno di artisti come lui.
Nessun commento:
Posta un commento