domenica 21 settembre 2008

VASCO BRONDI  La Targa Tenco per la miglior opera prima, che gli è appena stata assegnata e gli verrà consegnata all’Ariston di Sanremo dal 6 all’8 novembre, fortunatamente sta risvegliando e amplificando l’attenzione attorno a quello che da tempo indichiamo come il miglior esordio del 2008. È Vasco Brondi, il ventiquattrenne cantautore ferrarese che si nasconde dietro lo pseudonimo Le luci della centrale elettrica, già visto più volte nei mesi scorsi nel vitalissimo circuito off triestino e in regione.

L’album - che lo scorso anno era stato preceduto da un demo - s’intitola «Canzoni da spiaggia deturpata» (La Tempesta Dischi/Venus). L’artista è genuino, visionario e ancora arrabbiato al punto giusto. Nella sua pagina su MySpace - dove una manciata di brani sono ascoltabili e scaricabili gratuitamente - scrive che le sue «canzoni d’amore e di merda dalla provincia sono state accese da me in un pomeriggio troppo lungo e troppo azzurro come progetto di cantautorato denuclearizzato. Un cantautorato attualizzato, che non trascuri le distorsioni sature, le frasi urlate, i ritmi ossessivi. Una chitarra acustica/distorta comprata a rate e una voce che sussurra urla e tossisce...».

C’è chi ha scritto che Vasco Brondi ricorda a tratti Rino Gaetano e altre volte Luca Carboni, ma nelle sue canzoni e nel suo modo di cantare si avverte - oltre a un’urgenza creativa, a un bisogno primario di comunicare che non lascia indifferente l’ascoltatore - retaggi di epoche che il ragazzo può aver conosciuto solo indirettamente: la Bologna del Settantasette, Claudio Lolli, i Cccp/Csi/Pgr di Giovanni Lindo Ferretti (peraltro rappresentati nel disco dalla chitarra di Giorgio Canali, che ha accolto il giovane virgulto sotto la sua ala protettiva), gli «altri libertini» di Pier Vittorio Tondelli...

Alcuni versi delle sue canzoni sono già assurti al rango di «frasi storiche», almeno per il piccolo esercito di suoi estimatori. Da «farò rifare l'asfalto per quando tornerai» a «siamo l'esercito del Sert» (che richiama quello anni Sessanta «del surf»...), da «con le nostre discussioni serie si arricchiscono solo le compagnie telefoniche» a «si fermavano i tram per deridermi», da «invidiare le ciminiere perchè hanno sempre da fumare» fino al trionfo nichilista generazionale di «cosa diremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero...?».

Le dieci canzoni del disco andrebbero, anzi, vanno citate tutte: «La lotta armata al bar» e «Per combattere l’acne», «Nei garage di Milano Nord» (con un omaggio nel finale proprio al Rino Gaetano de «Il cielo è sempre più blu») e «Lacrimogeni», «Sere feriali» e «Stagnola», «Piromani» e «La gigantesca scritta Coop», «Fare i camerieri» e «Produzioni seriali di cieli stellati». Ballate per chitarra e voce. Istantanee urlate, schegge del presente, malinconia, smarrimento, desolazione dalla provincia italiana.

Nota autocritica: a volte riserviamo tanta attenzione alle stanche novità di vecchi cantautori che non hanno più molto da dire. E rischiamo di perderci esordi folgoranti e profumati di verità come quello di un ragazzo di nome Vasco Brondi. Da tenere a mente.


COLDPLAY A giugno, prima della sospensione estiva di questa rubrica, erano già pronte queste righe sul nuovo album dei Coldplay, «Viva la vida» (Emi), allora appena pubblicato. Pronosticavamo - senza troppa fantasia - che sarebbe stato uno dei dischi, forse il disco dell’estate. Cosa poi puntualmente avvenuta.

Con dieci anni di attività e quaranta milioni di dischi venduti alle spalle, e a tre anni dal precedente «X&Y», Chris Martin e compagni non hanno deluso le aspettative. Riproponendo - riveduto e corretto - lo stile che, fin dall'album di debutto («Parachutes», del 2000), ha incoronato la band inglese come una delle più amate in tutto il mondo. Forse con un pizzico di coraggio in più, con maggiore apertura a nuove idee e sperimentazione.

Dieci brani, poco più di quaranta minuti di musica, nella quale si sente la mano dei due produttori dell'album, Brian Eno e Markus Dravs. Soprattutto il contributo del primo è stato notevole: «Ha infuso eccitazione, vita, pazzia, sessualità. È stato incredibile», ha detto Chris Martin. Alla squadra, durante la registrazione, si è unito il vecchio amico e manager Phil Harvey, affettuosamente citato nelle note di copertina come quinto membro della band.

Il risultato è un album caratterizzato dalla mancanza e dall'incertezza, dal viaggio e dal tempo, dalla felicità e dai rimpianti. Un potente mix di sentimenti che si ritrova in pezzi come «Lovers in Japan», «Strawberry Swing» e soprattutto in «Death and all his friends».

I Coldplay avrebbero potuto vivere di rendita, sfornare il classico album fotocopia, puntare sulla mozione degli affetti. Hanno preferito guardare avanti, rimettersi in gioco. E hanno lasciato il segno.

Il loro tour tocca Vienna mercoledì 24 settembre, Monaco il 26, e poi Bologna e Milano, rispettivamente il 29 e 30 settembre (biglietti già esauriti in prevendita).


MANGO Ritorna Mango, con quattordici classici della musica italiana e straniera riletti alla sua maniera. E con ospiti come Franco Battiato (di cui viene riproposta «La stagione dell’amore», che è anche il primo singolo dell’album) e Claudio Baglioni. Un lavoro che, spiega il cantautore di Lagonegro, proovincia di Potenza, gli ha dato la possibilità di «rubare dei sentimenti ad altri colleghi». Come De Andrè, Fossati, Battisti, Pino Daniele, Elisa, De Gregori, Patty Pravo, Renato Zero, Luigi Tenco, Anna Oxa. Ma anche John Lennon e i Creedence Clearwater Revival. «Rubare un sentimento è una cosa bellissima, perchè significa appropriarsi di tante emozioni, facendole proprie - racconta Mango -. Volevo realizzare questo disco da quindici anni. Io nasco come cantante, ora sono tornato al primo grande amore, al canto, all'interpretazione, che mi consente di descrivere un mondo che non è il mio». «Acchiappanuvole» - dice - sta per acchiappasogni, nel senso di «riuscire a pensare alle nuvole non come un disagio, ma come portatrici di pioggia buona, positiva...».


CYNDI LAUPER E ritorna anche Cyndi Lauper, indiscussa regina della pop dance, con 25 milioni di dischi venduti alle spalle. Il suo è un ritorno alle origini. «Il disco può essere ascoltato in due modi totalmente differenti - spiega -. È un album dance a cui ci si può accostare a un primo livello più superficiale, ma se ciò non bastasse, c'è molto da approfondire nei testi. Queste canzoni scavano davvero a fondo». Il disco la vede completamente immersa nel processo creativo. È infatti co-autrice di ogni brano e divide la produzione con alcuni dei più autorevoli produttori del panorama dance: Dragonette, Kleerup, Basement Jaxx e Axwell, solo per citarne alcuni. L'album propone sonorità inedite, come quelle del primo singolo «Same old story», co-prodotto da Rich Morel. I dodici brani dell'album sono la testimonianza della maturità conseguita da questa artista che ha trovato il successo anche come attrice e regista di video e spot pubblicitari. E la cui «Time after time» fu interpretata nientemeno che da Miles Davis. Che l’ha resa immortale.


 

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