STEVE HACKETT
Al Trieste Summer Rock Festival quest’anno arriva la storia del rock. Quella vera. Quella che è già sui libri. Domenica, a conclusione della tre giorni, sarà infatti di scena Steve Hackett, che è stato il chitarrista solista degli anni d’oro dei Genesis. Al fianco dunque di signori come Peter Gabriel, Phil Collins, Tony Banks e Michael Rutherford.
Ora, in questo tour italiano cominciato ieri sera a Roma (stasera sarà a Savona, sabato a Todi, gran finale proprio domenica a Trieste), il sessantenne musicista inglese è accompagnato da Roger King alle tastiere, Gary O’Toole alla batteria e alle percussioni, Rob Townsend al sax e al flauto, Nick Beggs al basso, Amanda Lehmann alla chitarra e ai cori.
Per Hackett - che ha appena pubblicato l'album ”Out of the tunnel mouth” - si tratta della terza volta a Trieste. Della prima, forse, non si ricorda nemmeno lui. Era l’inverno del ’72, i Genesis avevano appena pubblicato ”Nursery Crime” e stranamente riscuotevano più successo in Italia che in patria. Capitarono anche a Trieste, al vecchio Dancing Paradiso, storica balera di via Flavia i cui gestori avevano fiutato l’aria e aperto le porte ai gruppi del pop/rock italiano e straniero. Vi suonarono infatti Premiata Forneria Marconi e Orme, Chicken Shack e Banco del Mutuo Soccorso, New Trolls e tanti altri.
Porte aperte per tutti, non per i Genesis. Il maledetto caso volle che, quando arrivarono a bordo di due macchinoni neri, le trovarono sbarrate perchè nei giorni precedenti vi era scomparsa una minorenne. Breve conciliabolo, colloquio con gli organizzatori, e poi dietrofront, sosta in una pizzeria delle vicinanze e via verso la prossima tappa del tour. Fra la delusione dei giovani fan triestini.
La seconda volta a Trieste, per Hackett, è molto più recente. Risale all’ottobre 2002, concerto alla Sala Tripcovich, accompagnato dal fratello John ai fiati e dal pianista Roger King. Performance di qualità, equamente divisa fra nuove cose da solista e classici dei tempi belli coi Genesis, mai archiviati del tutto. Come la classicheggiante, quasi bachiana ”Horizons”, che stava nell’album ”Foxtrot” e quella volta aprì la serata.
«Dentro me convivono due anime - disse quel giorno Hackett -, la prima predilige la chitarra elettrica, i computer e le altre diavolerie elettroniche. La seconda preferisce una dimensione concertistica, più intima. Quella che avete ascoltato stasera, e che a breve sarà protagonista di un nuovo lavoro con l’ausilio di un’orchestra». Che poi puntualmente arrivò: ”A midsummer night's dream”, album di musica neoclassica con l'accompagnamento della Royal Philharmonic Orchestra.
La passione per la classica è comunque sempre andata di pari passo con quella per il rock, in tutta la carriera di Stephen Richard Hackett (questo il suo vero nome). Comincia a suonare la chitarra da autodidatta a dodici anni, e il suo stile è influenzato dalla musica classica (soprattutto Bach) e operistica (Mario Lanza su tutti), ma anche dal blues di artisti britannici come Danny Kirwan, Peter Green e John Mayall.
Negli anni Sessanta si arrabatta nei complessini della nascente scena progressive londinese. Con i Quiet World nel ’70 pubblica anche un album, ma la sua vita cambia con un annuncio su Melody Maker. Si offre come ”musicista determinato ad andare oltre le forme musicali stagnanti". La frase piace a Peter Gabriel, che lo chiama nei neonati Genesis per sostituire certo Anthony Phillips che aveva avuto al bella idea di lasciare la compagnia pochi mesi prima del successo.
Il primo album di Hackett con il gruppo fu proprio il citato ”Nursery Crime”. Nel quale il ruolo della sua chitarra trovò subito il contesto ideale, rappresentando una sorta di marchio di fabbrica del loro suono. Anche dal vivo, la sua immagine - spesso seduto e chino sulla chitarra - secondo alcuni faceva da contraltare alla teatralità di Gabriel e soci.
Dopo l’uscita di Peter Gabriel dal gruppo, e la sua sostituzione alla voce con Phil Collins, Hackett nel ’75 fu il primo a pubblicare un album solista: ”Voyage of the Acolyte”, a cui parteciparono anche lo stesso Collins e Mike Rutherford. Forse fu il primo segnale. La ricerca e l’esigenza di una propria indipendenza al di fuori delle logiche di un gruppo nel frattempo diventato di fama mondiale. Fatto sta che, dopo due anni e altrettanti album (nel complesso con i Genesis ne fece otto), nel ’77 anche il nostro evade dalla gabbia dorata della band. Pare in seguito a divergenze di opinioni, soprattutto con Tony Banks, sul materiale da includere in ”Wind & wuthering”. E uno dei brani di Hackett non accettato dagli altri per il disco, ”Please don't touch”, fu poi recuperato dal suo autore nel secondo album solista.
Sono passati più di trent’anni. L’attività solistica di Steve Hackett, in studio e dal vivo, ha risentito tutto sommato abbastanza dello stile dei Genesis (tanto che nel ’95 ha pubblicato anche un album intitolato ”Genesis revisited”). Con i vecchi soci, ma anche con lo stesso Peter Gabriel, si è saltuariamente riunito in alcune occasioni dal vivo.
Negli anni Ottanta il musicista ha realizzato album per chitarra classica (”Bay of kings” e ”Momentum”), ma ha fondato anche il supergruppo Gtr assieme a Steve Howe (già chitarrista degli Yes): un’esperienza durata un paio d’anni, che ha prodotto un unico album, di buon successo sia in Europa che negli Stati Uniti. Successivamente, Hackett ha continuato a spaziare da grande virtuoso dello strumento a sei corde fra classica, progressive e world music.
Ma il popolo del rock continua ad amarlo soprattutto per quegli anni con i Genesis. Era - e per molti rimane - il chitarrista solista di una delle band più importanti e innovative della storia del rock, che ha venduto più di 150 milioni di dischi in tutto il mondo. Lasciando una discografia di tutto rispetto, con capitoli che mantengono un posto di rilievo in ogni raccolta degna di questo nome. C’è da giurare che domenica sera, a Trieste, potremo ascoltarne diversi.
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