domenica 18 luglio 2010

ELISA IN PIAZZA UNITA'
Ventuno e trentacinque di una delle serate più calde di sempre. I quattromila di piazza Unità sudano neanche fossero in sauna, ma quando Elisa appare sul palco non si fanno pregare. ”This knot” apre le danze, ”Anche se non trovi le parole” è subito un coro. Le due canzoni dal nuovo album ”Heart” sembrano il segnale convenuto: la festa può cominciare.
Non era facile tornare in questa piazza pochi giorni dopo la bellezza e l’importanza del concerto di Muti davanti ai tre Presidenti e ai diecimila triestini che un giorno potranno dire «io c’ero...». Il caso ha voluto che questo compito toccasse alla trentatreenne cantautrice monfalconese (ma è nata al triestinissimo Burlo...) che, disco dopo disco e tournèe dopo tournèe, è stata capace di guadagnarsi in pochi anni un posto di prima fila fra i grandi della musica italiana.
E a guardarla ieri sera sul grande palco, cantare e suonare e muoversi ed emozionare il pubblico, veniva quasi da pensare che il caso ha spesso una sua logica. O perlomeno l’ha avuta in questa circostanza. Insomma: sarebbe stato imbarazzante, poche sere dopo Muti, assistere all’esibizione di qualche stanco reperto del passato, a qualche musicante di serie b, per non dire di qualche carrozzone televisivo in playback. Il caso, o chi per lui, ci ha invece regalato il ”ritorno a casa” della miglior artista pop espressa da queste terre da molti anni a questa parte.
La conferma si è avuta a metà concerto, quando Elisa ha dedicato ”Lisert” alla nonna seduta nelle prime file e ”a tutti quelli che come lei hanno vissuto le vicende di queste terre e dei paesi confinanti”. E prima della canzone il grande schermo ha rilanciato fino in fondo, fino ai tanti che tentavano di vedere e sentire qualcosa dalle Rive e dal Molo Audace, le brevi interviste ad anziani uomini e donne che raccontavano gli anni della guerra e dell’immediato dopoguerra sul nostro martoriato confine orientale. Brava Elisa. Brava anche in questo.
Con lei, pantaloni di pelle nera e maglia grigia, sul palco c’è la band di sempre, quella con Max Gelsi al basso e Andrea Rigonat (padre felice della piccola Emma Cecile) alle chitarre, ma con un paio di nuovi innesti.
”Heart”, il disco presentato nel novembre scorso al Castello di Duino, con l’allora neonata figlia Emma Cecile a pochi metri di distanza, rimane il disco forse più rock della sua carriera. Ma per questo concerto triestino l’artista ha scelto di non proporlo integralmente, come aveva fatto nel tour invernale. Rispetto al quale sono spariti anche ballerini e coreografie.
Ecco allora anche canzoni meno recenti, come ”Stay” (del 2006, quella con il bel video girato a Los Angeles), oppure ”Heaven out of hell” (del 2001, stava nel terzo album ”Then comes the sun”), o ancora ”Eppure sentire (un senso di te)”.
Elisa appare a suo agio. Si muove, balla, esprime la propria felicità sincera di ”essere a casa”. Stupisce sempre per la sua capacità di ricamare trame melodiche sottili su tappeti armonici tutto sommato semplici. Con quella sbalorditiva facilità di partire dal basso e poi far volare la sua voce in alto, lassù, dalle parti del cielo e dell’anima. Ha una gran carca addosso. E la trasmette.
Ancora dal nuovo disco arrivano ”Ti vorrei sollevare”, splendida anche senza la voce di Giuliano Sangiorgi, ”Someone to love” e la citata ”Lisert”, atto d’amore per la propria terra. Una canzone scritta nel ’98, aveva rivelato nella presentazione del disco a Duino, ma inserita in un disco solo adesso. L’omaggio alle terre isontine è ovviamente completato da ”Luce (Tramonti a Nord Est)”, con cui la ragazza vinse a Sanremo nel 2001.
Ma siamo solo a metà del viaggio. Dal passato affiorano anche ”Dancing”, ”The waves”, ”Qualcosa che non c’è”. L’alternarsi fra idioma inglese e lingua madre funziona anche dal vivo. Lei ha cominciato a scrivere canzoni nel linguaggio internazionale del pop e del rock, ma con gli anni - proprio a partire da quella ”Luce” accesasi una sera a Sanremo - ha capito che scrivere e cantare nella lingua italiana non è assolutamente una diminutio. Anzi. E il pubblico di casa ricorda e forse ama maggiormente le canzoni in italiano.
Anche ”Heart”, giunto a cinque anni da ”Pearl days” e dopo la raccolta ”Soundtrack”, inizialmente doveva essere un disco in italiano. Poi le cose sono andate diversamente, forse per sottolineare con quel titolo, ”Cuore”, che stavolta la razionalità e il calcolo venivano messi da parte. Al centro di tutto il progetto, del disco ma anche del tour, le ragioni del cuore: per la musica, per la vita e per tutto il resto.
Il pubblico triestino sembra capirlo. Ed è in sintonia con la proposta musicale che scende dal palco. C’è ancora tempo per estrarre dal cilindro alcune perle (alcune proprio dall’album ”Pearls”, del 2005) del passato: ”Una poesia anche per te” e ”Broken”, ”Rock your soul” (ieri sera dedicata al padre, anche lui presente fra il pubblico) e ”Hallelujah”, ”Gli ostacoli del cuore” (quella del duetto con Ligabue, cantata in coro dal pubblico) e ”Together”...
A Trieste, in piazza Unità, quattromila spettatori sudati (più quelli - sudati pure loro - arrampicati ovunque, persino sulle terrazze della prefettura) hanno tributato alla popstar monfalconese il successo che da tempo merita.
Un coordinamento degli eventi (al Rossetti suonavano in contemporanea gli irlandesi Clannad, di cui riferiamo nell’altra pagina di spettacoli) avrebbe magari permesso che la festa di pubblico fosse più grande. Ma questo è già un discorso per domani. Stanotte godiamoci le emozioni e le belle canzoni della nostra piccola grande Elisa Toffoli da Monfalcone. Direzione: conquista del mondo.

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