PATTI SMITH
"Mi hanno detto che Grado è una piccola isola ricca di sole e di storia. E che canterò vicino al mare. Ciò mi basta per essere felice di venirvi presto con il mio spettacolo. So anche che non è lontana dal paese dov’è nato Pasolini, e ciò per me è un elemento di fascino in più...».
Sono poche le donne che hanno scritto la storia del rock. Una di queste è senza dubbio Patti Smith, il cui tour acustico ”We shall live again” farà tappa il 3 agosto a Grado, alla Diga Nazario Sauro, nell’ambito della rassegna ”Ospiti d’autore” che comincia domani sera con il concerto del jazzista Stefano Bollani.
La voce di colei che fu chiamata ”la poetessa del rock” arriva al telefono dalla Spagna dove in questi giorni fa tappa il suo tour (stasera è in concerto a Madrid). È roca come te l’aspetti. Inconfondibile. E identica a come l’hai sentita mille volte in classici del calibro di ”Because the night” e ”People have the power”. Sufficiente da sola a emozionare chi ha la ventura di porle alcune domande.
«Adoro l’Europa, adoro l’Italia - dice l’artista statunitense, nata a Chicago nel ’46 e cresciuta nel New Jersey, dove da ragazza ha lavorato anche come operaia - e sono sempre contenta di venirvi a suonare. Anche se in tutti questi anni vi sono tornata tante volte, non potrò mai dimenticare i concerti del settembre ’79, a Bologna e a Firenze, con gli stadi pieni. Fu la prima volta che io e la mia band di allora ci sentimmo delle star. Ma non è solo questo. Amo la cultura italiana, l’arte, la cucina, il vostro cinema...».
A quei suoi concerti italiani del ’79 seguì un lungo silenzio.
«Avevo trent’anni e sentivo il bisogno di una pausa di riflessione per capire dove stavo andando. Poi la pausa è stata più lunga del previsto perchè avevo due figli da crescere. Ma in quegli anni non sono stata ferma. Ho continuato a studiare, ho cercato di migliorare. Poi, quand’è stato il momento, ho ripreso esattamente da dove avevo cominciato la prima volta: dalle mie poesie cantate davanti al pubblico accompagnandomi con una chitarra».
Diceva di Pasolini. Ricorda quando lo ha scoperto?
«Certo. In un piccolo cinema di Manhattan, all’inizio degli anni Settanta, prima che venisse ucciso. In una rassegna dedicata al cinema italiano vidi ”Il vangelo secondo Matteo” e ne rimasi colpita. Poi, con gli anni, ho visto altri suoi film e ho letto i suoi libri. Trovo che sia stato un grande artista e un grande intellettuale, che aveva capito molte cose dell’Italia e del nostro mondo».
A Venezia, il primo agosto, suonerà per Emergency.
"Trovo che sia un’organizzazione che fa un lavoro prezioso. Li ho conosciuti lo scorso anno proprio a Firenze e ho accettato di fare qualcosa con loro. Sono davvero delle persone splendide».
Le guerre, intanto, continuano.
«E la gente deve continuare a lottare perchè finiscano. Non esistono guerre giuste, la guerra è la peggior cosa che gli uomini possano fare. Da questo punto di vista, con l’Iraq e l’Afghanistan, negli ultimi anni gli Stati Uniti hanno dato un pessimo esempio al mondo».
Obama è in difficoltà.
«Ma ce la farà. Spero che potrà portare a un futuro di pace. Il suo è comunque un lavoro molto duro. Deve lottare contro l’ostruzionismo repubblicano, contro le potenti lobby, contro il potere economico. Ma ce la farà, ce la faremo. Tutti dobbiamo fare del nostro meglio».
Com’è cambiata New York dopo l’11 settembre?
«Vivo a due passi da Ground Zero e ho visto con i miei occhi il crollo delle Twin Towers. È un’esperienza che mi ha sconvolto, come donna e come artista. La città all’inizio ha avuto una reazione di paura, è sembrata volersi richiudere in se stessa. Era normale. Ma ora, con il passare degli anni, assisto a una sua rinascita. New York, con il suo mix di razze, lingue, culture, rimane il posto migliore dove vivere per chi fa il mio mestiere».
Come negli anni Sessanta?
«Beh, quello è stato un periodo magico, forse irripetibile. Quand’io sono arrivata ero una ragazzina innamorata dell’arte e della musica. Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare i poeti della Beat Generation, musicisti come Bob Dylan, Jimi Hendrix, Janis Joplin... Il Chelsea Hotel era un ritrovo di artisti che stavano facendo qualcosa di importante».
È la New York che lei racconta nel libro ”Just kids”.
«Già. Pochi giorni prima di morire, Robert Mapplethorpe (fotografo e amico dell’artista, morto di Aids nell’89 - ndr) mi chiese di raccontare la nostra storia. Sapeva che solo io potevo farlo. Eravamo cresciuti assieme, in quella New York. Assieme avevamo coltivato i nostri sogni. Glielo avevo promesso e l’ho fatto».
Come mai ha atteso tanto?
«In questi anni ho avuto molti lutti. Ma appena ho avuto la forza l’ho scritto. Il libro racconta la nostra vita ma anche la cultura e la musica degli anni Sessanta. E parla della lotta che ognuno di noi combatte per diventare se stesso».
Perchè ha intitolato il tour ”We shall live again”?
«Perchè lo so che viviamo un momento difficile. Il mondo è pieno di cose che non vanno bene. Ci sono le guerre, c’è la crisi economica che colpisce duro i lavoratori, i nostri governanti non sempre fanno le cose giuste. Anzi. Ma noi abbiamo l’obbligo di andare avanti, di lottare, di vivere ancora. Di nuovo».
Pensa che ”la gente abbia ancora il potere” di cambiare le cose?
«Da ragazzi ne eravamo convinti, che si potessero cambiare le cose e il mondo. Poi la vita ci ha fatto capire che non è facile, che non sempre le cose vanno per il verso giusto. Ma io credo che non bisogna mai abbandonare l’ottimismo, la speranza, la solidarietà, la voglia di combattere. Lo dico sempre: io mi sento più rivoluzionaria adesso che trent’anni fa».
Il rock una volta era roba per ragazzi, oggi star e pubblico hanno i capelli bianchi.
«Negli anni Settanta ero convinta che il rock stesse per morire. Ricordo che mia madre diceva che secondo lei Benny Goodman e lo swing sarebbero durati in eterno: non è stato così. Per il rock è diverso: ogni generazione che prende il testimone da quella precedente cambia e aggiunge qualcosa di nuovo. Il rock oggi non ha età, è un linguaggio universale, è per tutti».
È vero che sua figlia Jesse suona con lei?
«Sì, ma solo nelle date italiane di questo tour. Sto girando con una band quasi interamente acustica, e ciò mi permette di improvvisare molto ed essere più libera nella costruzione delle serate. Mia figlia suona il pianoforte e nel gruppo c’è anche il suo compagno Mike Campbell alle chitarre. Jesse ha ventitrè anni e anche lei, come me, ama molto l’Italia. L’occasione di questo tour ci permetterà di girare un po’ assieme. E ovviamente per me sarà un piacere in più...».
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