FLAVIO GIURATO A TRIESTE
Nella genialità c’è sempre una vena di lucida follia. E nella follia abitano spesso sprazzi di combattuta genialità. Prendete Flavio Giurato, che l’altra sera ha tenuto il primo concerto triestino della sua lunga e particolarissima carriera nel restaurato teatrino dell’ex manicomio di San Giovanni, davanti a un centinaio di estimatori vecchi e nuovi.
Quando aveva trent’anni, il cantautore romano - classe ’49, fratello minore di Luca, giornalista e gaffeur ben noto all’Italia televisiva - diceva che voleva ”essere un tuffatore, per rinascere ogni volta dall’acqua all’aria”. Uno dei suoi versi cult, dal brano ”Il tuffatore”, che dava il titolo al suo album capolavoro uscito nell’82.
Con ”Per futili motivi” (’78) e ”Marco Polo” (’84), formava una trilogia da togliere il fiato. Sconosciuta ai più ma capace di farlo diventare artista di culto per una ristretta ma fedelissima schiera di appassionati. Dopo oltre vent’anni di silenzio, interrotti da concerti quasi clandestini e nuove canzoni diffuse in maniera autarchica, ma impiegati soprattutto a occuparsi d’altro (regia televisiva, musicoterapia e chissà cosa), il nostro è riapparso un paio d’anni fa con l’album ”Il manuale del cantautore” - già titolo di un mini-cd uscito precedentemente - e un libro a lui dedicato.
A Trieste, l’altra sera, si è presentato da solo, voce e chitarra: una classica e un’acustica che ha presentato con orgoglio (”opera di liuteria”) come fossero delle persone. Parte con una sorta di medley con alcune cose tratte dalla mitica trilogia: ”Simone”, ”Mauro”, ”Valterchiari”, ”Storia di un’osteria”...
Poi offre «la prima esecuzione in pubblico» delle canzoni che formeranno il prossimo album («ma devo ancora trovare chi me lo pubblica...», confessa prima del concerto): ”Italia Italia” («voglio sapere perchè questo paese somiglia a un villaggio di donne indifese...») e ”I cavalieri del re”, ”Gatton gattoni” e ”La banda dei topini” («la nuova canzone dei bambini...»), ”La grande distribuzione” e ”La scomparsa di Majorana”, che racconta il mistero del fisico italiano sparito misteriosamente nel 1938 e darà il titolo al disco.
Alla fine, fra i bis, in un’atmosfera ormai da serata fra amici, altre perle del passato: ”Marco e Monica”, ”Centocelle” e - ”a grande richiesta” - finalmente ”Il tuffatore”.
L’impressione? Sicuramente Flavio Giurato è una delle penne più originali e creative che abbiano mai abitato la nostra canzone d’autore. Le canzoni di quei suoi tre vecchi album sopravvivono agli anni, alle mode e ai capelli bianchi. Tuttora scrive testi intelligenti e originali, assolutamente non commerciali. Per questo la discografia, che gli ha concesso spazio a cavallo fra gli anni Settanta e Ottanta, quand’era ancora possibile sperimentare, da tempo lo tiene ai margini.
Forse, nella società dei numeri e del profitto (se vendi ok, altrimenti ciao...), la cosa ha una sua cinica logica. Perchè Giurato - ”antidivo e antimercato”, come scriveva Carlo Massarini nella prefazione del libro - è oggi un ragazzone di sessant’anni un po’ borderline che continua a muoversi con abilità sul crinale insidioso che divide genialità creativa e follia visionaria.
Scrive canzoni belle e struggenti, permeate d’ironia e drammaticità, non riconducibili a nessun filone, a nessuna scuola musicale né cantautorale. Forse proprio per questo capaci di mantenere tuttora intatta una loro sofferta attualità.
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