lunedì 29 agosto 2016

BENNATO GIOV A STARANZANO

«Il mondo globalizzato è un concetto simile a quello dei vasi comunicanti: quel che accade in Siria, in Nigeria, nel Mali o in Turchia ci riguarda direttamente. La nostra sicurezza, il nostro benessere sono imprescindibili dalla soluzione dei problemi del terzo mondo, non c'è altra scelta».
Dunque il suo disco “Pronti a salpare”...
«...è dedicato soprattutto a noi del “mondo occidentale”. Siamo noi che dobbiamo, volenti o nolenti, essere pronti a cambiare il nostro modo di pensare».
Parla Edoardo Bennato, neo-settantenne rock, che giovedì alle 21.30 è in concerto a Staranzano, alla Sagra de le raze, in collaborazione con Onde mediterranee.
L’album è dedicato anche a De Andrè, Enzo Tortora e Mia Martini.
«Ero amico di Fabrizio, gli ho dedicato l’intero lavoro con la presunzione di credere che gli sarebbe piaciuto. A Tortora e Mia Martini mi sono ispirato per il brano “La calunnia è un venticello”, dall’opera “Il barbiere di Siviglia”, di Rossini. Entrambi, anche se in forme diverse, hanno subito il crudele vento della calunnia».
Amnesty ha premiato questo disco.
«E mi ha fatto molto piacere. Di Amnesty condivido appieno tutte le battaglie sui diritti umani: fanno un grande lavoro, spesso rischiando sulla loro pelle».
È cambiato qualcosa 40 anni dopo “Buoni e cattivi” e 30 dopo “Ok Italia”?
«È cambiato tutto per quel che riguarda la geopolitica, un po’ meno per quanto riguarda i rapporti tra gli umani su questo pianeta».
Ha detto che Napoli è una polveriera. Può esplodere?
«Purtroppo sì. A Napoli ci vivo. Non ho raccolto il consiglio di Eduardo De Filippo, che diceva ai napoletani: “fuitevenne”, scappate. Io sono testardo e continuo a viverci. Ho la convinzione, magari errata, che si debba restare e come società civile organizzare la “Resistenza”».
Il sindaco De Magistris?
«Luigi è una persona perbene, è degno di stima, ma da solo non può cambiare le cose a Napoli. Sembra retorica, ma non lo è. Bisogna cambiare la mentalità delle persone e tutti devono fare la loro parte. Tutti, anche di opposte idee politiche, dovrebbero seriamente dare il proprio contributo, se vogliamo salvare Napoli».
I mali sono antichi. Secondo lei dove cominciano?
«Storicamente Napoli è stata “territorio di conquista”, ciò ha pesato e pesa come un macigno sull’intero popolo napoletano ma, pur ammettendo che la storia non ci ha favorito, a Napoli e al sud, al mio sud, purtroppo imperano il fatalismo, il vittimismo, l’assistenzialismo. Che poi sono il terreno di cultura ideale per le mafie. Per fortuna ci sono anche realtà imprenditoriali importanti nei vari territori del sud, ma la questione meridionale è ancora irrisolta».
Intanto si spara (e si muore) ancora per le strade...
«Si spara e si muore per mancanza di cultura. Può sembrare una provocazione, ma credo che sia l’unica strada per i giovani per non cadere nelle mani del sistema. La scuola deve fare la sua parte, è lì che si formano le coscienze, anche sopperendo alle carenze di situazioni familiari ai margini della legalità. E soprattutto c’è bisogno di lavoro».
Ha visto la serie tv “Gomorra”?
«Sì, è girata magistralmente, può senz’altro competere con le fiction americane. Io però preferisco il film di Matteo Garrone, di cui ho grande stima, la stessa che ho per Roberto Saviano che ha dovuto rinunciare alla sua libertà, per aver raccontato quel che era ed è sotto gli occhi di tutti quelli che hanno vissuto e vivono in quelle aree del paese».
La polemica sull'immagine violenta che dà della città, sui camorristi visti quasi come eroi?
«Le chiacchiere e le polemiche stanno a zero. La violenza è nelle strade, nella cronaca giornaliera. Ma per leggere un libro come “Gomorra” bisogna entrare in una libreria e “loro” non lo fanno. Per vedere il film di Garrone bisogna andare al cinema e “loro” non ci vanno. Per vedere la fiction basta un decoder, magari clonato, e “loro” la possono vedere».
Dunque?
«C’è chi non ha gli strumenti culturali per evitare di farne un modello di vita da imitare, e questo può essere un aggravio del problema che già è complicato, una sorta di legittimazione. Insomma, “se sono rappresentato in televisione vuol dire che esisto...”. Accadde anche per la trilogia del “Padrino”, per “Scarface”, per il “Camorrista” di Tornatore».
Dopo Peter Pan un nuovo musical?
«Sto cercando di mettere in scena il musical di “Burattino senza fili”, la favola di Pinocchio. Ho anche scritto delle nuove canzoni su personaggi che a suo tempo non avevo preso in considerazione, come Lucignolo».
L’esperienza a Spoleto col quartetto classico?
«Fin dalla prima ora ho utilizzato la formula del quartetto d’archi che serve per svincolarmi dagli stereotipi angloamericani. Insomma, faccio rock con quartetto d’archi...».
Senza ironia ci sarebbe stato Bennato?
«L’ironia mi permette di guardare le cose da una angolazione diversa, evitando quanto più possibile di essere retorico, didascalico o, peggio ancora, moralista. Posso permettermi di usare questo linguaggio perché prendo in giro per primo me stesso. Come quando cantavo: “Tu sei un... cantautore”».
E a Staranzano cosa canta?
«Sarà un concerto ad alto contenuto rock-blues. Forse il migliore di tutti. Anzi, senza forse...».

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