martedì 7 aprile 2009

PINO DANIELE


Pino Daniele ha rivoluzionato trent’anni fa la musica napoletana, mischiando tradizione e suoni arrivati da lontano, dialetto partenopeo e idioma anglosassone. E diventando grazie a quelle canzoni ”meticce” uno dei maggiori esponenti della scena musicale di casa nostra.

Ora la crisi lo porta a emulare... Biagio Antonacci. Non musicalmente, visto che i due viaggiano su binari abbastanza distanti. Ma sul versante della strategia discografica. Che significa prendere un album, dividerlo in due parti e metterle separatamente in vendita, ognuna a metà prezzo. L’aveva fatto il cantautore lombardo fra il 2004 e il 2005 con i due capitoli del fortunatissimo ”Convivendo”. Replica l’operazione - sperando di replicarne il successo - il bluesman partenopeo, che esce ora con ”Electric Jam” (Sony), cui seguirà in autunno ”Acoustic Jam”.

«Si tratta di un nuovo approccio con il mercato - spiega il ”Mascalzone latino” - per aiutare le vendite in un periodo di crisi. Non solo. È una scelta intelligente dal punto di vista artistico: la prima parte del progetto mette in luce il mio lato elettrico, la seconda il mio lato intimo, acustico e autoriale».

Ecco allora questo mini-album con sei brani inediti, tutti in chiave elettrica, fra cui spicca la sorprendente ”Il sole dentro di me”, in duetto con J-Ax: la miglior dimostrazione della capacità del cinquantaquattrenne musicista e cantautore napoletano di rimettersi sempre in discussione e di confrontarsi con altri generi e protagonisti della scena musicale contemporanea, persino l’hip hop di casa nostra. Anche se l’ex Articolo 31, ora solista, non è l’unico ospite importante del disco, nel quale suonano fra gli altri Nathan East e Vinnie Colaiuta.

Sono sei brani «sospesi tra sfumature blues e melodie mediterranee», come dice lo stesso Pino, che prosegue così: «Sono trentatre anni che faccio questo lavoro: ho sperimentato, ho percorso più strade ma musicalmente non sono cambiato. Rimango un chitarrista di blues. Un musicista innamorato delle note e con un gran rispetto per la chitarra».

E poi: «La mia generazione, quella del vinile, poteva contare su una società diversa. Oggi mancano punti di riferimento. È cambiato il mondo e la società in cui viviamo: la cosa che mi preoccupa di più è la troppa importanza che si dà all'apparire. Tutti cercano la visibilità, la popolarità e pochi curano la sostanza. Colpa della tv: io dico sì ai programmi musicali ma non amo vedere la gara, le competizioni, le liti. La musica non è competizione. Negli ultimi anni la società ha subito una trasformazione violenta, siamo in balia di un consumismo sfrenato, i giovani passano i pomeriggi nei centri commerciali perchè dovunque si è adottato lo stile di vita americano e l'arte interessa sempre di meno, anche in Italia che è un Paese cresciuto sull'arte...».

Dopo le anteprime milanesi al Blue Note dei giorni scorsi, Pino Daniele è in partenza per un tour che il 27 aprile sarà a Udine, al palasport.


NOMADI

Ancora Nomadi. Mirabile esempio di longevità artistica, grazie all’intuizione - e all’astuzia - di Beppe Carletti, ormai da tempo unico superstite della formazione originaria, quella del ’63, che ha saputo circondarsi di giovani e appassionati musicisti.

A tre anni di distanza dall'ultimo album di inediti, esce allora il nuovo disco dello storico gruppo italiano. S’intitola ”Allo specchio” (Atlantic): dieci canzoni tutte legate al tema della vita, che nascono ”in collaborazione” con i fan del gruppo. Tre brani sono infatti scritti dal gruppo: ”La vita è mia”, ”Senza nome” e ”Il ballo della sedia”. Gli altri nascono invece in maniera particolare. «Abbiamo riarrangiato - spiega Carletti - testi scritti da ragazzi non professionisti che ci hanno comunicato qualcosa. Il nostro slogan è prendere dalla gente per dare alla gente...».

Il disco comprende anche un duetto latineggiante con Jarabe De Palo, ”Lo specchio ti riflette (El espejo te delata)”, con un adattamento del testo in spagnolo curato dallo stesso Jarabe. ”Il ballo della sedia” è invece una sorta di atto di accusa alla classe politica. «Non potevamo non affrontare l'argomento - dice ancora Carletti, che fondò il gruppo assieme al compianto Augusto Daolio -. Ogni volta che apri il giornale si leggono sempre queste cose». Il brano ha un impianto blues, con un coro quasi gospel, e parla della «incoerenza di tutte le parti politiche» e del loro «attaccamento alla sedia».

Di emozioni del vivere parlano anche gli altri brani: dai tormenti dell'amore ("Qui” e ”Prenditi un po’ di te”) alla rabbia per un amico perso in una guerra inspiegabile (”Senza nome”), dalla ribellione contro chi vuole impedire che tutti siano artefici del proprio destino (”La vita mia”) fino all'indifferenza verso i problemi altrui (”Il nulla”).

Un pizzico di ottimismo innerva gli ultimi brani: ”Non so io ma tu”, ”In questo silenzio” e soprattutto ”La dimensione”, quasi una sorta di poetico inno alla vita.





LEONARD COHEN settantacinque anni. L’estate scorsa, il suo ritorno dal vivo è stato salutato con affetto ed entusiasmo, nel suo Canada come in Europa, dai fan di ieri e di oggi: settecentomila biglietti venduti per un’ottantina di concerti. Ora questo album, registrato dal vivo nel luglio 2008 a Londra, e che arriva a cinque anni dal precedente ”Dear Heather”, permette a tutti di godere delle stesse emozioni regalate dal cantautore, poeta e romanziere canadese a quegli spettatori. Classici come ”Suzanne”, ”Hallelujah” e ”First we take Manhattan”, assieme a tanti altri successi già passati alla storia della musica, ricostruiscono la magia di una carriera unica e ormai quarantennale. Cohen è nato a Montreal nel 1934 da una famiglia ebrea immigrata nel Canada. Suo padre era di origini polacche e sua madre di origini lituane. In Italia alcune sue canzoni sono state cantate da Fabrizio De Andrè. Del disco è disponibile anche una versione su dvd.



MASSIMO PRIVIERO Il titolo rende ovviamente omaggio al celebre romanzo di Jack Kerouac, ma rappresenta anche un po’ l’anima e la storia musicale di questo artista veneto - da anni trapiantato a Milano - che ha debuttato nel lontano ’88 con il brano ”San Valentino”. In questi vent’anni Priviero ha sempre mischiato rock, canzone e poesia, con l’aggiunta di una grinta che ne ha fatto un vero combattente della nostra miglior canzone d’autore, sempre «dalla parte di chi non ha niente». Ora torna con una sorta di ”best of”: tre inediti e una manciata di canzoni tratte dal suo repertorio, tutte integralmente risuonate e reinventate per questo album, che arriva a due anni e mezzo dalla pubblicazione del precedente, intitolato “Dolce Resistenza”. Il suo è un cammino costruito tra umane resistenze, storie di un’Italia che vuole sopravvivere. «Sono stato ragazzo su tante strade - scrive Priviero -. Chitarre, armoniche, voci forti, polevere di marciapiede, occhi di bambini e di ragazze dolci, anima di mare, notti di grandi e piccole città...».

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