mercoledì 16 dicembre 2009

LIBRO SPADARO


Si può essere - si può essere stati - patriottici e di sinistra? Anticomunisti e al tempo stesso democratici? Per giunta su questo nostro sofferto e martoriato confine orientale, dove mezzo secolo di storia del vecchio e ormai defunto Partito comunista ha conosciuto accenti diversi e più complessi rispetto al resto d’Italia?

Leggendo il libro di Stelio Spadaro, ”L’ultimo colpo di bora” (Editrice Goriziana, pagg. 232, euro 20), la risposta da dare al quesito è sì, assolutamente sì. E il suo, come scrive Paolo Segatti nella prefazione, è perlappunto «un punto di vista democratico patriottico».

Intervistato dagli storici Patrick Karlsen (con cui aveva già firmato tre anni fa ”L’altra questione di Trieste”) e Lorenzo Nuovo, lo storico esponente della sinistra triestina e regionale - classe 1934 - racconta una vicenda umana e politica che ha attraversato tutta la seconda metà del Novecento.

Dagli anni nella natia Isola al definitivo ritorno a Trieste nel ’45 («le aree di Isola, Pirano e Capodistria formavano a mia memoria il tessuto metropolitano triestino, perchè ogni mattina c’era il vaporetto che partiva da Isola e arrivava a Trieste davanti al Nautico, sul Molo Pescheria, e portava gente che andava a lavorare, portava prodotti della terra...»), dagli studi classici al liceo Petrarca e poi alla facoltà di filosofia, dai primi interessi politici alla netta scelta di campo, con l’iscrizione al Pci. Sullo sfondo di un dopoguerra che qui è stato più lungo e più difficile che altrove, di una Trieste amputata del suo retroterra storico e culturale, di una divisione politica che attraversava le stesse famiglie.

Quella di Spadaro è operaia e cattolica, «ma quando io mi iscrissi al Partito comunista ci fu un atteggiamento di grande rispetto da parte loro per la mi scelta. Non fecero nessuna polemica. Anche se c’era una componente nella casa di Isola che cercava di capire le ragioni della sinistra, non di quella jugoslava ma di quella italiana...».

Ma la storia va avanti. Gli anni Cinquanta, l’invasione sovietica dell’Ungheria, il governo Tambroni, il ruolo di Togliatti, il rapporto con Tito, la figura di Vittorio Vidali (e della moglie, Laura Weiss), l’esplodere del Sessantotto. Spadaro insegna al Da Vinci, poi al Galilei. Incrocia la protesta studentesca, che trova il Pci abbastanza impreparato, qui come nel resto del Paese.

Intanto Spadaro è assessore provinciale, con deleghe per scuola e cultura. «Il mio essere insegnante rafforzava e dava conoscenza diretta e concretezza alla mia azione come assessore, e viceversa».

Siamo negli anni Settanta. La firma del trattato di Osimo, che sancisce la rinuncia definitiva alla Zona B, scuote Trieste e dà origine alla nascita del Melone, la Lista per Trieste che conquista la scena politica cittadina e anticipa molti movimenti localistici.

Personaggi come Letizia Fonda Savio, Aurelia BGruber Benco, Gianni Giuricin, ma soprattutto Manlio Cecovini, che con il suo ”Discorso di un triestino agli italiani” si rivolge e cerca esplicitamente un uditorio nazionale. Il Pci, intanto, «è fuori gioco per un milione di motivi», come annota Spadaro.

Il resto è storia di ieri, anzi, di oggi. Il Pds, l’Ulivo, la stagione di Illy e di Intesa democratica. «Il riformismo - scrive Spadaro - qui non è da inventare. È da recuperare. Tutta l’azione dell’Ulivo dagli anni Novanta in poi ha avuto l’obiettivo di unificare le componenti del riformismo e di unificare la città e la regione. (...) Questo lavoro si è riallacciato costantemente sul piano ideale all’esempio politico e civile di una radicata tradizione».

Il volume - che sarà presentato domani, alle 18, all’Auditorium del Museo Revoltella in via Diaz 27 in un incontro moderato da Fulvio Gon, caporedattore centrale del ”Piccolo” - è completato da un’antologia di scritti e interventi di Spadaro che coprono il periodo fra il ’96 e il 2008, divisi in tre capitoli: ”Dal Pds ai Ds: gli anni da segretario provinciale 1996/2001”, ”Gli anni nella segreteria regionale 2002/2007” e ”Dai Ds al Partito democratico 2007/2008”.

Una frase per tutte, da uno scritto del 2003: «Trieste non è solo una città. È un’idea d’Italia, è un’idea d’Europa. Per la sua storia, per le contraddizioni che nel Novecento la segnarono, per lo scontro fra più nazionalismi e totalitarismi lungo un ”confine delle sofferenze”...».

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