martedì 26 dicembre 2006

MORTO JAMES BROWN

Padrino del soul, Mister Dynamite, Sex machine... Tante definizioni per una leggenda sola, quella di James Brown, morto per una polmonite in un ospedale di Atlanta nella notte di Natale. Aveva 73 anni. Due anni fa aveva annunciato di essere malato di cancro alla prostrata, ultima magagna di una vita vissuta pericolosamente, fra eccessi e vizi e problemi di ogni tipo. Ma quando parliamo di lui - che l’estate scorsa si era anche esibito per l’ultima volta nella nostra regione, al Castello di Udine - parliamo di una pietra miliare, un rivoluzionario che ha segnato la storia della musica nera del secolo scorso. Dal ’56 - anno del primo successo - a oggi, ha pubblicato un’ottantina di album e inanellato qualche decina di hit. Recarsi a vedere un suo concerto è sempre stato come andare a lezione di soul.

Era nato nel maggio 1933 (ma sulla sua età è sempre regnato un po’ di mistero: secondo alcune biografie era del ’28) a Barnwell, nella campagna della Carolina del Sud, da una famiglia poverissima. Infanzia difficile, difficilissima. A sei anni cresceva in un bordello di Augusta, in Georgia. Per pagarsi l’affitto lavorarava come lustrascarpe e nelle piantagioni di cotone. A otto anni prova a rubare un’automobile e finisce in riformatorio. Per lui è quasi una salvezza, perchè è lì che conosce Bobby Bird ed entra nel suo gruppo di gospel.

La musica diventa la sua ragione di vita. Nel ’52, a diciannove anni, fonda il suo primo gruppo, The Flames. Nel ’56 scrive «Please, please, please». E fa il botto: diventa James Brown. Altri successi. Nel ’62 registra dal vivo, nel tempio della musica nera dell'Apollo Theatre ad Harlem, un album diventato un vero e proprio culto.

I neri lo amano. I bianchi pure. Perchè sa trasformare il gospel in rhythm’n’blues, creando un genere soul del tutto originale, chiamato funk e caratterizzato dai ritmi incalzanti. È uno che fa scuola anche sul palcoscenico, con la sua fisicità dirompente, che influenzerà successivamente cantanti del calibro di Mick Jagger e Iggy Pop, Michael Jackson e Prince.

Nel ’64 «Out of sight» scala le classifiche. L'anno successivo «Papa's got a brand new bag» e «I got you (I feel good)» consolidano la sua carriera. Nello stesso anno viene pubblicato il singolo «It's a man man's world» e James Brown diventa «Soul Brother n.1» per il movimento dei diritti dei neri Black Power.

Nel frattempo diventa anche un fenomeno mondiale, in grado di infilare 350 serate all'anno e trasformandosi, con la ricchezza, in un esempio di «capitalista nero». Apre ristoranti e negozi ed esorta i suoi concittadini di colore a vivere l’american dream, il sogno americano. È lui che, quando ammazzano Martin Luther King, invita la popolazione di colore alla calma. E il presidente Johnson lo ringrazia. Dopo quegli eventi, regala agli afroamericani il loro inno «Say it loud - I'm black and I'm proud».

Negli anni Settanta è ancora grande protagonista con ben otto album di successo: dopo una serie di dieci canzoni che lo proiettano ogni volta in classifica, James Brown viene consacrato come «The godfather of soul», il padrino del soul. Negli anni Ottanta il nostro diviene anche un volto cinematografico, interpretando il ruolo del predicatore nel leggendario film «Blues Brothers», di John Landis, con John Belushi e Dan Aykroyd. E sempre al cinema si esibisce anche in «Rocky IV», il film con Sylvester Stallone, con il brano «Living in America».

Più recentemente, in uno dei tanti «Pavarotti & Friends», duetta anche con Luciano Pavarotti nel brano «It's a man man's world». E il pubblico pare non aspettare altro per esplodere...

Poi c’è il capitolo eccessi e vizi. Quelli a causa dei quali Mister Dynamite diventava spesso, soprattutto negli ultimi anni, protagonista di fatti di cronaca nera: cose di droga, di violenza, di gesti folli, di galera... Chissà, situazioni forse causate da un artista che non riusciva a confrontarsi con gli anni che passano, con la fama artistica che si appanna, con il declino fisico e creativo. Fino alla notte di Natale del 2006 che se l’è portato via, lasciandoci però il suo ruolo da gigante nella musica del Novecento.

Anche il presidente Bush ha diffuso una nota di cordoglio. E il reverendo Jesse Jackson ha detto: «James Brown è morto come una stella di Natale. Solo una stella può morire a Natale...».

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