sabato 25 aprile 2009

PINO DANIELE A UDINE


«Mi considero un uomo fortunato. Faccio da oltre trent’anni quel che mi piace, ottenendo dei buoni risultati. Ma devo dire che quest’Italia proprio non mi va...».

Pino Daniele torna in regione domani alle 21 al palasport di Udine. E ancora ricorda il concerto triestino dell’estate scorsa in piazza Unità. «Serata davvero speciale - dice il musicista napoletano, classe ’55 -, la magia della piazza sul mare, il pubblico, l’atmosfera, la notte d’estate, i vecchi amici sul palco: James Senese, Tony Esposito, Tullio De Piscopo, Rino Zurzolo, Joe Amoruso... Tutto perfetto, davvero».

Stavolta i vecchi compagni non ci sono.

«No, questo tour è diverso. L’estate scorsa ho festeggiato i trent’anni passati, con l’antologia e il concerto con i vecchi amici. Ora torno al presente, alla realtà. E guardo avanti».

Con questo album appena uscito...

«”Electric Jam” è la prima parte di un unico progetto artistico, la cui seconda parte, ”Acoustic Jam”, verrà pubblicata a novembre. Ci sto lavorando proprio in queste settimane. In realtà è quasi un disco unico, diviso in due parti in vendita a prezzo ridotto».

Una scelta da tempi di crisi?

«Anche, ma non solo. Avevo voglia di avvicinarmi a un pubblico più giovane, quello abituato a scaricare la musica dalla rete. E che puoi intercettare con un cd messo in vendita a nove euro e novanta».

La discografia è in crisi.

«Peggio: sta morendo. Le case discografiche non esistono più. Brancolano nel vuoto. Renato Zero è stato bravo e fortunato: non avendo più obblighi contrattuali si autogestisce, proponendo il suo ultimo disco al pubblico senza intermediazioni».

Lo farà anche lei?

«Il mio contratto dice che devo fare ancora un disco con la mia casa discografica. Poi sono libero. E non escludo di inventarmi qualcosa in quella direzione. Certo, bisogna rischiare, muoversi senza rete. Ma io sono sempre stato convinto nelle mie cose, e rischiare non mi ha mai fatto paura».

È convinto anche di questo disco diviso in due?

«Assolutamente. La prima parte del progetto mette in luce il mio lato elettrico, la seconda il mio lato intimo, acustico e autoriale. Sono trentatre anni che faccio questo lavoro: ho sperimentato, ho percorso più strade ma musicalmente non sono cambiato. Rimango un chitarrista blues. Un musicista innamorato delle note e con un gran rispetto per la chitarra».

Che ne pensa dei talent show?

«Non amo quella parte di ”reality” che c’è dentro questi programmi. E non amo la competizione, quel ”tutto quanto fa spettacolo”. Detto questo, trovo che un programma come ”X Factor”, dove sono andato anche come ospite, sia uno spazio e un’opportunità importante per la musica. Ho anche prodotto Silvia Aprile, partita da ”X Factor” e già approdata a Sanremo».

Ai suoi tempi, invece...

«Si investiva sui nuovi talenti. Le case discografiche sperimentavano, non si arrendevano al primo flop commerciale. Oggi si punta solo sull’immagine. La musica è considerata alla stregua di un nuovo modello di telefonino. E non frega a nessuno cosa c’è in un disco».

Per questo è deluso?

«Ripeto: io mi reputo fortunato. Ma vedo quel che ho attorno. La mia generazione, quella del vinile, poteva contare su una società diversa. Oggi mancano punti di riferimento. È cambiato il mondo e la società in cui viviamo: la cosa che mi preoccupa di più è la troppa importanza che si dà all'apparire. Tutti cercano la visibilità, la popolarità e pochi curano la sostanza».

Tutta colpa della tv?

«Non tutta, ma... Io dico sì ai programmi musicali ma non amo vedere la gara, le liti. La musica non è competizione. Negli ultimi anni la società ha subito una trasformazione violenta, siamo in balia di un consumismo sfrenato, i giovani passano i pomeriggi nei centri commerciali perchè dovunque si è adottato lo stile di vita americano e l'arte interessa sempre di meno, anche in Italia che è un Paese cresciuto sull'arte...».

Come si vede oggi?

«Ero e rimango un chitarrista che canta. Credo di essere invecchiato con dignità. Non mi sono mai venduto, non mi sono reso ridicolo con scelte discutibili. So che di chitarristi e cantanti bravi in giro ce ne sono tanti, ma quel che fa la differenza è la personalità, la capacità di comunicare in un certo qual modo. E lì faccio ancora la mia parte...».

Si sente sempre «portatore sano di napoletanità»?

«Certo, Napoli e tutto il Sud possono e devono rinascere. La malavita può e deve essere sconfitta. Dobbiamo essere consapevoli della storia che abbiamo, della cultura di cui siamo figli. Prendere la parte buona e buttar via quella cattiva. Napoli se vuole può essere tante cose positive: bellezza, pace, serenità. E dove c’è l’arte ci sono tutte queste cose».

A Udine?

«Mi presento in quartetto, con Alfredo Golino alla batteria, Matt Garrison al basso e Gianluca Podio al piano e alle tastiere. Propongo ovviamente i classici, come ”Quando”, ”Napule è”, ”O scarrafone”, ”Yes I know my way”... Ma anche le canzoni del nuovo disco».

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