lunedì 2 agosto 2010

STEVE HACKETT LIVE
Da Bach al rock progressive. Passando per blues, jazz, persino world. Potrebbe essere sintetizzato così il concerto che Steve Hackett, ex chitarrista dei Genesis, ha tenuto ieri sera in una piazza Unità affollata come si deve nelle grandi occasioni (l’ingresso gratuito aiuta sempre...), a conclusione del suo tour italiano ma anche della settima edizione del Trieste Summer Rock Festival, organizzato dall’Associazione Musica Libera di Davide Casali.
Ci sono certi artisti, certi gruppi che hanno ”il marchio di fabbrica”. Non sono tanti. Ma sono quelli che quando li ascolti, li riconosci dopo pochi secondi. Stephen Richard Hackett (questo il suo vero nome), sessantenne virtuoso inglese della chitarra classica ed elettrica, è uno di questi signori. Il suono della sua chitarra, i suoi fraseggi, persino gli armonici che certe volte trae dalla tastiera della classica, hanno infatti ”segnato” la musica di uno dei gruppi più importanti della storia del pop/rock inglese, i Genesis. E continuano a essere preziosi. Come il suo stile elegante e sofisticato.
In questo tour Hackett è accompagnato dalla sua nuova Electric Band. Ovvero Roger King alle tastiere, Gary O'Toole alla batteria e alle percussioni, Rob Townsend al sax e al flauto, Nick Beggs (ex Kajagoogoo, ieri sera in sobrio look femminile, con tanto di gonnellino nero e treccine bionde) al basso, Amanda Lehmann alla chitarra e ai cori.
Preceduto dai Cichla Temensis (tre giapponesi assai carini, soprattutto la flautista, che propongono un progressive che sembra arrivato giusto dai Settanta...), Hackett parte con ”Every day”, che stava nel suo terzo album solista, "Spectral mornings", uscito nel ’79, due anni dopo aver abbandonato la gabbia dorata dei Genesis. Dove pare che Tony Banks e Phil Collins lo tenessero un po’ troppo in disparte, dopo aver messo le mani sulla ditta, con l’addio del leader originario, Peter Gabriel.
Dal nuovo disco ”Out of the tunnel’s mouth” pesca ”Fire on the moon” e ”Emerald and ash”. Ma anche ”Sleepers” e ”Still waters”. Dal passato solista più antico arrivano ”Ace of wands” (tratto da “Voyage of the Acolyte“, suo primo disco da solo, uscito nel ’75, quando ancora stava coi Genesis) e ”Spectral mornings”, che dava il titolo al citato album del ’79.
Ma per il popolo del rock, Hackett è - e rimane - il chitarrista degli anni d’oro dei Genesis, anche se ormai sono trascorsi più di trent’anni da quel ’77 in cui il nostro salutò la compagnia.
Lui lo sa, e non si fa pregare. Arriva allora ”Blood on the rooftops” (da ”Wind & Wuthering”), e ancora ”Fly on a windshield” (da ”The lamb lies down on Broadway”), e persino ”Los endos” (da ”A trick of the tail”, con medley finale). Fra i bis spunta pure ”Firth of fifth”, che stava nel disco capolavoro ”Selling England by the pound”.
Tornano alla memoria i concerti con i Genesis, quando c’era ancora Peter Gabriel, che in scena era uno spettacolo nello spettacolo con i suoi mille travestimenti, oltre che per la maestria vocale e strumentale. Hackett era quello che si notava meno: spesso seduto e chino sulla chitarra, occhialuto, forse faceva da contraltare alla teatralità dei soci.
Sono passati tanti anni. Il nostro ha affinato la tecnica e non ha smarrito il gusto di suonare. Pare che dietro questa sua ”seconda vita”, ci sia una disavventura economico-familiare. Innamoratissimo della moglie, la bionda brasiliana Kim Poor, oltre a dedicarle molti suoi dischi solisti, anni fa le avrebbe intestato casa discografica, villa con sala di incisione e persino la sua parte di diritti sul catalogo dei Genesis. Il divorzio lo ha letteralmente massacrato. E a sessant’anni suonati ha dovuto ricominciare tutto daccapo. Tanto da dover registrato l’ultimo album nel piccolo appartamento di Londra dove è andato a vivere.
Prima di riprendere a suonare in giro per il mondo. Come ai vecchi tempi. Mischiando reminiscenze classiche e pulsioni rock. Ma sempre con la classe e l’eleganza che il pubblico triestino ieri sera ha potuto apprezzare. Buona fortuna, mister Hackett...

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