martedì 31 maggio 2005

Vasco Rossi è già a Grado da lunedì sera. Prove e un po’ di relax, in attesa di venerdì. Quando nel pomeriggio, alle 15, al Palacongressi, si terrà il raduno del fanclub «Il Blasco». Mentre la sera, con inizio alle 21, al campo sportivo dell’Isola della Schiusa, andrà in scena il concerto. Anzi l’anteprima, anzi la cosiddetta «tappa zero» del «Buoni o Cattivi Tour 2005», che comincia il 7 giugno a Torino, allo Stadio delle Alpi, e si conclude il 9 luglio a Udine, allo Stadio Friuli. Un tour che è la ripresa di quello trionfale dell’anno scorso - un milione di presenze, una sfilza di diciassette stadi tutti esauriti - che ha fatto tappa anche a Trieste, l’11 settembre, allo Stadio Rocco.

Un tour che prende il nome da un album da record: basti pensare che a più di un anno dalla pubblicazione è ancora fra i venti più venduti, sessanta settimane di classifica ininterrotte, oltre ottocentomila copie vendute che alla fine dell’estate - proprio sull’onda della tournèe - potrebbero diventare un milione tondo.

Il 2005, per il Vasco nazionale, è l’ennesimo anno un po’ speciale. Che ha portato l’altro giorno il Corriere della Sera a proporre una «fenomenologia di Vasco Rossi», un po’ sulla falsariga di quella che quarant’anni prima era stata la «fenomenologia di Mike Bongiorno» firmata da un giovane Umberto Eco. A marzo il rocker è tornato come superospite in quel Festival di Sanremo che lo aveva di fatto lanciato, in teoria «per restituire il microfono preso ventitrè anni prima...», in pratica per ricevere l’ennesima consacrazione, stavolta anche da una platea - diciamo così... - nazionalpopolare. A maggio prima la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione, a Milano, poi la pubblicazione del libro di cui riferiamo qui sotto.

Ora la ripresa del tour, con un’altra lista annunciata di stadi tutti esauriti. E poi c’è in arrivo un altro dvd (oltre a quello «live» allegato al libro), intitolato «È solo un rock'n roll show»: è la favola lunga un’ora - punteggiata dai videoclip dell’ultimo disco - di una ragazza, Andrea, dei suoi sogni e delle sue peripezie per arrivare a un concerto del suo mito. Il Blasco, naturalmente. Che aveva in testa questa idea e l’ha messa giù con la collaborazione alla sceneggiatura di Carlo Lucarelli e la regia di Stefano Salvati.

La band è la stessa vista a Trieste: Claudio Golinelli al basso, Mike Bairds alla batteria, Stef Burns e Maurizio Solieri alla chitarra, Riccardo Mori alla chitarra acustica, Alberto Rocchetti alle tastiere, Andrea Innesto al sax, Frank Nemola alla tromba, Clara Moroni ai cori. <IP9>Anche la scaletta del concerto è quella dell’anno scorso, ritoccata per lasciar posto ad alcune «sorprese».

«La scaletta - aveva detto Vasco Rossi al ”Piccolo” prima del concerto triestino del settembre scorso - deve avere un suo equilibrio perfetto; è sempre una sfida affiancare nuove canzoni a quelle vecchie e cercare di farle stare bene assieme. Credo che nello spettacolo la scaletta crei una bella onda emotiva in cui ogni canzone, vecchia o nuova che sia, valorizza quella successiva. <IP9>Le emozioni crescono, si condividono, si propagano e tutto questo dà la carica a noi che stiamo sul palco...».

Sì, perchè Vasco Rossi «è quello che sta sul palco, la rockstar, quello che i fan seguono di concerto in concerto un po’ come la madonna che appare. Oggi - confessa il rocker - lui è molto più grande di me, tanto che per strada ho sempre paura che mi dicano: no, non sei tu Vasco, tu hai l’aria di uno sfigato, lui no. Vasco non si annoia mai, io sì, invece. Perchè alla fine ho scoperto che la vita non è quella dei film, senza tempi morti, che non si fa mai tardi. Insomma, che l’età delle illusioni è finita...».

Anche se... «Io cambio sempre ma in fondo sono rimasto lo stesso: provocatorio, soprattutto nei confronti delle coscienze addormentate. Sono uno che smaschera le ipocrisie, un provocatore, ma non un profeta, né un eroe. Piuttosto una persona piena di dubbi. Io non dò risposte, faccio solo domande. E non sono neanche un cattivo maestro. Cattivo forse, ma sicuramente non un maestro. Non so perchè mi affibbiano questa definizione. Io non sono un esempio, casomai la voce di chi non ha voce...».

Altri elementi per la «fenomenologia vaschiana»: «Io sono sempre insoddisfatto, è una cosa innata, una sfida continua con me stesso. Il che non vuol dire che non mi senta sicuro di quel che faccio. Ho sempre dei momenti di sconforto, non solo dovuti alla realizzazione di un disco, o alla capacità di farlo, ma proprio nella vita. La mia vita è complicata, ho una vita artistica da una parte, poi una familiare con Laura e mio figlio Luca a cui tengo moltissimo, e spesso non è difficile conciliarle. Ma io credo nelle promesse, se faccio una promessa devo mantenerla, su entrambi i fronti. È una questione di orgoglio. Se ci credi, alla fine, le cose riesci a farle...».

Conclusione: «Io sto sempre dalla parte degli ultimi, dei più deboli, dalla parte di quelli che non ce la fanno. In Italia c’è gente che conduce una vita terribile. Per loro la musica può fare qualcosa, è una via d’uscita, una possibilità di scaricare i nervi. Di più: un’alternativa alla violenza, alla guerra che ci circonda, un codice di civiltà».

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